Non è ipotizzabile il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte quando viene cessata una ditta individuale facente capo ad un soggetto e negli stessi locali ove veniva esercitata l’attività di impresa inizia ad operare, con la stessa forza lavoro, una società unipersonale facente capo al coniuge dell’indagata.

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 2220.2022, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi in sede cautelare reale su un caso di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, si sofferma sulla configurabilità o meno del reato tributario nel caso particolare di cessazione della ditta individuale e  contestuale costituzione di  società unipersonale facente capo al coniuge del titolare della prima impresa.

Secondo La Suprema corte tale  ipotesi non costituisce alienazione simulata o un atto fraudolento tale da ostacolare la procedura di riscossione da parte dell’Amministrazione finanziaria, di tal ché non è configurabile il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di cui all’art. 11 d.lgs. 74/2000.

Il reato in provvisoria contestazione e la fase cautelare reale

Nel caso di specie, all’indagata era stato provvisoriamente contestato il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11 d.lgs. 74/2000, in relazione alla cessazione della ditta individuale intestata alla prevenuta e alla successiva apparente costituzione di una diversa società a responsabilità limitata unipersonale di cui era legale rappresentante il marito e che utilizzava gli stessi locali e personale della precedente ditta.

Il Tribunale del riesame di Trapani annullava il decreto con il quale il GIP in sede aveva disposto il sequestro preventivo della somma di denaro rinvenuta nella cassaforte presente nell’abitazione della giudicabile.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale cautelare, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta esclusione dei presupposti per il sequestro.

La Suprema Corte ha dichiara inammissibile il ricorso ritenendo insussistente il presupposto del fumus commissi delicti per mancanza della condotta materiale punita dal reato tributario.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“L’ordinanza impugnata, per quello che rileva ai fini del presente giudizio, ha innanzitutto escluso la configurabilità del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, ossia del titolo per cui era stato applicato il sequestro preventivo. Precisamente, il Tribunale ha escluso che attraverso la condotta in contestazione, costituita dalla cessazione della ditta individuale di (OMISSIS) e dall’attivazione della società unipersonale facente capo al di lei marito, (OMISSIS), siano stati posti in essere atti finalizzati a schermare il patrimonio della donna dalla procedura di riscossione coattiva di tributi, interessi e sanzioni.

A fondamento di tale conclusione, in particolare, ha evidenziato che: -) mancano atti simulati o di cessione di beni aziendali o rami di azienda; -) i locali in cui si svolge l’attività commerciale sono condotti in locazione, e, quindi non sono aggredibili dall’Amministrazione finanziaria in relazione ai debiti connessi allo svolgimento dell’impresa; -) la forza lavoro impiegata dalla ditta individuale e dalla società unipersonale è la stessa, ma costituita dai componenti del nucleo familiare; -) (OMISSIS), dopo la chiusura della ditta, può fornire una maggiore garanzia patrimoniale, in quanto è divenuta titolare di reddito da lavoro dipendente, per effetto dello stipendio corrispostole dalla società.

Così strutturata, la motivazione dell’ordinanza impugnata, con riferimento all’esclusione del fumus commissi delicti, risulta immune da qualunque vizio di violazione di legge.

Invero, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, è necessario che vi sia o un’alienazione simulata di beni ovvero la realizzazione di atti fraudolenti sui propri o su altrui beni volti a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA