Bancarotta fraudolenta: per la Cassazione la sentenza dichiarativa di fallimento è elemento costitutivo della fattispecie e non condizione obiettiva di punibilità.

Con la sentenza 40477/2018, depositata in data 11.09.2018, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, la Suprema Corte è tornata ad affrontare la discussa questione, in materia penale fallimentare, della qualificazione giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento nell’ambito della fattispecie del reato di bancarotta fraudolenta.

La pronuncia assume notevole rilievo in quanto il Collegio giudicante ritiene di non poter condividere la più recente impostazione giurisprudenziale (Sez. V, 30.01.2018, n. 4400, Cragnotti ed altri; Santoro; sez. V, 12.10.2017, n. 53184, Fontana; Sez. V, 08.02.2017, n. 13910), secondo la quale la sentenza dichiarativa di fallimento sarebbe elemento estraneo all’offesa tipica costituendo condizione obiettiva di punibilità, reputando invece, riallacciandosi così alla giurisprudenza antecedente, la suddetta sentenza quale elemento costitutivo della fattispecie di reato.

Di seguito il passaggio motivazionale di rilievo.

In realtà, la nozione di condizione obiettiva di punibilità risulta del tutto sfuggente, sia perché l’art. 44 cod. pen. non ne fornisce una definizione, sia perché gli stessi lavori preparatori risultano assolutamente poco chiari in merito, il che ha consentito il proliferare, in dottrina, di contrastanti punti di vista, direttamente proporzionali all’elasticità del concetto, attraendo la categoria della condizione obiettiva di punibilità nell’alveo degli elementi funzionali all’integrazione del reato, come rilevato anche dalla giurisprudenza sin qui citata. Tuttavia, l’art. 44 cod. pen. si riferisce chiaramente alla “punibilità del reato”, per cui appare più coerente con il dettato normativo ritenere che la condizione obiettiva di punibilità sia richiesta al fine di rendere applicabile la pena, a fronte di un reato ontologicamente sussistente e perfetto nei suoi elementi essenziali; al contrario, se si volesse ritenere la condizione di punibilità essenziale per la sussistenza del reato, la disposizione normativa avrebbe parlato di “punibilità del fatto”. Ne discende che per detta ragione si ritiene di non condividere l’orientamento secondo cui la sentenza dichiarativa di fallimento sia una condizione obiettiva di punibilità, proprio in quanto il reato fallimentare, in assenza della sentenza dichiarativa di fallimento, non può essere considerato ontologicamente integrato in tutte le sue componenti essenziali. In tal senso, peraltro, si erano espresse anche le Sez. U, sentenza n. 2 del 1958, dep. 25/01/1958, Mezzo, Rv. 098004, secondo cui “La dichiarazione di fallimento, rispetto ai fatti di bancarotta che siano anteriori alla sua pronuncia, costituisce una condizione di esistenza del reato, oltre a determinare la punibilità. Pertanto si differenzia concettualmente dalla condizione obiettiva di punibilità, perché mentre queste presuppongono un reato già perfetto oggettivamente e soggettivamente, essa inerisce, invece, così intimamente alla struttura del reato da qualificare quei fatti, i quali, come fatti di bancarotta sarebbero penalmente irrilevanti fuori del fallimento”.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale, sez. V, 13/09/2017, n. 44901.

Il mancato pagamento del canone di affitto di azienda, nel caso di successivo fallimento della società concedente, può integrare bancarotta per distrazione del legale rappresentante della società cessionaria in presenza di elementi circostanziali, quali: la coincidenza della compagine sociale, l’ingerenza dell’imputato nella attività della società cedente, gli stretti rapporti tra gli amministratori delle due società e, infine, la mancata adozione di procedure per il recupero del credito da parte della cedente a fronte dell’inadempimento al pagamento dei canoni della cessionaria.

Cassazione penale, sez. V, 19/07/2017, n. 49507.

In tema di bancarotta fraudolenta la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti, altrettanto vero è che detto orientamento può convivere esclusivamente con il dato relativo alla sparizione fisica dei beni, posto che, se è pur vero che un imprenditore o un amministratore societario può distrarre beni dall’impresa, mascherando la loro sparizione con un artificio contabile costituito da una rettifica del valore iscritto a bilancio, altrettanto vero è che la prova di tale comportamento di sottrazione non può essere ricavata, sic et simpliciter, dalla sola circostanza dell’esistenza della rettifica contabile, non accompagnata dal benché minimo riscontro fattuale circa la mancanza fisica dei beni. L’accettazione del rito abbreviato non comporta alcuna rinuncia dell’imputato a censurare l’inadeguatezza, l’inconferenza e l’inidoneità probatoria delle prove raccolte contro di lui: anzi è proprio tale intendimento che può orientarlo alla scelta del rito abbreviato al fine di stigmatizzare l’insufficienza del materiale d’accusa accumulato dal Pubblico Ministero.

Corte Costituzionale, 17/07/2017, n. 205.

L’articolo 69, comma 4, del cod. pen., nella sua versione risultante dalle modifiche apportate dalla legge 251/2005, è incostituzionale laddove prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’articolo 219, comma 3, della Legge fallimentare sulla recidiva di cui all’articolo 99, comma 4, del Cp. Così la Corte costituzionale ha nuovamente censurato l’articolo 69 del Cp riformato dalla legge Cirielli. Per la Consulta la tenuità del danno provocato nel reato di bancarotta vince sulla recidiva reiterata. L’effetto del divieto di prevalenza sancito nella norma, affermano i giudici delle leggi, infatti, è “in chiaro contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, perché condurrebbe, in determinati casi, ad applicare pene identiche per violazioni di rilievo penale enormemente diverso: il recidivo reiterato responsabile di bancarotte fraudolente ultramilionarie, al quale siano applicate le circostanze attenuanti generiche, verrebbe punito con la stessa pena prevista per il recidivo reiterato autore di episodi di modesta gravità, con limitati o nulli pregiudizi concreti ai creditori”.

Cassazione penale, sez. V, 23/06/2017, n. 38396.

In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.

Cassazione penale, sez. V, 20/06/2017, n. 35591.

Configura il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione il conferimento, da parte dell’amministratore, di beni della società fallita in un Gruppo Europeo di Interesse Economico (GEIE) – a prescindere dall’avvenuta iscrizione di quest’ultimo ai sensi del Regolamento Cee n. 2137 del 1985 e dal conseguente acquisto della capacità giuridica da parte dell’ente – in quanto il vincolo impresso ai beni mediante il contratto di costituzione del GEIE comporta il sorgere di un’obbligazione a carico del patrimonio della fallita nei confronti degli altri soci fondatori, in grado di determinare un pericolo per gli interessi dei creditori preesistenti.

Cassazione penale, sez. V, 19/06/2017, n. 44398.

La condotta di distrazione disciplinata all’art. 216 della legge fallimentare ha natura residuale e ricomprende tutte le condotte tese a sviare i beni dell’impresa fallita dalla loro funzione che è la garanzia dei crediti vantati dal ceto creditorio (nella specie, gli imputati avevano utilizzato i beni del fallimento sottoposti a curatela fallimentare senza alcuna autorizzazione).

Cassazione penale, sez. V, 31/05/2017, n. 40480.

Si presume che l’amministratore di una società che sia dichiarata fallita o in stato d’insolvenza, nel caso in cui non dia conto delle risorse economiche che risultino positivamente essere state in possesso di quest’ultima, abbia distratto tali risorse, avendo egli l’obbligo di precisa rendicontazione e contabilizzazione dei fatti rilevanti nella vita economica della persona giuridica.

Cassazione penale, sez. V, 16/05/2017, n. 42750.

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è configurabile l’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., anche nel caso di più condotte distrattive compiute in continuità temporale ed aventi ad oggetto lo stesso bene (nella specie, somme di denaro).

Cassazione penale, sez. V, 11/04/2017, n. 30212.

Integra distrazione rilevante ai fini della bancarotta fraudolenta la concessione di pegno, in favore di società infragruppo, effettuata dalla società fallita per un importo notevolmente superiore al proprio debito, in situazione di difficoltà finanziaria e senza vantaggi compensativi.

Cassazione penale, sez. V, 04/04/2017, n. 31677.

Non è possibile configurare la distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda oggetto dell’impresa successivamente fallita se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quanto meno quei fattori aziendali in grado di generare l’avviamento. Ciò non esclude comunque la possibilità che l’avviamento possa costituire l’oggetto materiale della bancarotta fraudolenta patrimoniale, sotto il profilo della distruzione, intesa come annullamento del valore economico di uno degli elementi del patrimonio dell’imprenditore, attuata mediante l’intenzionale dispersione, da parte dell’imprenditore, proprio dell’avviamento commerciale.

Cassazione penale, sez. V, 14/03/2017, n. 16622.

In tema di sequestro probatorio e ai fini della legittimità del decreto di sequestro, quando si procede per il reato di bancarotta fraudolenta che impone la ricostruzione del volume di affari della società fallita, può sequestrarsi l’intera contabilità relativa all’impresa, riservando ad un momento successivo l’individuazione dei documenti effettivamente necessari all’accertamento del fatto. (Fattispecie di sequestro di un personal computer avvenuto in locali prettamente adibiti ad ufficio e riconducibili all’indagato).

Cassazione penale, sez. V, 02/03/2017, n. 16206.

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la natura distrattiva di un’operazione infra-gruppo può essere esclusa in presenza di vantaggi compensativi che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori sociali. (Fattispecie in cui la S. C. ha censurato la sentenza impugnata che aveva affermato la natura distrattiva del trasferimento di risorse dalla società fallita ad altre società del gruppo, senza considerare la prospettazione da parte dell’imputato di un evidente vantaggio compensativo per i creditori della fallita conseguente a tale operazione, trattandosi di società debitrice solidale con le società del gruppo sostenute verso i medesimi creditori ed in particolare verso il sistema bancario con cui si erano raggiunti accordi di consolidamento del debito di gruppo con la sospensione temporanea e condizionata del decorso degli interessi, cosicché il fallimento di una di esse avrebbe comportato l’attivazione della responsabilità solidale della società fallita con l’aggravio di pesantissimi interessi di cui avrebbero subito gli effetti negativi gli stessi creditori individuali della società).

Cassazione penale, sez. III, 24/02/2017, n. 18927.

Non sussiste un rapporto di specialità tra il reato di bancarotta fraudolenta, di cui all’art. 216 comma 1 n. 2 l. fall., e quello di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 d.lg. n. 74 del 2000 in materia di reati tributari. I due reati, pertanto, possono concorrere in quanto la fattispecie incriminatrice tributaria richiede “la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta”; quella fallimentare, invece, “si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale”. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare, a differenza di quella tributaria, la volontà del soggetto agente “si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altri ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori”. Ad affermarlo è la Cassazione che ha negato il ne bis in idem sostanziale per il procedimento relativo al delitto tributario invocato dal ricorrente.

Cassazione penale, sez. V, 08/02/2017, n. 13910.

In tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, dalla natura di condizione obiettiva di punibilità della dichiarazione di fallimento deriva che il luogo e il tempo della commissione del reato, ai fini della determinazione della competenza territoriale, dei tempi di prescrizione e del calcolo del termine di efficacia dell’amnistia o dell’indulto, coincidono con quelli della sentenza di fallimento. (In motivazione, la Corte ha precisato, altresì, che la natura di condizione obiettiva di punibilità comporta l’insindacabilità della sentenza di fallimento, anche sotto il profilo delle eventuali modifiche migliorative della disciplina del fallimento ai sensi dell’art. 2 cod. pen.).

Cassazione penale, sez. V, 08/02/2017, n. 13528.

In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti, anche con riferimento a beni presenti nella sede sociale al momento della sentenza di fallimento e non rinvenuti successivamente, poichè restano immutati gli obblighi di custodia e conservazione dei beni da parte dell’imprenditore, fino alla consegna di essi al curatore, mediante la redazione dell’inventario. (In motivazione, la Corte ha chiarito che la sentenza di fallimento determina il trasferimento della gestione dei beni dell’impresa dall’imprenditore al curatore, ma non lo spossessamento in senso civilistico dei beni dell’impresa, i quali rimangono dell’imprenditore).

Cassazione penale, sez. V, 19/01/2017, n. 10033.

Ai fini della completezza dell’imputazione, è sufficiente che il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa, sicché è legittimo il ricorso al rinvio agli atti del fascicolo processuale, purché si tratti di atti intellegibili, non equivoci e conoscibili dall’imputato. (Nella specie, la Corte ha ritenuto chiaramente contestato il fatto in relazione ad un’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale costruita mediante riferimento alle “immobilizzazioni” risultanti dal bilancio di una specifica annualità).

Cassazione penale, sez. V, 19/01/2017, n. 10033.

Il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento per eventuali errori commessi nel procedimento che ha portato alla sua emanazione, impugnabili solo attraverso il reclamo dinanzi alla Corte d’Appello. (Nella specie, la Corte ha ritenuto insindacabili i vizi addotti con ricorso e riferiti alla mancata notifica dell’istanza di fallimento all’amministratore della società fallita, nonchè alla pronuncia della sentenza di fallimento da parte di giudice incompetente).

Cassazione penale, sez. un., 31/03/2016, n. 22474.

Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività. (In motivazione, la Corte ha precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza).

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