I reati contro la pubblica amministrazione ascrivibili all’esercente la professione sanitaria con l’aggiornamento della giurisprudenza di legittimità al gennaio 2021.

Nell’ambito dell’attività professionale svolta dal legale nell’interesse dei professionisti sanitari nella quasi totalità dei casi l’attività defensionale viene svolta per l’assistenza nei procedimenti penali relativi ai reati colposi di evento, ossia lesioni colpose (art. 590 cod. pen.) ed omicidio colposo (art.589 cod. pen.).

Tuttavia il perimetro della responsabilità penale non si esaurisce nell’alveo dei delitti contro la persona, potendo interessare altre fattispecie, molte delle quali relative a reati che tutelano il bene giuridico della trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.

Di seguito si riportano le ipotesi di reati che con maggiore frequenza possono interessare il medico ed il personale paramedico, dando evidenza alla singola norma incriminatrice – con indicazione degli elementi costitutivi, prescrizione, autorità giudiziaria competente e procedibilità del reato – corredata dalla più recente e significativa giurisprudenza di legittimità aggiornata al mese di gennaio 2021.

Abusivo esercizio di una professione – art. 348 c.p.

Rifiuto di atti d’ufficio – art. 328 c.p.

Peculato – art. 314 c.p.

Abuso d’ufficio – art. 323 c.p.

Concussione – art. 317 c.p.

Corruzione per l’esercizio della funzione – art. 318 c.p.

Corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio – art. 319 c.p.

Art. 348 c.p. – Abusivo esercizio di una professione

Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.

La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.

Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

 

Elemento oggettivo: Svolgimento di una professione in assenza del titolo di abilitazione ovvero in violazione delle formalità prescritte dalle leggi professionali.

Elemento soggettivo: dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di esercitare indebitamente una professione.

Momento di consumazione: il delitto si consuma con la realizzazione del primo atto di esercizio abusivo della professione.

Prescrizione: 6 anni

Competenza: Tribunale monocratico

Procedibilità: d’ufficio

 

La rassegna delle più significative pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema di esercizio abusivo della professione sanitaria:

Cassazione penale sez. VI, 08/07/2020, n.21989

In tema di esercizio abusivo della professione medica, risponde a titolo di concorso nel reato il responsabile di uno studio medico che consenta o agevoli lo svolgimento dell’attività da parte di soggetto che egli sa non essere munito di abilitazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che il professionista abilitato non versa in posizione di garanzia rispetto al reato commesso dal soggetto non abilitato, sicché la responsabilità a titolo di concorso si fonda sulla consapevolezza dell’assenza del titolo ed il connesso assenso, anche tacito, all’esecuzione di atti professionali).

 

Cassazione penale sez. VI, 12/02/2020, n.12539

Non integra il reato di esercizio abusivo della professione di cui all’art. 348 c.p., non essendo richiesto il conseguimento di una specifica abilitazione professionale ovvero l’iscrizione in appositi albi od elenchi, lo svolgimento dell’attività di massaggiatore a scopo non terapeutico, finalizzata esclusivamente al benessere personale o al miglioramento estetico, come i trattamenti antietà, anticellulite o antistress.(Fattispecie relativa alla offerta di massaggi in spiaggia ai bagnanti).

 

Cassazione penale sez. VI, 10/07/2019, n.13556

La ‘psicoanalisi’ va intesa come ‘psicoterapia’, caratterizzata da un percorso, che è anche terapeutico e volto a procurare la guarigione da talune patologie, e deve essere inquadrata nella professione medica o di psicologo, con conseguente configurabilità del reato ex art. 348 c.p. in carenza delle condizioni legittimanti tale professione.

 

Cassazione penale sez. VI, 07/06/2018, n.37767

In tema di esercizio abusivo della professione, le figure professionali dell’infermiere e dell’ostetrica sono fra loro profondamente differenti quanto a rispettivo ambito di operatività e a titolo abilitativo, trovando la rispettiva disciplina nei decreti del ministro della Sanità n. 739 e 740 del 14 settembre 1994: l’infermiere è, infatti, l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica, deputata principalmente alla prevenzione delle malattie, all’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e alla educazione sanitaria; mentre l’ostetrica è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza durante il parto e nel puerperio, conduce e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato.

 

Cassazione penale sez. VI, 08/03/2018, n.29667

Integra “il fumus comissi delicti”, relativamente al reato di esercizio abusivo della professione medica, la condotta del fisioterapista che, in assenza di prescrizione, ponga in essere trattamenti sanitari, atteso che la laurea in fisioterapia non abilita ad alcuna attività di diagnosi consentendo al fisioterapista il solo svolgimento, anche in autonomia, di attività esecutiva della prescrizione medica.

 

Cassazione penale sez. VI, 09/11/2017, n.2691

In tema di esercizio abusivo della professione, di cui all’art. 348 c.p., lo svolgimento dell’attività di odontoiatra, disciplinata dalla l. 24 luglio 1985, n. 409, in via ordinaria, è consentito solo a colui che, dopo il conseguimento della laurea in odontoiatria e protesi dentaria, abbia superato l’esame di Stato e sia iscritto al relativo albo, nonché, limitatamente al regime transitorio previsto dall’art. 20 della medesima legge, ai laureati in medicina e chirurgia, iscritti all’albo degli odontoiatri, qualora sussista una delle seguenti condizioni: a) immatricolazione al relativo corso di laurea prima del 28 gennaio 1980; b) immatricolazione negli anni compresi tra il 1980-81 ed il 1984-85 con superamento delle prove attitudinali previste per l’iscrizione all’Albo degli odontoiatri di cui al d.lg. 13 ottobre 1998, n. 386; c) conseguimento della specializzazione in campo odontoiatrico da parte di un soggetto immatricolato negli anni compresi tra il 1980-81 ed il 1984-85, esonerato dalle prove attitudinali. 

 

Cassazione penale sez. III, 24/05/2016, n.5235

Bene è ritenuta la configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione) nella condotta costituita dalla somministrazione ad un cavallo, senza prescrizione del medico veterinario, da parte di soggetto privo di abilitazione professionale, di un farmaco antidolorifico, nulla rilevando in contrario che trattisi di farmaco c.d. “da banco”, acquistabile in farmacia senza necessità di ricetta medica.

 

Cassazione penale sez. VI, 26/02/2015, n.20312

Il direttore di uno studio medico, che non accerti che un soggetto operante nella struttura da lui diretta sia in possesso del titolo abilitante, risponde di concorso nel reato previsto dall’art. 348, c.p., con la persona non titolata (oltre che di cooperazione, ex art. 113, c.p., negli eventuali fatti colposi da quest’ultima persona commessi, se derivanti dalla mancanza di professionalità del collaboratore e prevedibili secondo l’”id quod plerumque accidit”).

 

Cassazione penale sez. V, 10/02/2015, n.19554

È responsabile del reato di cui agli art. 348, 582 e 495, c.p. chi esercita abusivamente la professione di medico chirurgo in mancanza della relativa abilitazione professionale, a nulla rilevando il successo di interventi medici realizzati.

 

Cassazione penale sez. VI, 11/12/2014, n.916

È legittima la condanna per concorso in esercizio abusivo della professione ai sensi dell’art. 348 c.p. comminata nei confronti del medico titolare di uno studio odontoiatrico all’interno del quale sia stata sorpresa l’assistente dello stesso, priva di titoli abilitativi, nell’atto di porre in essere nella bocca dei pazienti atti di natura odontoiatrica (nello specifico l’assistente indossava camice e mascherina e si accingeva ad effettuare la pulizia dei denti di un paziente.

 

Art. 328 c.p. – Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione

Il pubblico ufficiale [357] o l’incaricato di un pubblico servizio [358], che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio [366, 3885] che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.

 

Elemento oggettivo: comma 1: diniego di compiere un atto doveroso, in seguito ad una richiesta di intervento, in assenza di un motivo legittimo; comma 2: mancato compimento dell’atto richiesto e omessa motivazione delle ragioni del ritardo.

Elemento soggettivo: dolo generico consistente nella coscienza e volontà di rifiutare di compiere un atto d’ufficio. È richiesta la conoscenza della richiesta e della illiceità del rifiuto.

Momento di consumazione: comma 1: momento in cui si verifica il rifiuto; comma 2: alla scadenza del termine di trenta giorni dalla ricezione della richiesta scritta.

Prescrizione: 6 anni

Competenza: Tribunale collegiale

Procedibilità: d’ufficio

 

La rassegna della più significativa giurisprudenza di legittimità in tema di rifiuto di atti d’ufficio da parte del medico pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio:

Cassazione penale sez. VI, 28/01/2020, n.8377

Il delitto di abuso d’ufficio punito dall’art. 328 c.p. è reato di pericolo, dal momento che prescinde dalla causazione di un danno effettivo, di talché si può configurare nell’ipotesi – pienamente sindacabile dal Giudice ex art. 13, comma 3, d.P.R. n. 41/1991 – in cui una guardia medica non aderisca alla richiesta di intervento domiciliare urgente, limitandosi a suggerire al paziente l’opportunità di richiedere l’intervento del “118” per il trasporto in ospedale, dimostrando così di essersi reso conto che la situazione denunciata richiedeva il tempestivo intervento di un sanitario (nello specifico il sanitario non aveva aderito alla richiesta di recarsi al domicilio di un paziente malato terminale per la prescrizione di un antidolorifico per via endovena e si era limitato a formulare per via telefonica le sue valutazioni tecniche e a consigliare la somministrazione di un altro farmaco di cui il paziente già disponeva).

 

Cassazione penale sez. VI, 15/01/2019, n.2979

Sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice d’appello, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado dal reato di omicidio colposo, condanni l’imputato, sia pure ai soli effetti civili, per il reato doloso di rifiuto di atti d’ufficio, trattandosi di fatto significativamente diverso da quello contestato con l’originaria imputazione, in specie nel mutato elemento psicologico, con conseguente difetto della concreta possibilità di esercizio dei correlati poteri difensivi dell’imputato.

 

Cassazione penale sez. VI, 08/01/2019, n.34535

Commette il reato di rifiuto di atti di ufficio la guardia medica che rifiuta di recarsi presso una struttura lontana per effettuare una visita a domicilio. (Nel caso di specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un medico, condannato nei gradi di merito per il reato di cui all’articolo 328 del codice penale, per non essersi recato presso un albergo molto distante a fronte della chiamata dell’albergatore che invocava un aiuto medico; infatti pur non essendo a rischio la vita di nessuno, vi era comunque l’obbligo per il medico di eseguire la visita richiesta, considerata la preoccupante situazione che era stata esposta dal titolare dell’albergo).

 

Cassazione penale sez. VI, 30/05/2018, n.40802

Ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del delitto di rifiuto di atti d’ufficio, è necessario che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento “contra ius”, senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione.

 

Cassazione penale sez. VI, 19/04/2018, n.24952

Non integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del medico che, pur dopo averlo già iniziato, interrompe e posticipa un intervento chirurgico se questo non è indifferibile e la decisione si fonda su esigenze di sicurezza per la salute del paziente.

 

Cassazione penale sez. VI, 13/04/2018, n.24162

Deve essere confermata la responsabilità per rifiuto di atti d’ufficio per il medico in servizio presso il pronto soccorso che indebitamente si era rifiutato di accettare un paziente giunto in codice rosso con patologia cardiologica, eccependo una interruzione del servizio di radiodiagnostica, atteso che tale rifiuto risultava ingiustificato sia in relazione al previsto rispristino del servizio di radiologia, che sarebbe avvenuto pochi minuti dopo l’arrivo della paziente, , sia pure in relazione alla essenzialità di detto servizio, rispetto ad una serie di accertamenti che potevano prescindere da esso.

 

Cassazione penale sez. VI, 12/07/2017, n.43123

Integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di recarsi al domicilio di un paziente malato terminale per la prescrizione di un antidolorifico per via endovena e si limiti a formulare per via telefonica le sue valutazioni tecniche e a consigliare la somministrazione di un altro farmaco di cui il paziente già dispone, trattandosi di un intervento improcrastinabile che, in assenza di altre esigenze del servizio idonee a determinare un conflitto di doveri, deve essere attuato con urgenza, valutando specificamente le peculiari condizioni del paziente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto, in virtù delle peculiari condizioni in cui versava il paziente, che il medico sarebbe dovuto intervenire con urgenza per evitare che si consumassero le ragioni della sua necessità.).

 

Cassazione penale sez. VI, 12/07/2017, n.43123

Integra il reato di omissione di atti d’ufficio il medico di guardia che si limita a consigli telefonici quando l’intervento domiciliare richiesto è non solo urgente ma anche improcrastinabile (nella specie si trattava di intervenire per alleviare i forti dolori di una paziente alla quale restavano poche ore di vita e in una condizione in cui l’intervento doveva essere attuato valutando specificamente le peculiari condizioni in cui la paziente si trovava, anche a causa di precedenti trattamenti praticati per alleviarle i dolori).

 

Cassazione penale sez. VI, 29/05/2017, n.35233

Il reato di rifiuto di atti d’ufficio è un reato di pericolo; la violazione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice ricorre tutte le volte in cui viene negato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze protette e considerate dall’ordinamento, a prescindere dall’esito concreto dell’omissione (confermata la condanna per l’imputato che, in qualità di medico di base, aveva rifiutato di prescrivere dei farmaci di cui una donna aveva bisogno, tentando, fra l’altro, di spingerla fuori dallo studio).

 

Cassazione penale sez. VI, 30/03/2017, n.21631

Il reato di rifiuto di atti d’ufficio di cui all’art. 328, comma 1, c.p. è un reato di pericolo che prescinde dal concreto esito dell’omissione e che, in ambito sanitario, si configura non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, essendo del tutto privo di fondamento, pertanto, l’assunto per cui la configurabilità del reato in parola ricorrerebbe solo con riguardo all’attività del medico di guardia che ometta di recarsi a visitare il paziente presso il proprio domicilio e non anche, a determinate condizioni, con riguardo al sanitario che presti tale attività presso una struttura ospedaliera in cui il paziente è assistito da personale infermieristico dedito a monitorarne le condizioni fisiche e i parametri vitali.

 

Cassazione penale sez. VI, 29/09/2016, n.40753

Non costituisce legittimo esercizio di un potere discrezionale, ma integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 comma 1 c.p.) la condotta del medico di guardia del pronto soccorso che si rifiuti di visitare il paziente, adducendo la pretesa differibilità dell’intervento, testimoniata dall’attribuzione del codice di triage verde, anche laddove le condizioni di salute del medesimo non siano poi risultate gravi in concreto o non si siano aggravate in conseguenza dell’omissione. 

 

Cassazione penale sez. VI, 27/10/2015, n.47206

Il medico in servizio di reperibilità di cui sia stato richiesto l’intervento in ospedale da parte di medico già presente, per una situazione di urgenza sanitaria da quest’ultimo valutata sussistente, risponde del reato di rifiuto di atti d’ufficio, ove si rifiuti di recarsi in ospedale, sul presupposto che non sarebbe ravvisabile alcuna situazione di urgenza: ciò perché il sanitario in servizio di pronta reperibilità non ha alcuna possibilità di sindacare la necessità e l’urgenza della chiamata.

 

Cassazione penale sez. III, 17/02/2015, n.9809

Non è configurabile il delitto di omissione di atti d’ufficio, di cui all’art. 328 c.p., a carico del medico di guardia medica non intervenuto al domicilio del paziente, poi deceduto, qualora non sussista alcun collegamento eziologico tra l’omissione contestata al medico di guardia e il decesso del paziente.

 

Cassazione penale sez. VI, 20/01/2015, n.10130

Non risponde del delitto di rifiuto di atti d’ufficio il medico che, durante il turno di guardia medica, anziché recarsi di persona a visitare il paziente che denunci i sintomi di una malattia, ritenga sufficiente prescrivere una terapia farmacologica, allorquando non si accerti che la visita domiciliare fosse effettivamente obbligatoria in ragione del contesto della vicenda, e ciò in ragione dello spazio di discrezionalità scientifica comunque attribuita al sanitario.

 

Cassazione penale sez. VI, 11/11/2014, n.49537

Si configura il delitto di rifiuto di atti d’ufficio anche in assenza di un danno prodotto dall’indebito comportamento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Si tratta, infatti, di un reato di pericolo, per la cui realizzazione non è richiesto necessariamente il rifiuto di un atto urgente richiesto od ordinato da altri, bensì è sufficiente la reiezione di un atto dovuto senza ritardo quando le circostanze sostanziali ne richiedano il compimento (fattispecie relativa al rifiuto opposto da due infermieri professionali, in servizio nel reparto psichiatria, di prestare assistenza ad una paziente con disturbi mentali – che lamentava forti emicranie e capogiri, a causa dei quali era anche caduta riportando lesioni all’arcata sopraccigliare – nonché di allertare il medico di turno per vagliarne eventuali patologie).

 

Cassazione penale sez. VI, 30/09/2014, n.4584

Deve essere riconosciuta la responsabilità ex art. 328 c.p. per il sanitario che si rifiuta di ricoverare il paziente con diagnosi di politrauma da incidente stradale proveniente da altro ospedale per essere sottoposto a TAC e che accusi gravi ed improvvisi dolori addominali, trattandosi di una situazione con possibili conseguenze negative per la salute del paziente, cui non può opporsi alcun comportamento dilatorio, né un rifiuto avanzato sulla base del generico e formalistico richiamo a disposizioni regolamentari o a protocolli operativi secondo cui l’Ospedale che per primo prende in carico il paziente deve seguirlo per tutta la durata della degenza e deve coordinare tutti gli accertamenti del caso.

 

 

Art. 323 c.p. – Abuso d’ufficio

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

 

Elemento oggettivo: il reato di abuso d’ufficio può essere realizzato da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento della propria funzione o servizio, viola norme di legge o di regolamento, ovvero omette di astenersi in presenza di un conflitto di interessi.

Elemento soggettivo: dolo generico, che richiede la coscienza e volontà di porre in essere la condotta abusiva e la consapevolezza dell’esercizio di una pubblica funzione o servizio con violazione di norme di legge o regolamento, compreso l’obbligo di astensione in presenza di conflitto di interessi.

Momento di consumazione: momento in cui si consegue un ingiusto vantaggio, ovvero di arreca ad altri un danno ingiusto.

Prescrizione: 6 anni

Competenza: Tribunale collegiale

Procedibilità: d’ufficio

 

La rassegna della più significativa giurisprudenza di legittimità in tema di abuso d’ufficio:

Cassazione penale sez. VI, 27/01/2016, n.6275

Integra il reato di abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p. la condotta del Direttore sanitario nonché presidente della commissione Ufficio Procedimenti Disciplinari di un ente ospedaliero che, avendo ricevuto una specifica relazione scritta, abbia omesso l’assunzione di qualunque iniziativa disciplinare nei confronti di un medico che non aveva attestato nelle schede operatorie da lui redatte l’attiva partecipazione a due interventi chirurgici di un terzo medico non autorizzato, limitandosi ad informare il direttore del reparto in cui prestava servizio detto medico.

 

Cassazione penale sez. II, 27/10/2015, n.46096

In tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 Cost., nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni. (Nella specie, la S.C. ha reputato immune da censure la decisione impugnata che aveva ravvisato, nel comportamento tenuto dai due direttori di unità operativa ospedaliera succedutisi nel tempo, una condotta penalmente rilevante, consistita nel progressivo svuotamento del carico assistenziale del medico referente dell’esecuzione di prestazioni specialistiche).

 

Cassazione penale sez. VI, 24/09/2012, n.40824

Configura il reato di abuso di ufficio la condotta del medico ospedaliero che, contravvenendo all’obbligo di astensione, all’atto delle dimissioni di un paziente sottoposto ad intervento chirurgico lo inviti a recarsi presso il proprio studio professionale per la visita di controllo post-operatoria invece di indirizzarlo presso il medesimo presidio ospedaliero. (Nella specie, la S.C. ha precisato che tale visita di controllo rientra nel “rapporto terapeutico” basato sulla prestazione medica, anche successiva all’intervento, e sulla controprestazione del pagamento del ticket).

 

Cassazione penale sez. VI, 14/06/2012, n.41215

Sussiste il reato di abuso d’ufficio, con violazione di norme di legge, a carico del primario medico che ponga in essere comportamenti di vessazione ed emarginazione dei medici del reparto che non assecondino le proprie scelte (nello specifico, all’imputato era stato contestato di avere abusivamente emarginato un medico in servizio presso il reparto, impedendogli di prestare l’attività chirurgica, e di avere, sempre abusivamente, spossessato delle funzioni e competenze proprie il dirigente sostituto operante nella stessa struttura sanitaria). Ciò in quanto l’art. 13, comma 3, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che impone al pubblico dipendente un particolare dovere di collaborazione con tutti coloro che operano nella struttura amministrativa in cui egli è inserito, si applica sia in ambito di personale pubblico non contrattualizzato, sia in ambito di dirigenza medica, derivando, in particolare, che il primario di un ospedale è tenuto, quale pubblico dipendente, a prestare la sua opera in conformità delle leggi e in modo da assicurare sempre l’interesse della p.a., ispirandosi così, tra l’altro, nei rapporti con i colleghi, proprio ai sensi dell’art. 13 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, al principio di una assidua e solerte collaborazione.

 

Art. 314 c.p. – Peculato

Il pubblico ufficiale [357] o l’incaricato di un pubblico servizio [358], che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi [316-bis, 317-bis, 323-bis].

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita [316-bis, 317-bis, 323-bis].

 

Elemento oggettivo: appropriazione del denaro e della cosa mobile altrui posseduti per ragione dell’ufficio o del servizio del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.

Elemento soggettivo: dolo generico, che richiede la consapevolezza del previo possesso del denaro o della cosa mobile oggetto dell’appropriazione.

Momento di consumazione: momento in cui si realizzano gli atti di appropriazione, ovvero in cui si si imprime alla cosa mobile una destinazione incompatibile con quella originaria.

Prescrizione: comma 1 – 10 anni e 6 mesi; comma 2 – 6 anni.

Competenza: Tribunale collegiale

Procedibilità: d’ufficio

 

La rassegna delle più significative pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema di peculato:

Cassazione penale sez. VI, 04/02/2020, n.11003

Al fine di poter ritenere il reato di peculato, sotto il profilo soggettivo, a carico del medico che non abbia versato parte dei compensi percepiti in regime di convenzione intramuraria, occorre una motivazione particolarmente stringente, per escludere che si sia in presenza di una mera negligenza, allorquando le somme non versate siano risultate di misura estremamente modesta o quasi insignificante rispetto al numero dei casi trattati.

 

Cassazione penale sez. VI, 20/03/2019, n.18192

La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativo al riconoscimento del beneficio. (Fattispecie in tema di pluralità di truffe poste in essere da un medico ospedaliero che, omettendo di informare il datore circa la misura delle prestazioni eseguite intramoenia, induceva lo stesso in errore, conseguendo somme a titolo di indennità di esclusiva e di posizione non dovute).

 

Cassazione penale sez. VI, 19/06/2018, n.40908

Il medico che opera in regime di ‘intra moenia’ assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli. Gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di detta attività acquistano infatti natura pubblica, in virtù della convenzione tra la ASL e il medico dipendente. Integra pertanto il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, non dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.

 

Cassazione penale sez. II, 24/04/2018, n.25976

Commette il reato di peculato il medico ospedaliero che percepisce compensi dai pazienti per visite “intramoenia”, senza formale autorizzazione e senza versare alla struttura la quota prevista per legge, a nulla rilevando circa la configurabilità del delitto il fatto che l’azienda fosse a conoscenza di quanto accaduto. Lo ha ribadito la Cassazione confermando la condanna inflitta ad un medico. Nel caso di specie, si trattava di un cardiologo, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, che per due anni aveva svolto attività intramuraria senza aver richiesto la specifica autorizzazione e senza lasciare nelle casse del nosocomio la quota del 52% di quanto percepito dai pazienti.

 

Cassazione penale sez. VI, 27/09/2017, n.48603

Integra la fattispecie di peculato d’uso la condotta del medico addetto al servizio del 118 che si appropria dell’autoambulanza di cui ha la disponibilità in ragione del servizio svolto, facendone un uso personale e momentaneo (nella specie, si è ritenuto sussistente per la pubblica amministrazione il danno patrimoniale relativo al consumo di carburante e all’usura del mezzo e il disservizio legato al reiterato utilizzo di un mezzo funzionale alla tempestiva assistenza ai pazienti in condizioni di emergenza).

 

Cassazione penale sez. VI, 16/03/2017, n.29782

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria “allargata” (per tale intendendosi l’attività svolta presso il proprio studio privato), dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (Fattispecie in cui il medico era autorizzato alla riscossione diretta dell’onorario ed al rilascio di fattura su apposito bollettario consegnato dalla Asl, per poi riversare all’ente le somme percepite mensilmente nella misura del 50%).

 

 

Cassazione penale sez. VI, 13/10/2016, n.51371

Nel delitto di peculato l’appropriazione consiste in un comportamento uti dominus dell’agente nei confronti della cosa mediante il compimento di atti incompatibili con il titolo per cui possiede, in modo da realizzare la c.d. interversio possessionis e interrompere così la relazione funzionale tra il bene e il legittimo proprietario (fattispecie relativa all’utilizzo di locali e di apparecchiature ospedaliere per fini diversi da quelli istituzionali).

 

Cassazione penale sez. VI, 21/05/2015, n.35988

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non in ragione di un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae, ovvero scaturito da una situazione contra legem, priva di relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che, pur essendo stata accertata l’illecita percezione di denaro e lo svolgimento dell’attività al di fuori delle regole prescritte per l’attività professionale intra moenia, non fosse stato chiarito se l’imputato avesse un titolo di legittimazione in base al quale, operando all’interno di un ospedale pubblico, aveva riscosso le somme di denaro dai pazienti).

 

Cassazione penale sez. VI, 13/03/2013, n.16581

Integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del medico responsabile del SERT che abbia distratto numerose compresse di un medicinale a base di sostanze stupefacenti delle quali aveva la disponibilità per ragioni del suo ufficio per la successiva cessione senza alcun piano terapeutico e senza prescrizione a soggetti tossicodipendenti.

 

Art. 317 c.p. – Concussione

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

 

Elemento oggettivo: abuso della qualità o dei poteri propri del pubblico agente e conseguente costringimento della vittima alla dazione e alla promessa indebita.

Elemento soggettivo: dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di costringere la vittima, con abuso di qualità o di poteri connessi alla propria funzione, a dare o promettere indebitamente.

Momento di consumazione: momento in cui ha luogo la dazione o la promessa.

Prescrizione: 12 anni

Competenza: Tribunale collegiale

Procedibilità: d’ufficio

 

La rassegna della più significativa giurisprudenza di legittimità in tema di concussione:

Cassazione penale sez. VI, 17/09/2020, n.28952

Affinché si possa parlare di concussione del medico inserito in una struttura convenzionata con il S.s.n., è necessario provare che l’intervento presso detta struttura fosse ritenuto dalla paziente ‘l’unica speranza’, e che via sia stata una strumentalizzazione della malattia della paziente da parte del sanitario tale da creare una situazione di pressione sulla stessa, in funzione della soluzione ‘salvifica’ dell’intervento presso la struttura convenzionata, cosicché la stessa si sia determinata solo per tale motivo a consegnargli una somma di denaro.

 

Cassazione penale sez. VI, 05/03/2019, n.13411

Integra il delitto di concussione e non quello di induzione indebita, la condotta del dirigente medico preposto ad eseguire le interruzioni di gravidanza, il quale, approfittando della grave compressione della libertà di autodeterminazione delle vittime e palesando l’insussistente impossibilità di eseguire gli interventi presso la struttura pubblica, prospetti quale unica alternativa l’illecita esecuzione degli aborti presso il suo studio privato previo versamento di un corrispettivo in danaro.

 

Cassazione penale sez. VI, 15/11/2016, n.53444

Integra il reato di concussione la condotta del medico in servizio presso il reparto di ginecologia di un ospedale, il quale, strumentalizzando la propria posizione in ambito ospedaliero (era uno dei sanitari non obiettori in servizio presso l’ambulatorio di interruzione volontaria della gravidanza), con la prospettazione di lungaggini nella pratica standard e ostacoli organizzativi, induca le donne gravide, che avevano necessità di abortire in tempi contenuti, a un aborto illegale a pagamento presso il proprio studio.

 

Cassazione penale sez. VI, 11/02/2013, n.11793

È ravvisabile la concussione per costrizione nella condotta del medico ospedaliero che, approfittando del proprio ruolo professionale (nella specie, direttore dell’unità operativa di cardiochirurgia), chieda una somma di denaro per operare personalmente i pazienti, da sottoporre a rischiosi interventi al cuore, in ragione della condizione psicologica in cui in tale contesto venivano a trovarsi i pazienti stessi, per i quali il rifiutare il pagamento della somma pretesa significava in definitiva dover rinunciare alla esperienza e alla competenza del primario e tentare invece la “sorte” affidandosi al medico di turno.

 

Cassazione penale sez. VI, 22/04/2010, n.17234

L’induzione, sufficiente per la configurazione del reato di cui all’art. 317 c.p., sussiste anche in presenza della sola richiesta di compensi indebiti da parte del medico, preposto al servizio pubblico sanitario, rivolta a persone malate o ai loro familiari, dal momento che questi soggetti si trovano particolarmente indifesi di fronte ad un medico, dalle cui prestazione dipende la conservazione di un bene fondamentale, quale la salute. L’induzione non è vincolata a forme predeterminate e tassative, potendo concretizzarsi anche in frasi indirette ovvero in atteggiamenti o comportamenti surrettizi, che si esplicitano in suggestione tacita, ammissioni o silenzi, purché siano idonee ad influenzare la volontà della vittima, convincendola dell’opportunità di provvedere al pagamento indebito richiesto.

 

Art. 318 c.p. – Corruzione per l’esercizio della funzione

Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da tre a otto anni.

 

Elemento oggettivo: asservimento della funzione legittimamente svolta dal soggetto pubblico agli interessi del privato in cambio della ricezione o della promessa di denaro o utilità.

Elemento soggettivo: per il soggetto pubblico (professionista sanitario) è richiesta la coscienza e volontà di ricevere una retribuzione non dovuta, con la consapevolezza che essa viene corrisposta per ottenere il compimento di un atto d’ufficio ovvero per l’asservimento della funzione; per il privato è richiesta la coscienza e volontà di dare o promettere una retribuzione non dovuta in cambio del compimento da parte del soggetto pubblico di un atto d’ufficio ovvero dell’asservimento della funzione.

Momento di consumazione: raggiungimento dell’accordo tra il soggetto pubblico e il privato.

Prescrizione: 8 anni

Competenza: Tribunale collegiale

Procedibilità: d’ufficio

 

Art. 319 c.p. – Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio

Il pubblico ufficiale [357], che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni [32, 32-quater, 319-bis, 319-ter, 320, 321, 3222, 4, 323-bis; 3812b, 4 c.p.p.].

 

Elemento oggettivo: omissione o ritardo di un atto d’ufficio ovvero compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, antecedentemente (corruzione antecedente) o successivamente (corruzione susseguente) alla ricezione o alla promessa di denaro o utilità dal privato.

Elemento soggettivo: per la corruzione antecedente, dolo specifico riferito all’atto d’ufficio oggetto dello scambio; per la corruzione susseguente, dolo generico.

Momento di consumazione: raggiungimento dell’accordo tra il soggetto pubblico e il privato.

Prescrizione: 10 anni

Competenza: Tribunale collegiale

Procedibilità: d’ufficio

 

La rassegna della più significativa giurisprudenza di legittimità in tema di corruzione:

Cassazione penale sez. VI, 02/04/2019, n.20264

Riveste la qualifica di pubblico ufficiale il medico dipendente di struttura ospedaliera autorizzato allo svolgimento di attività in regime “intra moenia” allargata, all’esterno della azienda sanitaria, trattandosi di attività inserita in una programmazione unitaria regionale e soggetta a controlli volti a consentirne lo svolgimento nel rispetto delle finalità istituzionali dell’ente, con predeterminazione delle tariffe nonché della quota da riscuotere per conto dell’ente stesso.(Fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza di condanna relativa ai reati di corruzione e falso in atto pubblico in relazione alla condotta del medico che aveva percepito indebitamente somme di denaro in cambio del rilascio di falsa documentazione sanitaria).

 

Cassazione penale sez. VI, 15/09/2017, n.46492

Configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione, di cui all’art. 318 c.p.) lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la qualificazione ai sensi degli artt. 319 e 321 c.p. della condotta di un rappresentate farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero in cambio dell’impegno di quest’ultimo a prescrivere a tutti i pazienti un determinato farmaco antitumorale, rilevando che la relativa prescrizione doveva essere il frutto di un meditato apprezzamento del quadro clinico del paziente nonché di una valutazione comparativa tra i benefici perseguiti ed i rischi connessi alla terapia farmacologica).

 

Cassazione penale sez. VI, 05/04/2016, n.19002

Integra l’ipotesi di corruzione e non di truffa la condotta del medico che, in violazione dei suoi doveri di ufficio, accetta, quale medico ginecologo in servizio presso una clinica convenzionata, denaro per concorrere ad affidare un nascituro in via definitiva a terzi, atteso che, nella specie, si trattava di un atto che rientrava tra quelli che l’imputato aveva la concreta possibilità di compiere e che il denaro fu corrisposto consapevolmente non per effetto di un errore indotto da raggiro.

 

Cassazione penale sez. VI, 03/02/2016, n.6677

Integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali spettantigli rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, “ex post”, con l’interesse pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo è costituito dalla “vendita” della discrezionalità accordata dalla legge. (Fattispecie in cui l’indagato, in qualità di Presidente della Commissione medica di verifica presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, aveva ricevuto somme di denaro da un medico legale per far ottenere benefici pensionistici ai suoi pazienti. In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto irrilevante, per escludere il reato, la circostanza che, trattandosi di persone affette da gravi patologie, sarebbero stati comunque riconosciuti loro i benefici richiesti).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA