Sezioni Unite Penali: annullabile la declaratoria di inammissibilità dell’appello cautelare proposto dall’ente pronunciata senza formalità.
Segnalo ai lettori del blog che il 14.11.2018 è stata depositata la sentenza n.51515/2018 delle Sezioni Unite penali (pronuncia del 27.09.2018).
L’importante arresto giurisprudenziale reso dal Supremo collegio nella sua composizione più autorevole riguarda la materia della responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001, segnatamente in riferimento al rito cautelare proprio di tale disciplina.
Il ricorso presentato innanzi alla VI Sezione penale della Corte di legittimità, e poi rimesso alle Sezioni Unite per il rilevato contrasto giurisprudenziale in materia, aveva ad oggetto un’ordinanza resa dal Tribunale del riesame di Roma, la quale aveva dichiarato inammissibile,inaudita altera parte,per carenza di interesse all’impugnazione l’appello proposto dal procuratore speciale della s.p.a. ricorrente avverso l’ordinanza con la quale era stata applicata alla predetta società la misura cautelare del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione per il periodo di un anno.
Il Tribunale, nella motivazione del provvedimento, a sostegno della declaratoria dell’inammissibilità dell’impugnazione, aveva sostenuto che l’intervenuta revoca nelle more dell’impugnazione della misura cautelare interdittiva (originariamente disposta dal Tribunale di Roma – Sezione feriale) con provvedimento reso ai sensi degli artt. 17 e 49, comma 4, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, aveva privato di interesse la società ad ottenere la pronuncia giurisdizionale di annullamento della misura.
Contro l’ordinanza di inammissibilità proponeva ricorso per Cassazione la società già destinataria della misura cautelare interdittiva, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 127, comma 9, cod. proc. pen.
Il quesito quindi sottoposto all’esame delle Sezioni Unite era il seguente: “se l’appello avverso un’ordinanza applicativa di una misura interdittiva disposta a carico di una società possa essere dichiarato inammissibile anche senza formalità, ex art. 127, comma 9, cod. proc. pen., dal tribunale che ritenga la sopravvenuta mancanza di interesse a seguito della revoca della misura stessa“.
Il Supremo Collegio a Sezioni unite per potersi pronunciare sul quesito in oggetto, di natura squisitamente processuale, richiama, preliminarmente profili di diritto sostanziale legati alla disciplina cautelare stabilita dal d.lgs. 231/2001, che qui di seguito verranno sommariamente riportati come da motivazione della sentenza de qua, opportunamente schematizzati per una migliore fruizione del presente commento.
La materia cautelare in tema di responsabilità amministrativa degli enti.
“Ai sensi dell’art. 45 del citato decreto legislativo n. 231 del 2001, quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono elementi fondati e specifici dai quali desumere il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede, il pubblico ministero può chiedere che all’ente venga applicata quale misura cautelare una delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, d.lgs. cit., e cioè l’interdizione dall’esercizio dell’attività; la sospensione di autorizzazione o licenze; il divieto di contrattare con la P.A.; l’esclusione da agevolazione e finanziamenti pubblici ed il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
Come evidenziato dalla Sesta Sezione con l’ordinanza di rimessione, il procedimento applicativo di misure cautelari nei confronti degli enti è caratterizzato da un contraddittorio anticipato, rispetto all’adozione della misura. L’art. 47, comma 2, d.lgs. cit. stabilisce, infatti, che «se la richiesta di applicazione della misura cautelare è presentata fuori udienza, il giudice fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso al pubblico ministero, all’ente e ai difensori. L’ente e i difensori sono altresì avvisati che, presso la cancelleria del giudice, possono esaminare la richiesta del pubblico ministero e gli elementi sui quali la stessa di fonda». Come si vede, la misura cautelare interdittiva non è disposta con decisione de plano, giacché il provvedimento impositivo fa seguito alla celebrazione di un’apposita udienza, ove la persona giuridica, nel contraddittorio delle parti, può sia difendersi dall’accusa, sia offrire al giudice indicazioni sull’assetto organizzativo dell’ente o altro. Al riguardo, i commentatori della novella hanno sottolineato l’importanza dell’apporto conoscitivo che (solo) l’ente può fornire nella predetta fase procedimentale, anche nella prospettiva di porre in essere quelle condotte “riparatorie” in grado di escludere le sanzioni a norma degli artt. 17 e 49 d.lgs. n. 231 del 2001.
Del tutto razionalmente, rispetto a tale impianto normativo, caratterizzato dall’apertura anticipata del contraddittorio in funzione dialogica con l’ente destinatario della misura, il sistema prevede che la società possa avanzare istanza di sospensione della misura interdittiva (art. 49), rendendosi disponibile all’adozione di condotte riparatorie. Ed il giudice della cautela, se ritiene di accogliere la richiesta, determina una somma di denaro a titolo di cauzione e dispone la sospensione della misura indicando il termine per la realizzazione delle condotte riparatorie, di cui all’art. 17 del d.lgs. citato. Quindi, se la società adempie tempestivamente ed in modo corretto, il giudice, verificata l’efficace attuazione del programma di riparazione, dispone la revoca della misura (ai sensi dell’art. 49, comma 4, d.lgs. n. 231 del 2001). L’art. 50, comma 1, prevede analogamente che la revoca delle misure cautelari possa conseguire nel caso in cui risulti la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei presupposti applicativi oltre che nel caso di avvenuta esecuzione delle condotte riparatorie. Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato che la cessazione del rischio di recidiva, rilevante per l’applicazione di una misura cautelare, può essere determinata non solo dall’attuazione delle attività riparatorie previste dall’art. 17 cit., ma anche da comportamenti di altro tipo, atteso quanto indicato dall’art. 50, comma 1, del testo normativo in esame che, ai fini della revoca dei provvedimenti cautelari, pone in alternativa la ricorrenza delle ipotesi ex art. 17 alla mancanza sopravvenuta delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 45 del medesimo decreto (Sez. 6, n. 18634 del 5/05/2015, Rosi s.p.a., Rv. 263950; in senso conforme Sez. 6, n. 18635 del 5/05/2015, Vescovi s.p.a., Rv. 269496 ove si è affermato che la revoca della misura interdittiva può essere disposta, nel caso di sospensione della misura cautelare concessa ai sensi dell’art. 49 d.lgs. n. 231 del 2001, anche qualora il rischio di recidiva cessi per fattori sopravvenuti e diversi dall’attuazione delle misure riparatorie volte all’eliminazione delle carenze organizzative)”.
(…) Deve allora osservarsi che l’intero sistema cautelare di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, afferente alle misure interdittive, si fonda su una tutela rafforzata del contraddittorio, inteso come momento di interlocuzione tra le parti ed il giudice, nei sensi sopra chiariti, tant’è che fin dalla fase genetica dell’adozione della misura cautelare si consente il diritto di intervento dell’ente indagato. Il predetto elemento, invero, dimostra che nell’ambito della disciplina cautelare prevista dal d.lgs. n. 231 del 2001, l’attuazione del contraddittorio assume una specifica valenza, rispetto all’analoga fase processuale prevista dal codice di rito per l’adozione di misure cautelari nei confronti delle persone fisiche. Ciò in quanto l’interlocuzione tra l’ente e l’organo giudicante garantisce non solo finalità direttamente difensive ma, come si è visto, consente altresì al giudice di graduare la misura interdittiva adottata, nell’ottica di una inedita dinamica cautelare, permeabile rispetto all’adozione di condotte riparatorie, quale la scelta dell’ente di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società. Preme, altresì, considerare che il citato sistema di attiva interlocuzione con l’ente interessato, delineato dagli artt. 49 e 50 d.lgs. n. 231 del 2001, persegue la finalità di contemperare la soddisfazione delle esigenze cautelari con le rilevanti ricadute, sul piano economico-imprenditoriale ed occupazionale, che derivano dall’applicazione anche temporanea delle misure interdittive, incidenti sulle capacità economiche di società inserite nel contesto produttivo”.
Il perdurante interesse ad impugnare.
“Le Sezioni Unite hanno chiarito che l’interesse ad impugnare, con riferimento alle molteplici situazioni che caratterizzano il procedimento penale nelle sue varie articolazioni, non può essere ancorato semplicisticamente al concetto di soccombenza, che è proprio del sistema delle impugnazioni civili, ma deve essere costruito in chiave utilitaristica, nel senso che deve essere orientato a rimuovere un pregiudizio e ad ottenere una decisione più vantaggiosa rispetto a quella della quale si sollecita il riesame (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 25169401).
(…) … nel caso in esame, la declaratoria di inammissibilità dell’appello non può essere pronunciata in esito a modelli procedimentali semplificati, in considerazione delle specifiche conseguenze sostanziali derivanti in capo all’ente dalla misura interdittiva, pure revocata, per effetto delle condotte riparatore e, dunque, della sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante alla decisione.
(…) Sulla scorta delle richiamate considerazioni, deve ritenersi che nei casi di revoca delle misure interdittive a carico dell’ente, a seguito di condotte riparatorie, è da escludere la possibilità di una declaratoria di inammissibilità dell’appello cautelare pronunciata senza formalità. Invero, le molteplici conseguenze, comunque ricollegabili alla misura interdittiva revocata per effetto delle condotte riparatore, integrano altrettanti profili di ordine sostanziale, potenzialmente idonei a fondare un perdurante interesse all’impugnazione, di talché deve essere garantita alla parte deducente la facoltà di interlocuzione, anche al fine di offrire al tribunale specifiche indicazioni sulla attualità dell’interesse ad ottenere una decisione sulla originaria legittimità del provvedimento cautelare, se pure caducato o revocato.
(…)Nei casi in cui la sopravvenuta revoca della misura interdittiva applicata nei confronti dell’ente è dipesa dall’adozione di condotte rientranti nel paradigma delle azioni riparatorie, la declaratoria di inammissibilità dell’appello cautelare non può essere pronunciata in esito a modelli procedimentali semplificati, ai quali pure fa riferimento l’art. 127, comma 9, cod. proc. pen.. Escluso ogni automatismo tra la revoca del provvedimento cautelare e la sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione, deve in particolare rilevarsi che si profilano plurime situazioni di vantaggio sostanziale, derivanti in capo all’ente dall’adozione di una pronuncia favorevole, rispetto alla mancanza dei presupposti applicativi della misura interdittiva. In tali casi, nei quali devono essere svolti accertamenti di fatto di certa complessità ed effettuate valutazioni di natura discrezionale, la fissazione dell’udienza camerale, con avviso alle parti, garantisce il pieno esercizio del diritto al contradittorio, inteso come preventiva interlocuzione fra parte istante e organo decidente”.
Il principio di diritto.
“In conclusione, rispetto alla questione sottoposta a questo Collegio devono affermarsi i seguenti principi: “l’appello avverso una misura interdittiva, che nelle more sia stata revocata a seguito delle condotte riparatorie ex art. 17 d.lgs. n. 231 del 2001, poste in essere dalla società indagata, non può essere dichiarato inammissibile de plano, secondo la procedura prevista dall’art. 127, comma 9, ma, considerando che la revoca può implicare valutazioni di ordine discrezionale, deve essere deciso nell’udienza camerale e nel contraddittorio delle parti, previamente avvisate; la revoca della misura interdittiva disposta a seguito di condotte riparatorie poste in essere ex art. 17 d.lgs. 231 del 2001, intervenuta nelle more dell’appello cautelare proposto nell’interesse della società indagata, non determina automaticamente la sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione””.
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Art. 16 D.lgs. n. 231/2001: sanzioni interdittive applicate in via definitiva.
- Può essere disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività se l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività.
- Il giudice può applicare all’ente, in via definitiva, la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni.
- Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività e non si applicano le disposizioni previste dall’articolo 17.
Art. 17 D.lgs. n. 231/2001: riparazione delle conseguenze del reato.
- 1. Ferma l’applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:
- a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
- b) l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- c) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di misure interdittive e responsabilità amministrativa degli enti:
Cassazione penale sez. II 10 luglio 2018 n. 34293
In tema di responsabilità da reato degli enti e persone giuridiche, è ammissibile il sequestro “impeditivo” di cui all’ art. 321, comma 1, cod. proc. pen. , non essendovi totale sovrapposizione e quindi incompatibilità logico giuridica tra il suddetto sequestro e le misure interdittive. (In motivazione la Corte ha precisato che mentre la misura interdittiva paralizza l’uso del bene criminogeno solo in modo indiretto, e temporaneo, al contrario il sequestro e la successiva confisca colpiscono direttamente il bene, eliminando il pericolo che il bene possa essere destinato a commettere altri reati).
Cassazione penale sez. VI 21 marzo 2017 n. 15578
Le misure interdittive a carico di enti e società sono efficaci dal momento della loro notifica e non invece all’atto della comunicazione all’autorità di vigilanza. La precisazione arriva dalla Cassazione che delimita così la durata delle ordinanze per evitare un’estensione per via burocratica dei provvedimenti chiesti dalla Procura nell’ambito di indagini penali. Per la Corte, la comunicazione all’Anac non ha effetto costitutivo dell’interdittiva ma solo “di mera pubblicità 0notizia funzionale ai poteri di controllo e vigilanza che all’Autorità competono”.
Cassazione penale sez. VI 21 marzo 2017 n. 15578
Secondo il disposto di cui agli artt. 48 e 51, comma 3, d.lg. 231 del 2001, la decorrenza della misura cautelare parte dalla data di notifica dell’ordinanza cautelare all’ente, analogamente a quanto previsto per la esecuzione della sanzioni interdittive.
Cassazione penale sez. III 08 giugno 2016 n. 45472
In caso di responsabilità da reato degli enti, le sanzioni interdittive sono sanzioni “principali” e non “accessorie”; pertanto, in caso di sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. queste ultime devono essere oggetto di un espresso accordo processuale tra le parti in ordine al tipo ed alla durata delle stesse e non possono essere applicate dal giudice in violazione dell’accordo medesimo.
Cassazione penale sez. II 28 novembre 2013 n. 326
In tema di responsabilità da reato degli enti, affinché possa ritenersi integrato il requisito del risarcimento integrale del danno e dell’eliminazione delle conseguenze dannose del reato di cui all’art. 17, lett. a), d.lg. n. 231 del 2001, ai fini della revoca delle misure cautelari interdittive eventualmente disposte, è necessaria la diretta consegna alla persona offesa della somma costitutiva del risarcimento del danno prodotto o comunque l’attuazione di condotte che garantiscono la presa materiale della somma da parte del danneggiato senza la necessità di un’ulteriore collaborazione dell’ente ai fini della traditio. (Nella fattispecie non è stata ritenuta idonea a tal fine la previsione nel bilancio della società di un fondo di accantonamento costitutivo di una riserva indisponibile certificata dal collegio sindacale e comunicata alle persone offese).
Cassazione penale sez. VI 05 marzo 2013 n. 10904
In tema di responsabilità da reato degli enti, è viziata per difetto di motivazione l’ordinanza che, nel disporre nei confronti della persona giuridica una misura interdittiva, in merito alla sussistenza dei gravi indizi del reato presupposto si limiti a rinviare “per relationem” alla motivazione del provvedimento applicativo delle misure cautelari personali agli autori del medesimo, senza dare conto delle ragioni per cui abbia disatteso le contestazioni sollevate in proposito dalla difesa nel corso dell’udienza prevista dall’art. 47 d.lg. n. 231 del 2001.
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