Non risponde di lesioni colpose il preposto di fatto laddove non sia dimostrata con certezza la conoscenza o conoscibilità di prassi incaute seguite dai lavoratori.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 1096.2021, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di lesioni colpose commesse in violazione delle norme antinfortunistiche da parte del preposto di fatto, si sofferma sul cd. principio di esigibilità nell’ambito dell’accertamento dell’elemento psicologico della colpa in capo al garante della sicurezza.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia il principio di diritto secondo il quale, ai fini del riconoscimento della responsabilità penale del preposto di fatto, è necessario acquisire elementi probatori, anche di tipo logico, certi e oggettivi in ordine alla conoscenza o conoscibilità da parte del garante della sicurezza di prassi comportamentali contrarie alla normativa antinfortunistica, non potendo altrimenti ritenersi esigibile, da parte del titolare della posizione di garanzia, la condotta doverosa consistente nel pretendere l’osservanza delle regole cautelari da parte dei lavoratori.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 1096.2021;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di responsabilità penale del preposto, oltre agli approfondimenti in merito a tale posizione di garanzia che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

L’infortunio sul lavoro, il reato contestato e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie, il dipendente addetto al reparto macelleria del supermercato era impegnato nell’utilizzo della macchina sega-ossi, della quale urtava la lama con la mano, procurandosi lesioni personali, in ragione dell’omesso utilizzo dei mezzi di protezione in conformità alle istruzioni d’uso del fabbricante.

All’imputato tratto a giudizio nella qualità di responsabile del supermercato, il quale al momento del fatto sostituiva il caporeparto della relativa posizione di garanzia, era stato contestato il delitto di lesioni colpose, commesso in violazione dell’art. 19 co. 1 lett. a) D.lgs. 81/2008, per aver omesso di sovrintendere e vigilare sull’utilizzo da parte del dipendente dei mezzi di protezione previsti.

La Corte di appello di Bologna confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando due motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento riveste particolare interesse la deduzione del vizio di motivazione in ordine alla posizione di garanzia rivestita dal ricorrente – il quale, in quanto direttore, non può avere contezza delle lavorazioni di ciascun reparto.

La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento.

“Nel caso di specie, viene infatti in rilievo il c.d. principio di esigibilità. La colpa ha, infatti, un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura più squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare. Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’osservanza delle norme cautelari violate (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014). Il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella possibilità soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l’osservanza della regola stessa: in sostanza, nell’esigibilità del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che si colloca nell’ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all’agente. A questo profilo della responsabilità colposa la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019; Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016).

Da queste considerazioni deriva che la veste di “preposto di fatto” che il giudice di appello attribuisce al V., attesa l’assenza per ferie del M., non costituisce di per sé prova né della conoscenza né della conoscibilità, da parte di quest’ultimo, di prassi comportamentali, più o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica. E’ pur vero che il preposto è soggetto agli obblighi di cui al citato D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19, ma un’eventuale condotta omissiva al riguardo non può essergli ascritta laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l’avesse colposamente ignorata. Tale certezza può, in alcuni casi, inferirsi da considerazioni di natura logica, laddove, ad esempio, possa ritenersi che la prassi elusiva costituisca univocamente frutto di una scelta aziendale, finalizzata, in ipotesi, ad una maggiore produttività. Ma quando, come in questo caso, non vi siano elementi di carattere logico per dedurre la conoscenza o la conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del garante – che, nel caso in esame, proprio perchè preposto non vantava uno specifico interesse al riguardo – è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi che dimostrino tale conoscenza o conoscibilità. Diversamente opinando, si porrebbe in capo alla figura che riveste una posizione di garanzia una inaccettabile responsabilità penale “di posizione”, tale da sconfinare nella responsabilità oggettiva (Sez. 4, n. 20833 del 03/04/2019)”.

 

La norma incriminatrice:

Art. 590 c.p. – Lesioni personali colpose

Chiunque cagiona ad altri per colpa [43] una lesione personale [582] è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a 309 euro.

Se la lesione è grave [5831] la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 123 euro a 619 euro; se è gravissima [5832], della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da 309 euro a 1.239 euro.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell’esercizio abusivo di una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena per lesioni gravi e’ della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime e’ della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa [120], salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. IV, 16/04/2019, n.32507

In tema di infortuni sul lavoro, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato senza rinvio, “perché il fatto non costituisce reato”, la sentenza di condanna del legale rappresentante di una società di raccolta rifiuti per l’omicidio colposo di un lavoratore deceduto perché, dopo aver ritirato l’ultimo sacchetto di rifiuti, anziché salire nella cabina del camion, si era aggrappato dietro allo stesso, rilevando che la vigilanza che i veicoli venissero utilizzati in maniera conforme alle prescrizioni contenute nel documento di valutazione dei rischi era stata delegata ai capisquadra presenti sui mezzi, e che era impossibile una diuturna vigilanza su mezzi circolanti ininterrottamente).

 

Cassazione penale sez. IV, 03/04/2019, n.20833

In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l’utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e, in tal senso, del fatto di esigere che tali dispositivi non vengano rimossi. Peraltro, in caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse e ricorrenti, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi o che le avesse colposamente ignorate. In effetti, tale certezza può, in alcuni casi inferirsi sul piano logico (ad esempio, qualora la rimozione dei dispositivi di protezione sia univocamente frutto di una precisa scelta aziendale chiaramente finalizzata ad una maggiore produttività). Ma quando non vi siano elementi di natura logica per dedurre la conoscenza o la certa conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del titolare della posizione di garanzia datoriale, è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi e oggettivi che attestino tale conoscenza/conoscibilità: diversamente opinando, infatti, si porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità penale “di posizione” tale da eludere l’accertamento della prevedibilità dell’evento e da sconfinare, in modo inaccettabile, nella responsabilità oggettiva (nella specie, è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna perché motivata in modo carente sulla conoscenza da parte del datore di lavoro della prassi aziendale irregolare che aveva determinato l’incidente, non risultando approfondita la circostanza che gli addetti alla vigilanza avessero effettivamente informato di tale prassi il datore di lavoro, anche in ragione della dimensione dell’azienda).

 

Cassazione penale sez. IV, 19/11/2015, n.12478

La regola cautelare, fondata sulla prevedibilità ed evitabilità dell’evento, ha riguardo ai casi in cui la verificazione di questo, in presenza della condotta colposa, può ritenersi, se non certa, quanto meno possibile sulla base di elementi di indagine dotati di adeguata concretezza e affidabilità, sia pure solo di consistenza empirica e non scientifica. Essa, invece, non può essere individuata sulla scorta del principio di precauzione, che ha riguardo ai casi per i quali si è rimasti al livello del “sospetto” che, in presenza di certi presupposti, possano verificarsi effetti negativi (in particolare sulla salute dell’uomo) e dunque quando manchi in senso assoluto una possibile spiegazione dei meccanismi causali o non si disponga di concreti elementi d’indagine (sia pure di consistenza empirica e non scientifica) idonei a formulare attendibili e concrete previsioni circa il ricorso di eventuali connessioni causali tra la condotta sospetta e gli eventi lesivi.

 

Cassazione penale sez. un., 24/04/2014, n.38343

In tema di colpa, la necessaria prevedibilità dell’evento anche sotto il profilo causale, non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo.

 

La rassegna delle più significative massime sulla posizione di garanzia del preposto:

Cassazione penale sez. IV, 05/10/2018, n.49373

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, anche se formalmente ha appaltato a terzi le opere che hanno dato origine all’infortunio. In particolare, ai sensi dell’art. 26 d.lg. n. 81 del 2008, il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo, è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa e a coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori.

 

Cassazione penale sez. IV, 10/10/2017, n.50037

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto. (Fattispecie relativa all’assunzione di fatto degli obblighi di garanzia del datore di lavoro o del preposto da parte del dipendente che dirigeva personalmente gli operai in cantiere, dando indicazioni al lavoratore infortunato circa le modalità di esecuzione dei lavori, in difformità da quanto previsto nel piano operativo di sicurezza).

 

Cassazione penale sez. IV, 06/05/2016, n.24136 

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo. (In motivazione la Corte ha precisato che deve ritenersi, comunque, responsabile il datore di lavoro, per il potere-dovere generale di vigilanza su di lui gravante, in tutte le ipotesi in cui l’organizzazione aziendale non presenta complessità tali da sollevare del tutto l’organo apicale dalle responsabilità connesse gestione del rischio).

 

Cassazione penale sez. IV, 24/11/2015, n.4340

In tema di sicurezza sul lavoro, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, tra cui rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative “contra legem”. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del capo-cantiere in ordine al reato di omicidio colposo per non aver impedito che i lavoratori operassero quotidianamente all’interno di uno scavo privo delle idonee armature di sostegno).

 

Cassazione penale sez. IV, 17/04/2013, n.24764

In tema di prevenzione degli infortuni, il “sorvegliante di cava”, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l’esecuzione, sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità di un “sorvegliante di cava” per aver consentito ad un dipendente inesperto di movimentare blocchi di marmo, la cui caduta provocava a quest’ultimo lo schiacciamento e la successiva amputazione di una gamba).

 By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA