Titolare dello studio medico dentistico sanzionato penalmente per non avere predisposto una specifico Documento di Valutazione Dei Rischi

Segnalo la sentenza numero 36538/2022 – depositata il 27.09.2022, resa dalla sezione terza penale della Corte di Cassazione, che si è pronunciata sugli obblighi di prevenzione posti a carico del datore che impiega sino a 10 dipendenti nei luoghi aziendali.

In particolare, nel caso in disamina, al dentista tratto a giudizio era stato addebitato il fatto di reato di non avere predisposto un DVR che valutasse gli specifici rischi (esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici), connessi allo svolgimento dell’attività del libero professionista esercitata nello studio privato.

La Suprema Corte, nel decidere il caso di specie, ha ritenuto che il primo Giudice, censurando la mancanza di specificità del  DVR, valutato come inidoneo ad assolvere alle funzioni previste dalla legge, aveva correttamente applicato le norme che governano la materia della prevenzione e  sicurezza sui luoghi di lavoro e fornito a giustificazione del proprio convincimento un apparato argomentativo immuni da vizi denunciabili in sede di legittimità.

Il reato contestato ed il giudizio di merito.

Il Tribunale di Brindisi, all’esito del dibattimento celebrato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, condannava il dentista imputato alla pena di 1.200 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 55, comma 4, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in relazione agli artt. 11, comma 1, d.lgs. n.151 del 2001 e 28, comma 2, lett. a), dello stesso d.lgs. 81/2008, per non aver elaborato un congruo documento di valutazione dei rischi (DVR) in relazione al proprio studio odontoiatrico, omettendo di valutare i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare quelli di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C al d.lgs. 151/2001.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.

La difesa del giudicabile interponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia del Tribunale (l’appello era precluso trattandosi di condanna per reato contravvenzionale alla ammenda) denunciando vizio di legge e di motivazione

La Suprema Corte nel rigettare il ricorso ha statuito il principio di diritto che segue:

“…Ciò considerato in diritto, osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha correttamente affermato che una adeguata valutazione del rischio deve analizzare il pericolo connesso alle lavorazioni o all’ambiente di lavoro non solo in modo generico, ma in relazione alla concreta situazione dell’impresa ed alla casistica effettivamente verificabile, ed ha ritenuto che il DVR adottato dal ricorrente non rispettasse detto principio di specificità, così violando (quantomeno, osserva il Collegio) l’art. 28, comma 2, lett. a), d.lgs. 81/2008, sanzionato con la pena della sola ammenda nella più contenuta misura prevista dal successivo art. 55, comma 4.

In particolare, prendendo atto che l’imputato era titolare di uno studio odontoiatrico ed aveva alle proprie dipendenze una donna con mansioni di assistenza clienti, la sentenza impugnata attesta, con valutazione di merito in questa sede non censurabile, che con riguardo alle lavoratrici in stato di gravidanza il DVR contiene valutazioni «in termini del tutto generici, senza che vi sia alcun riferimento concreto alla mansione svolta dalla dipendente, senza alcuna specifica individuazione dei fattori di rischio correlati alle mansioni ed all’attività svolta» e anche le misure di prevenzione e protezione sono indicate in modo parimenti generico ed all’evidenza insoddisfacente (si parla di modifiche dei ritmi lavorativi ed eventuale mutamento delle mansioni «se richiesto dal medico competente o se obbligatorio per legge»).

Tra i rischi specificamente indicati del documento compaiono – in modo del tutto incongruo rispetto all’attività svolta – «esposizione al rumore, a scuotimenti e vibrazioni, a lavori con macchina mossa a pedale», sicché il giudice di merito ha concluso per la «incompletezza del documento…non contenente la valutazione di tutti i rischi specifici…redatto in maniera “standardizzata” (un fac simile per più usi), tale da non svolgere, in alcuna misura, la funzione di spiegare i rischi specifici del lavoro e gli strumenti disposti per evitare che si possano realizzare».

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA