Carente la prova del dolo a carico dell’imprenditore che non versa l’Iva a causa di insoluti pari al 40% del fatturato.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 31352/2021, con la quale la Suprema Corte, scrutinando una imputazione di omesso versamento Iva, ha annullato la sentenza di appello che aveva  ritenuto di condividere l’affermazione di penale responsabilità dichiarata dal giudice di primo grado, malgrado la prova offerta dalla difesa dell’imputato circa la grave crisi di liquidità che aveva colpito l’impresa collettiva costretta poi a ricorrere alla procedura del concordato preventivo.

La sentenza in commento, pur confermando i noti principi giurisprudenziali sedimentanti intorno al tema della colpevolezza, secondo i quali per la punibilità dell’imputato è sufficiente il dolo generico, anche nella forma del dolo eventuale, consistente nel consapevole, mancato accantonamento dell’Iva da versare nei termini di legge, riconosce, tuttavia, la possibilità di escludere la componente psicologica del reato allorché la crisi di liquidità che ha colpito l’impresa sia di eccezionale gravità, nel caso di specie dimostrata da insoluti pari al 43,47 del fatturato.

Chiaramente l’onere della prova di allegare e dimostrare la impossibilità di adempiere al debito tributario grava sulla difesa dell’imputato che oltre al mancato pagamento delle fatture incorporanti l’iva  autoliquidata da versare dovrà dimostrare, altresì, nella competente sede dibattimentale, come le difficoltà economiche non siano frutto di scelte errate o imprudenti da parte dell’imprenditore che non deve aver pregiudicato consapevolmente gli interessi dell’Erario per garantire esclusivamente la continuità dell’attività di impresa (pagamento dei dipendenti e fornitori a discapito dell’imposta indiretta).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA