Risponde di furto e non appropriazione indebita la dipendente infedele che si appropria di somme della società per cui lavora tramite il banking on line aziendale.

Segnalo la sentenza numero 6577/2023 depositata il 14/02/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione quarta penale, che si è pronunciata sulla qualificazione giuridica da attribuire alla condotta della dipendente che effettua illecitamente delle disposizione bancarie in proprio favore, distraendo risorse economiche dal conto corrente della società della quale era dipendente all’epoca dei fatti in contestazione.  

Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che G.i.p. del Tribunale di Torino applicava, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. la pena concordata con il PM, all’imputata rinviata a giudizio per  più episodi di furto consumato aggravato, di accesso abusivo ad un sistema informatico e di indebito utilizzo di strumenti di pagamento diversi dai contanti.

Contro la sentenza di applicazione pena interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputata denunciando vizio di legge in riferimento alla ritenuta erronea qualificazione giuridica della distrazione di somme dal conto corrente aziendale contestata come furto, in luogo del meno grave delitto di appropriazione indebita. 

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.  

Di seguito viene riportato il passaggio della motivazione di interesse per il presente commento: 

“Nel caso di specie, la qualificazione in termini di furto, anziché di appropriazione indebita, non appare eccentrica rispetto al capo di accusa, tra l’altro, essendosi in un caso sovrapponibile a quello in esame ritenuta corretta la qualificazione giuridica, appunto, di furto (v. infatti, Sez. 4, n. 8128 del31/01/2019, Canzian, Rv. 275215, che ha ritenuto che «Risponde del reato di furto aggravato, e non di appropriazione indebita, la dipendente di una società, incaricata di provvedere ai pagamenti in nome della stessa, che si impossessi di somme di denaro sottraendole dal conto corrente aziendale. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva escluso che l’imputata avesse la disponibilità del denaro sottratto solo perché disponeva della” password” per operare sul conto corrente della società, rilevando che la facoltà dell’imputata di effettuare pagamenti non le conferiva una signoria autonoma sui conti correnti, trattandosi di facoltà vincolata alle istruzioni e alle direttive impartite le dai vertici societari, e che la provvista depositata sui conti correntiera sempre rimasta nella piena disponibilità dell’ente titolare)”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.