Legittimo l’oscuramento cautelare delle pagine Facebook se i contenuti sono lesivi della altrui reputazione.

Con la sentenza n. 21521/2018 la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sui rapporti tra utilizzo dei social network e diritto di cronaca, con riferimento alla questione della eventuale applicazione della tutela rafforzata prevista in caso di sequestro di stampa anche alle pagine Facebook.

Il caso e lo svolgimento del processo.

Sottoposto al vaglio di legittimità è un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip presso il tribunale di Grosseto in ordine al delitto di diffamazione consumato sulla piattaforma del social network Facebook nelle cui pagine gli indagati avrebbero pubblicato messaggi, video e commenti dal contenuto lesivi della reputazione delle persone offese, prescrivendo al fornitore del servizio di rendere tali pagine inaccessibili agli utenti.

Il Tribunale del riesame di Grosseto ha confermato il provvedimento cautelare reale con ordinanza che veniva impugnata omessa motivazione e violazione di legge in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione sostenendo che l’oscuramento delle pagine si traduceva in lesione del diritto di libera manifestazione del pensiero.

La decisione della Cassazione e il punto di diritto

La Corte giudica il ricorso inammissibile per i seguenti motivi.

Innanzitutto, relativamente alla prima doglianza con la quale si ventilava la illegittimità del sequestro preventivo di pagine web, la Corte rigetta la doglianza in quanto, come già stabilito dalle Sezioni Unite (sentenza numero 31022 del 29/01/2015) “la equiparazione dei dati informatici alle cose in senso giuridico consente di inibire la disponibilità delle informazioni in rete e di impedire la protrazione delle conseguenze dannose del reato”.

Passando poi al secondo motivo di ricorso, relativo alla ritenuta applicabilità della tutela prevista per la stampa anche alla comunicazione telematica e, quindi, la illegittimità della disparità di trattamento tra siti web possibile oggetto di sequestro (come nel caso di specie) e testate on-line che, viceversa, non possono formare oggetto di cautela reale, i  Giudici del diritto statuiscono quanto segue:

“…è evidente che le forme di comunicazione telematica come i blog, i social network come Facebook, le mailing list, le newsletters, sono espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero garantito dall’art. 21 della Costituzione ma non possono godere delle garanzie costituzionali in tema di sequestro della stampa, anche nella forma on line, perché rientrano nei generici siti internet che non sono soggetti agli obblighi ed alle garanzie previste dalla normativa sulla stampa. In essi, infatti, chiunque può esprimere il proprio pensiero su ogni argomento, suscitando opinioni e commenti da parte dei frequentatori del mondo virtuale.

È agevole rispondere alla perplessità circa la prospettata diseguaglianza di trattamento tra siti web e testate giornalistiche on-line presente nel ricorso, semplicemente osservando che le situazioni disciplinate diversamente sono tra loro molto diverse. Infatti è evidente che un quotidiano o un periodico telematico, strutturato come un vero e proprio giornale tradizionale, con una sua organizzazione redazionale e un direttore responsabile non può certo paragonarsi a uno qualunque dei siti web innanzi citati, in cui chiunque può inserire dei contenuti, ma assume una sua peculiare connotazione, funzionalmente coincidente con quella del giornale tradizionale, sicché appare incongruo, sul piano della ragionevolezza, ritenere che non soggiaccia alla stessa disciplina prevista per quest’ultimo”.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di sequestro di siti web:

Cassazione penale sez. V 14 luglio 2016 n. 54946  

Il legale rappresentante della società che gestisce un sito Internet risponde di concorso nella diffamazione se, a conoscenza del commento lesivo, non si adopera per farlo rimuovere. La Cassazione ha così respinto il ricorso dell’amministratore della Srl gerente del sito in questione sottoposto a sequestro preventivo, per aver pubblicato un commento nel quale il presidente della Lega nazionale dilettanti della Federazione italiana Gioco Calcio, veniva definito “emerito farabutto” e “pregiudicato doc”, con tanto di certificato penale allegato. L’amministratore del sito web, pur avendo ricevuto al suo indirizzo mail il certificato penale della parte lesa, ed essendo dunque a conoscenza della pubblicazione del commento, lo aveva lasciato online per due settimane, consentendo così che l’articolo “esercitasse l’efficacia diffamatoria”.

 

Cassazione penale sez. un.  29 gennaio 2015 n. 31022  

Il giornale on line, al pari di quello cartaceo, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa.

Ove ricorrano i presupposti del “fumus commissi delicti” e del “periculum in mora”, è ammissibile, nel rispetto del principio di proporzionalità, il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. di un sito web o di una singola pagina telematica, anche imponendo al fornitore dei relativi servizi di attivarsi per rendere inaccessibile il sito o la specifica risorsa telematica incriminata.

 

Cassazione penale sez. V  05 novembre 2013 n. 10594  

Le garanzie costituzionali previste dall’art. 21, comma 3, cost., in tema di sequestro della stampa non sono automaticamente estendibili alle manifestazioni di pensiero destinate ad essere trasmesse in via telematica, e quindi, non trovano applicazione per blog, mailing list, chat, news letter, email, newsgroup, in quanto il termine “stampa” è stato assunto dalla norma costituzionale nella sua accezione tecnica che fa riferimento alla “carta stampata”. (In applicazione del principio, la Corte ha affermato la ammissibilità del sequestro di copie di articoli già stampati pubblicate sul sito web di un giornale).

 

 

Cassazione penale sez. III  29 settembre 2009 n. 49437  

È legittimo l’ordine, contenuto nel provvedimento di sequestro preventivo di un sito web (disposto per l’accertata illecita diffusione di opere protette dal diritto d’autore, attraverso il sito che consenta la condivisione di “files” e l’utilizzo di protocolli per il trasferimento dei “files” direttamente tra gli utenti) rivolto ai “providers” dei servizi di connessione alla rete Internet e diretto ad inibire l’accesso all’indirizzo di quel siti web, ai relativi “alias” ed ai nomi di dominio rinvianti al medesimo sito (nella specie, si trattava del sito “www.thepiratebay.org”).

 

Cassazione penale sez. III  11 dicembre 2008 n. 10535  

Ai fini della configurabilità del reato di offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone (art. 403 c.p.), non occorre che le espressioni di vilipendio debbano essere rivolte a fedeli ben determinati, essendo sufficiente che le stesse siano genericamente riferite alla indistinta generalità dei fedeli, tutelando la norma il sentimento religioso e non la persona (fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente a una determinata confessione religiosa. Inoltre, i messaggi contenenti espressioni offensive della confessione religiosa e residenti sul “forum” ospitato dal sito web, non sono tutelati dalla l. n. 47 del 1948, non rientrando nella nozione di “stampa” e, conseguentemente, non trova applicazione ai messaggi su “forum” (come ad altre forme moderne di comunicazione del pensiero, quali “newsletter”, “blog”, “newsgroup”, “mailing list”, “chat”, messaggi istantanei ecc.) la tutela costituzionale in tema di sequestro di cui all’art. 21 comma 3 cost.

Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di diffamazione via Facebook:

Cassazione penale, sez. V, 04/12/2017,  n. 5175

La legge n. 48 del 2008 (Ratifica della convenzione di Budapest sulla criminalità informatica) non introduce alcun requisito di prova legale, limitandosi a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza tuttavia imporre procedure tipizzate. Ne consegue che il giudice potrà valutarle secondo il proprio libero convincimento (fattispecie relativa alla pubblicazione di un post ingiurioso su Facebook)

Cassazione penale, sez. V, 19/10/2017,  n. 101

Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici se i commenti diffamatori, pubblicati tramite post sul social network Facebook, possono, pur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se tali commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari.

 

 

Cassazione penale, sez. V, 29/05/2017,  n. 39763

In tema di diffamazione, l’individuazione del destinatario dell’offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell’offesa, sulla base di un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o soggettive congetture di soggetti che ritengano di potere essere destinatari dell’offesa (esclusa, nella specie, la configurabilità del reato per la condotta dell’imputato, che, in un post su Facebook, aveva espresso il suo sdegno per le modalità con cui erano state celebrate le esequie di un suo caro parente).

Cassazione penale, sez. V, 23/01/2017, n. 8482

La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo –  della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47 del 1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.

Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50

È del tribunale penale la competenza a giudicare la condotta consistente nella diffusione di messaggi minatori e offensivi attraverso il social network Facebook, configurando i reati di minacce e diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p.

Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.

 

Cassazione penale, sez. V, 14/11/2016, n. 4873

Ove taluno abbia pubblicato sul proprio profilo Facebook un testo con cui offendeva la reputazione di una persona, attribuendole un fatto determinato, sono applicabili le circostanze aggravanti dell’attribuzione di un fatto determinato e dell’offesa recata con un qualsiasi mezzo di pubblicità, ma non quella operante nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato.

Cassazione penale, sez. V, 07/10/2016, n. 2723

La divulgazione di un messaggio di contenuto offensivo tramite social network ha indubbiamente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, proprio per la natura intrinseca dello strumento utilizzato, ed è dunque idonea ad integrare il reato della diffamazione aggravata (fattispecie relativa all’inserimento di un messaggio offensivo sul profilo Facebook della persona offesa).

Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 8328

La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.

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