Bancarotta fraudolenta patrimoniale: per la prova del dolo è sufficiente la illegittima destinazione impressa al patrimonio sociale.

Con la sentenza n.8997/2018, depositata il 26.02.2018, la Corte di Cassazione ha reso una interessante pronuncia che indaga il tema dell’elemento psicologico nel reato di bancarotta fraudolenta che, come noto, assume costantemente un ruolo centrale nell’attività di difesa tecnica in sede processuale.

Il caso e l’imputazione penale.

Nei confronti dell’imputato, amministratore pro-tempore di una società per azioni dichiarata fallita nel 2006 è stata elevata imputazione per bancarotta fraudolenta documentale, per aver tenuto in modo irregolare le scritture contabili, occultato il libro soci i verbali delle assemblee di merce ed il libro dell’amministratore unico, e per bancarotta fraudolenta patrimoniale e preferenziale per aver distratto merce in rimanenza per un valore per un valore di Euro 14.000 ed effettuato pagamenti in favore di creditori chirografari, pur essendo accertata la presenza di creditori privilegiati.

Lo svolgimento del processo.

Il Tribunale di Vasto ha condannato l’imputato per tutti i reati a lui ascritti; la Corte d’appello di L’Aquila ha parzialmente riformato la sentenza limitatamente alla derubricazione della bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato denunciando, tra i vari motivi di ricorso, l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, la omessa declaratoria di prescrizione per il reato di bancarotta preferenziale ed il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità ex art. 219, ultimo comma l.f. 

La decisione della Cassazione e il punto di diritto.

I Giudici di legittimità accolgono parzialmente il ricorso, annullando senza rinvio la sentenza impugnata dichiarando estinti i fatti di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice per intervenuta prescrizione; per il resto dichiarano l’inammissibilità del ricorso.

Tra gli aspetti più interessanti della pronuncia vi è certamente la parte della motivazione relativa alla dichiarata inammissibilità del motivo di ricorso inerente la asserita inesistenza dell’elemento psicologico del reato nel caso di specie.

La tesi della difesa richiamava i principi dettati nella sentenza Corvetta (Sez. V, n. 47102/2012) secondo cui la dichiarazione di fallimento, quale elemento essenziale del reato, deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente ed essere sorretta dall’elemento soggettivo del dolo.

La Corte chiamata a decidere sul ricorso de quo giudica la tesi della sentenza indicata come “del tutto isolata nel panorama giurisprudenziale di legittimità”, sostiene al contrario che “in tema di elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è sufficiente la consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (ex plurimis: Sez. 5, n. 33268 del 08/04/2015, Bellocchi, Rv. 26435401; Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rebuffo, Rv. 261739; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446; Sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, Giumelli, Rv. 261367).

Infatti con il reato di bancarotta fraudolenta, propria e impropria, la legge punisce «l’imprenditore che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato» e non già l’imprenditore che ha cagionato il fallimento; si intende infatti reprimere la condotta distrattiva per la sua pericolosità per la tutela del bene giuridico protetto, anche prima dell’intervento del giudice che emette la sentenza di fallimento, a tutela degli interessi della massa dei creditori pregiudicati dall’ingiustificato depauperamento della funzione di garanzia del patrimonio dell’imprenditore o della società. Pertanto la condotta peculiare e connotativa del reato, di mera condotta e di pericolo, di bancarotta fraudolenta è costituita da quei comportamenti descritti dalla norma, idonei a porre in pericolo gli interessi dei creditori.

In definitiva, quindi, l’elemento soggettivo del reato va colto nella consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti suscettibili di arrecare danno ai creditori. (…)

Non è quindi necessario che il fuoco della volontà investa anche lo stato di insolvenza e il dissesto economico dell’impresa, essendo sufficiente la consapevolezza che la condotta distrattiva mette a rischio la garanzia patrimoniale apprestata a favore dei creditori (Sez. U, n. 2274 del 31/03/2016, Passarelli e altro, Rv. 266805)”.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di elemento soggettivo nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale:

Cassazione penale sez. V, 06 dicembre 2017 n. 633.

Il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale; l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare.

Cassazione penale sez. V 10 luglio 2017 n. 48203.

In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’elemento soggettivo, tanto per l'”intraneus” quanto per l’eventuale concorrente “extraneus”, pur non richiedendo come necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa né la finalità di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la coscienza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, postula tuttavia la consapevolezza dell’almeno potenziale idoneità della condotta a cagionare danno ai creditori.

Cassazione penale sez. V 28 febbraio 2017 n. 14846.

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte sì da determinare un pericolo di danno per i creditori.

Cassazione penale sez. V, 08 aprile 2015 n. 33268.

Le condotte distrattive compiute prima dell’ammissione al concordato preventivo di una società poi dichiarata fallita integrano il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale anche nel caso in cui l’agente abbia ottenuto l’ammissione al concordato preventivo, si sia adoperato per il buon esito della procedura, e questo non sia stato conseguito per fatti indipendenti dalla sua volontà, in quanto, laddove si verifichi il fallimento, ai fini della configurabilità del dolo, è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

Cassazione penale sez. V, 05 novembre 2014 n. 51715.

In tema di reati fallimentari, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; è, pertanto, sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo.

Cassazione penale sez. V, 15 maggio 2014 n. 40981.

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, oggetto del dolo non è la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilità in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori.

Cassazione penale sez. V, 04 giugno 2014 n. 35093.

L’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale impropria, di cui agli art. 216 e 223, comma 1, l. fall., non comprende la previsione ed accettazione del fallimento, ma solo la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori.