Bancarotta riparata: la difesa dell’imputato ha l’onere di provare l’esatta corrispondenza tra gli atti distrattivi e le successive condotte riparatorie realizzate prima della pronuncia della sentenza di fallimento.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 37420.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva, si sofferma sulla figura giuridica della bancarotta riparata.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha espresso il principio di diritto secondo il quale la bancarotta riparata si configura laddove l’operazione distrattiva venga annullata dalla reintegrazione del patrimonio dell’impresa intervenuta prima della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento.

Al fine di provare tale circostanza, tale da escludere l’elemento materiale del reato fallimentare, grava sulla difesa dell’imprenditore dimostrare la corrispondenza tra le distrazioni compiute sul patrimonio sociale e i versamenti successivamente compiuti ad opera dell’autore del reato per reintegrare il patrimonio sociale depauperato dalla condotta distrattiva.

 

I reati contestati e il giudizio di merito

Nel caso di specie agli imputati tratti a giudizio erano stati contestati più delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di risorse finanziarie societarie e di beni ed attrezzature della fallita.

La Corte di appello di Lecce confermava la sentenza di primo grado di condanna dei prevenuti per i reati loro ascritti.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

I giudicabili, per il tramite dei rispettivi difensori, proponevano ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte distrettuale.

La Suprema Corte, per quanto qui di interesse in riferimento alla dedotta questione della bancarotta riparata ha dichiara inammissibili i ricorsi.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Invero, la sentenza impugnata ha esaminato l’identico motivo di appello, con motivazione estesa e priva delle dedotte illogicità […] senza trascurare alcuna delle doglianze avanzate dalla difesa ed osservando che era provata la cessione senza corrispettivo di beni e strumenti aziendali verso la srl(OMISSIS), amministrata dal coimputato (OMISSIS) ma riconducibile al medesimo (OMISSIS); sono stati plausibilmente ritenuti dimostrati i ripetuti prelievi dal conto corrente societario, anche in contanti e con bonifici verso i conti bancari personali dell’imputato.

 Quanto alla tesi, sostenuta dalla difesa anche in questa sede, dei versamenti operati dal ricorrente e confluiti nel patrimonio societario, i Giudici del merito hanno plausibilmente ritenuto che la situazione contabile della società era caratterizzata anche da confusione tra i conti personali di (OMISSIS) e quelli della società, tanto che non era chiaro da dove provenisse la provvista per i predetti versamenti e, soprattutto, non vi era alcun elemento di prova circa l’effettiva destinazione delle somme a soddisfare le esigenze della società.

Sul punto in ogni caso appare utile ricordare che, secondo il costante insegnamento di questa Corte regolatrice, la bancarotta cosiddetta “riparata” si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori, sicché è onere dell’amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati. (Sez. 5, Sentenza n. 57759 del 24/11/2017 Ud. (dep. 28/12/2017 Rv. 271922)”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA