Rispondono di esercizio abusivo della professione i consulenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro che eseguono accertamenti diagnostici in assenza di titolo abilitativo.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 34649.2020, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di esercizio abusivo della professione sanitaria e apertura di strutture sanitarie in assenza dell’autorizzazione del prefetto.

In particolare, la Suprema Corte – dopo essersi preliminarmente espressa in merito alla necessità dell’autorizzazione amministrativa per l’apertura di strutture che erogano in via continuativa prestazioni sanitarie ad un numero indeterminato di soggetti e del possesso del titolo abilitante per l’esecuzione di esami strumentali, elettrocardiografici, audiometrici e spirometrici – enuncia il principio di diritto secondo cui il raggio applicativo della fattispecie di esercizio abusivo della professione si estende agli atti che, seppur eseguibili da chiunque in via occasionale, rimangono riservati ad una determinata professione se compiuti in via continuativa, organizzata e remunerata.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo delle fattispecie incriminatrici;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 34649.2020;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di esercizio abusivo della professione sanitaria, oltre agli approfondimenti sulla responsabilità penale dei professionisti sanitari che il lettore può trovare nell’area del sito.

 

I reati contestati e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, agli imputati tratti a giudizio rispettivamente in qualità di legale rappresentante e socio collaboratore di una società che svolge attività di consulenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, erano stati  contestati i reati ex artt. 193 R.D.1265/1934 e 348 c.p., per aver sottoposto dei lavoratori dipendenti ad accertamenti spirometrici, audiometrici e ad elettrocardiogramma presso l’ambulatorio della società per la visita di idoneità lavorativa.

La Corte di appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Terni, dichiarava di non doversi procedere nei confronti dei prevenuti per il reato di cui all’art. 193 R.D. 1265/1934 per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena irrogata con riferimento al residuo reato di esercizio abusivo della professione..

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il difensore comune dei giudicabili proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando due motivi di impugnazione.

In particolare, i ricorrenti deducevano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità penale, in ragione del difetto del requisito di struttura poliambulatoriale, richiesto dall’art. 193 R.D. 1265/1934 e della necessità del possesso dell’abilitazione professionale ai fini del compimento degli accertamenti diagnostici.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Nella nozione di esercizio di ambulatori, case o istituti di cura medicochirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 193, r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, vi rientra senz’altro anche l’erogazione di prestazioni sanitarie, che seppure rivolte ad una cerchia ristretta di destinatari, si avvalga di una organizzazione di persone e mezzi, dotata di strutture destinate ad accogliere in un tempo indefinito un numero indeterminato di soggetti e sia svolta professionalmente, ovvero in modo continuativo e non occasionale”.

“Come chiarito da entrambe le sentenze di merito, costituisce dato pacifico che gli esami strumentali, elettrocardiografici, audiometrici e spirometrici, devono essere svolti o da un medico o da un tecnico, cioè da un soggetto munito di specifica qualificazione professionale. In base all’art. 3 della legge 10 agosto 2000, n. 251 ed agli artt.1 e 2 del decreto ministeriale del 14/9/1994, n. 667, che regolamenta il profilo professionale del tecnico audiometrista, è prescritto che deve essere in possesso di diploma universitario abilitante, trattandosi di operatore sanitario che svolge attività “nella prevenzione, salutazione e riabilitazione delle patologie del sistema uditivo e vestibolare, nel rispetto delle attribuzioni e delle competenze diagnosticoterapeutiche del medico”. Rientra tra gli atti “tipici” della professione di audiometrista l’esecuzione di “tutte le prove non invasive, psico-acustiche ed elettrofisiologiche, di valutazione e di misura del sistema uditivo e vestibolare” (ex art.1 comma 2, regolamento cit)”.

“Giova richiamare il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 11545 del 15/12/2011, secondo cui gli atti considerati dall’art. 348 cod. pen. « non sono solo quelli attribuiti in modo esclusivo a una determinata professione, ma tutti gli atti che comunque la caratterizzano e che comprendono, oltre quelli che le sono esclusivi (cioè tipici e alla stessa riservati), anche quelli che chiunque può occasionalmente compiere ma il cui compimento (strumentalmente connesso alla professione) resta invece “riservato” se avviene in modo continuativo, organizzato e remunerat », così da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. Anche in questo caso è stato affermato dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite che si ha esercizio della professione, per il quale è richiesta l’iscrizione nel relativo albo, perché ricorre allo stesso modo la necessità, che giustifica l’incriminazione, di tutelare le persone dal rischio di affidarsi a soggetti inesperti della professione o comunque non titolati ad esercitarla. Va al riguardo osservato che il riferimento alla qualifica di consulenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che secondo l’assunto dei ricorrenti sarebbe stata esplicitata ai fruitori del servizio non assume alcuna rilevanza perché inidonea a superare le oggettive apparenze del carattere professionale dell’attività svolta come soggetto regolarmente abilitato”.

 

Le fattispecie incriminatrici:

Art. 348 c.p. – Esercizio abusivo di una professione

Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.

La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attivita’, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attivita’ regolarmente esercitata.

Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attivita’ delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

 

Art. 193 R.D. 1265/1934

Nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, case o pensioni per gestanti, senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale di sanità.

L’autorizzazione predetta è concessa dopo che sia stata assicurata la osservanza delle prescrizioni stabilite nella legge di pubblica sicurezza per l’apertura dei locali ove si da alloggio per mercede.

Il contravventore alla presente disposizione ed alle prescrizioni, che il prefetto ritenga di imporre nell’atto di autorizzazione, è punito con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda da lire 1.000.000 a 2.000.000.

Il prefetto, indipendentemente dal procedimento penale, ordina la chiusura degli ambulatori o case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica ovvero delle case o pensioni per gestanti aperte o esercitate senza l’autorizzazione indicata nel presente articolo. Il prefetto può, altresì, ordinare la chiusura di quelli fra i detti istituti nei quali fossero constatate violazioni delle prescrizioni contenute nell’atto di autorizzazione od altre irregolarità. In tale caso, la durata della chiusura non può essere superiore a tre mesi. Il provvedimento del prefetto è definitivo.

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. un., 15/12/2011, n.11545

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. (Fattispecie relativa all’abusivo esercizio della professione di commercialista).

 

Cassazione penale sez. VI, 03/10/2001, n.39087

Non integra il reato di esercizio abusivo della professione di biologo la condotta di chi, avendo messo a disposizione del pubblico un apparecchio per autodiagnosi, esegua in luogo dell’interessato quelle operazioni materiali necessarie per il funzionamento dello strumento, in quanto in ogni caso l’acquisizione e la valutazione dei dati e la conseguente formulazione della diagnosi avvengono attraverso procedure informatiche che prescindono da qualsiasi intervento umano. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che non commette il reato di cui all’art. 348 c.p. l’addetto alla farmacia che, assistendo un cliente, compie gli atti materiali di prelievo di una goccia di sangue, confezionamento del “vetrino” ed inserimento nella macchina, per l’esame dell’ematocrito, glicemia, colesterolemia e trigliceridi).

 

La rassegna dei più recenti arresti giurisprudenziali in materia di esercizio abusivo della professione medica:

Cassazione penale sez. VI, 08/07/2020, n.21989

In tema di esercizio abusivo della professione medica, risponde a titolo di concorso nel reato il responsabile di uno studio medico che consenta o agevoli lo svolgimento dell’attività da parte di soggetto che egli sa non essere munito di abilitazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che il professionista abilitato non versa in posizione di garanzia rispetto al reato commesso dal soggetto non abilitato, sicché la responsabilità a titolo di concorso si fonda sulla consapevolezza dell’assenza del titolo ed il connesso assenso, anche tacito, all’esecuzione di atti professionali).

 

Cassazione penale sez. VI, 10/07/2019, n.13556

La ‘psicoanalisi’ va intesa come ‘psicoterapia’, caratterizzata da un percorso, che è anche terapeutico e volto a procurare la guarigione da talune patologie, e deve essere inquadrata nella professione medica o di psicologo, con conseguente configurabilità del reato ex art. 348 c.p. in carenza delle condizioni legittimanti tale professione.

 

Cassazione penale sez. VI, 08/03/2018, n.29667

Integra “il fumus comissi delicti”, relativamente al reato di esercizio abusivo della professione medica, la condotta del fisioterapista che, in assenza di prescrizione, ponga in essere trattamenti sanitari, atteso che la laurea in fisioterapia non abilita ad alcuna attività di diagnosi consentendo al fisioterapista il solo svolgimento, anche in autonomia, di attività esecutiva della prescrizione medica.

 

Cassazione penale sez. VI, 09/11/2017, n.2691

In tema di esercizio abusivo della professione, di cui all’art. 348 c.p., lo svolgimento dell’attività di odontoiatra, disciplinata dalla l. 24 luglio 1985, n. 409, in via ordinaria, è consentito solo a colui che, dopo il conseguimento della laurea in odontoiatria e protesi dentaria, abbia superato l’esame di Stato e sia iscritto al relativo albo, nonché, limitatamente al regime transitorio previsto dall’art. 20 della medesima legge, ai laureati in medicina e chirurgia, iscritti all’albo degli odontoiatri, qualora sussista una delle seguenti condizioni: a) immatricolazione al relativo corso di laurea prima del 28 gennaio 1980; b) immatricolazione negli anni compresi tra il 1980-81 ed il 1984-85 con superamento delle prove attitudinali previste per l’iscrizione all’Albo degli odontoiatri di cui al d.lg. 13 ottobre 1998, n. 386; c) conseguimento della specializzazione in campo odontoiatrico da parte di un soggetto immatricolato negli anni compresi tra il 1980-81 ed il 1984-85, esonerato dalle prove attitudinali. 

 

Cassazione penale sez. VI, 07/10/2016, n.48948

Non può evocare l’esimente dell’avere agito in stato di necessità, ex art. 56 c.p., e risponde di concorso in esercizio abusivo della professione medica, ai sensi dell’art. 348 c.p., il direttore sanitario di un ambulatorio odontoiatrico che abbia consentito ad un soggetto non abilitato di eseguire un intervento su di un paziente in assenza di riscontri circa l’estrema urgenza e indifferibilità dell’intervento medesimo, essendosi, di contro, accertato che, nell’assenza del titolare, oltre al paziente in discussione, altri pazienti si trovano simultaneamente in attesa nello studio dentistico, uno dei quali era lì giunto per via di un appuntamento concordato direttamente con l’imputato.

 

Cassazione penale sez. III, 24/05/2016, n.5235

Bene è ritenuta la configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione) nella condotta costituita dalla somministrazione ad un cavallo, senza prescrizione del medico veterinario, da parte di soggetto privo di abilitazione professionale, di un farmaco antidolorifico, nulla rilevando in contrario che trattisi di farmaco c.d. “da banco”, acquistabile in farmacia senza necessità di ricetta medica.

 

Cassazione penale sez. VI, 15/03/2016, n.13213

Risponde del reato di esercizio abusivo della professione, previsto dall’art. 348 c.p., colui che, senza aver conseguito la laurea in medicina e la relativa abilitazione professionale, eserciti l’attività di massaggiatore a scopo curativo, posto che la professione sanitaria di massaggiatore abilita solo a compiere trattamenti finalizzati a migliorare il benessere personale su un soggetto sano e integro e non il compimento di attività che presuppongono competenze mediche, terapeutiche o fisioterapiche.

 

Cassazione penale sez. VI, 26/01/2016, n.8885

Ciò che rileva ai fini dell’accertamento del reato di esercizio abusivo della professione medica non è il metodo scientifico adoperato, ma la natura dell’attività svolta. Posto, pertanto, che deve riconoscersi la possibilità del libero svolgimento di attività rientranti nel novero della medicina alternativa, risponde del reato de quo il naturopata che svolga gli atti tipici riservati alla professione medica, quali la diagnosi, la profilassi e la cura di malattie (nello specifico la Corte ha precisato che, ai fini della configurabilità del reato, laddove siano svolte tali attività, sono irrilevanti sia la circostanza che il soggetto agente non si presenti come medico, ma come esercente un’attività alternativa a quella della medicina tradizionale, sia lo svolgimento di tali attività con tecniche o metodi non tradizionali, come quelli omeopatici o naturopati).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA