Bancarotta fraudolenta impropria: la Cassazione annulla la sentenza di merito che non motiva sul rapporto causale tra operazioni dolose e fallimento della società.

Si segnala agli operatori del diritto la lettura della sentenza 49506/2018, depositata il 29.10.2018, con la quale la Suprema corte ha sottoposto alla scrutinio di legittimità una sentenza resa dalla Corte di appello di Catania che aveva confermato la condanna di primo grado dell’imputato, tratto a giudizio quale  amministratore di una s.r.l. per i reati di bancarotta impropria(art. 223, comma 2 n. 2, legge fall); bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare e bancarotta fraudolenta documentale.

La Corte di legittimità ha cassato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna per bancarotta impropria reato del quale si incolpava il giudicabile per non aver convocato l’assemblea dei soci, in presenza di una riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale in violazione degli obblighi imposti dalla legge.

La difesa dell’imputato, sul punto, con il ricorso per cassazione, aveva censurato il relativo capo di condanna ritenendo insussistente l’incolpazione penale, sia perché risultava carente la prova del nesso eziologico tra condotta ed evento (fallimento della società), sia perché, pur a voler superare il primo profilo, la condotta sarebbe stata comunque riconducibile alla bancarotta semplice, nel caso di specie prescritta.

Di seguito si riportano i passaggi della motivazioni di interesse anche per il richiamo agli elementi costitutivi della norma incriminatrice ed agli approdi giurisprudenziali richiamati nella sentenza in commento.

“Residuano le questioni poste con il secondo e il terzo motivo sul tema degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 223, comma secondo n. 2 legge fall.,con la precisazione che è stata ritenuta sussistente dai giudici di merito la fattispecie, tra le due previste dalla norma, dell’aver cagionato il fallimento della società per effetto di operazioni dolose.

La disposizione in rassegna incrimina quei comportamenti degli amministratori (sindaci, liquidatori, direttori generali) che costituiscano inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e che abbiano cagionato (o contribuito a determinare) il fallimento della società.

Le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma secondo n. 2, I. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa (Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013, Beretta, dep. 2014, Rv. 259997).

La nozione di “operazione” postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (Sez. 5, Sentenza n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti, spa, Rv. 247314).

Le operazioni dolose— diverse da quelle integratrici di una condotta distrattiva — possono ravvisarsi: nei reati societari non ricompresi nell’elencazione dell’art. 223 secondo comma n. 1 legge fall.; nel ricorso abusivo al credito; in altri abusi,tra i quali va annoverata la dolosa omissione della convocazione dell’assemblea per gli opportuni provvedimenti nel caso di diminuzione del capitale sociale oltre un terzo (art. 2446 comma primo, cod. civ.). e, a maggior ragione, di riduzione del capitale sociale sotto il minimo legale (art. 2447 cod. civ.).

Tale è la fattispecie in rassegna.

L’operazione dolosa da parte dell’amministratore della società, poi fallita, è consistita nell’aver omesso, in presenza di una riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, di convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società, secondo quanto imposto dall’art. 2447 cod. civ.

La distinzione, evidente, che corre tra il reato in rassegna e quello di bancarotta semplice di cui all’art. 224 n. 2 legge fall., riposa sull’elemento soggettivo.

L’inosservanza dei doveri imposti dalla legge all’amministratore e che abbia cagionato (o contributo a determinare) il fallimento ricade nella fattispecie di bancarotta fraudolenta nel caso di “operazioni dolose”, mentre torna applicabile il più lieve trattamento sanzionatorio previsto per la bancarotta semplice quando l’inosservanza è colposa. Nel caso in esame i giudici di merito ricavano la natura dolosa dell’operazione da plurimi elementi: nessuna iniziativa è stata presa alla data del 31 dicembre1999 quando le perdite superavano del doppio il capitale sociale, così come per l’esercizio sociale 2000, chiuso con perdite pari a quindici volte il capitale sociale.

Alla chiusura dell’anno 2001 era deliberato l’azzeramento del capitale sociale e la ricostituzione dello stesso in euro 10.500 mediante versamenti dei soci, che è stata però solo apparente perché l’esercizio si è chiuso con una perdita di oltre 369.000.000 lire e i versamenti afferivano ad anni antecedenti.

Risulta invece fondata la censura, articolata con il terzo motivo di ricorso, circa l’omessa motivazione sulla efficienza causale dell’operazione, oggetto di addebito, in rapporto alla causazione (o al concorso nella causazione) del fallimento della – omissis –   s.r.l.

La lacuna non è emendabile neppure attraverso un eventuale ricorso “ortopedico” alla decisione di primo grado, che presenta il medesimo vizio.

I giudici di merito si arrestano al vaglio delle operazioni dolose, ma non analizzano, se non ricorrendo a vuote formule di stile, il rapporto di causalità tra condotta ed evento né sotto il profilo materiale né sotto quello soggettivo.

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La lettura integrale della sentenza si segnala, altresì, anche per l’interessante trattazione del tema sotteso alla sussistenza dell’elemento psicologico nella bancarotta fraudolenta documentale:

“L’oggetto materiale del reato è costituito dai libri e dalle altre scritture contabili.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, tra i libri obbligatori rientra certamente il libro inventari che contiene l’esposizione analitica dei beni aziendali.

La bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2legge fall. prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico,e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi e richiede il dolo generico (Sez. 5, n.43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017,Autunno, Rv. 269904).

La fattispecie a dolo generico sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza(Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Piana, Rv. 218383).

Nela specie risulta contestata in imputazione e ritenuta dai giudici di merito la fraudolenta tenuta delle scritture contabili, fattispecie a dolo generico. La sentenza impugnata espone le ragioni per cui ritiene che si tratti di intervento manipolativo e confuta la tesi difensiva, riproposta anche in sede di legittimità, secondo cui il libro contabile sarebbe stato consegnato integro alla cancelleria e le pagine successivamente smarrite (pagina 8). Il ricorrente evita di sottoporre a critica la tenuta logica dell’ordito argomentativo della decisione di merito, limitandosi a ribadire, in maniera assertiva e quindi generica, la tesi disattesa dal giudice di appello.

Ferma la sussistenza del reato nei termini configurati, va, di contro, rilevato che il reato di bancarotta fraudolenta non può avere ad oggetto il bilancio, non rientrando quest’ultimo nella nozione di “libri” e “scritture contabili” prevista dalla norma di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, I. fall. (Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti, Rv. 268503).

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Riferimenti normativi

Art. 216 Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267
Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

Art. 223 Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267
Fatti di bancarotta fraudolenta.

Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.

Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se:

1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile; (1)

2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.

Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 216.

(1) Numero così modificato dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di condotta materiale nella bancarotta fraudolenta impropria:

Cassazione penale, sez. V, 29/11/2013, n. 12426

In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa individuabile e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva considerato qualificabile come operazione dolosa a norma dell’art. 223, comma 2, n. 2 l. fall., il mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità).

In senso conforme: n. 1052 del 1967

In senso conforme: n. 6992 del 1988

In senso conforme: n. 2413 del 1997

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 16/12/1998, n. 2905

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 18/03/2003, n. 13767

In senso conforme: n. 23000 del 2012

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 16/07/2013, n. 38978

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 22/03/2013, n. 2903

Vedi anche: Cass. Pen., sez. 05, del 18/02/2010, n. 17690

Vedi anche: Cass. Pen., sez. 05, del 18/02/2010, n. 17690

Vedi anche: Cass. Pen., sez. 05, del 18/02/2010, n. 17690

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di colpevolezza nella bancarotta fraudolenta documentale:

Cassazione penale, sez. V, 28/06/2017, n. 43966

In tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico.

Cassazione penale, sez. V, 09/12/2014, n. 17084

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili previste dall’art. 216, comma 1, n. 2 prima parte, l. fall. è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.

Cassazione penale, sez. V, 17/12/2013, n. 5264

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, il reato previsto dall’art. 216, comma 1, n. 2 l. fall. richiede il dolo generico, costituito dalla consapevolezza nell’agente che la confusa tenuta della contabilità potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione.

In senso conforme: n. 3951 del 1992

In senso conforme: n. 5905 del 2000

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 11/05/2001, n. 31356

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 25/03/2004, n. 21075

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 17/12/2008, n. 1137

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 05, del 25/03/2010, n. 21872

In senso difforme: n. 6650 del 1992

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