L’adesione del contribuente alla voluntary disclosure fa venir meno i presupposti per il sequestro delle somme costituenti provento dei reati tributari.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza di legittimità n.10801/19, depositata il 12.03.2019, con la quale la Suprema Corte è intervenuta sul tema delle conseguenze dell’applicazione della causa di non punibilità che discende dalla procedura amministrativa di voluntary disclosure e l’efficacia della medesima sui provvedimenti cautelari reali emanati nell’ambito del procedimento penale incardinato per reati fiscali.

 

L’incolpazione penale e lo svolgimento della fase cautelare reale.

Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma proponeva ricorso avverso l’ordinanza emessa in dal Tribunale del riesame capitolino di annullamento del decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. presso il medesimo Tribunale nei confronti di due imputati per i reati di cui all’ art. 2 del D. Lgs. n. 74 del 2000 perché il primo, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico di una s.p.a., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2010 – 2011 – 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti, indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di euro 3.475.271,76 e perché, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico di una s.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di euro 59.561,00 (capo sub b) e la seconda perché, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico di una s.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di euro 357.000,00.

 

Il ricorso del PM.

Con ricorso ex art. 325 c.p.p. il PM, contestava: (i) l’errata applicazione della legge penale in relazione alla applicabilità, al caso di specie, della procedura di collaborazione volontaria con gli uffici finanziari di cui all’art. 5 quater l.n. 186/2014, introdotto dal D.L. n. 167/1990, (c.d. voluntary disclosure), della quale gli imputati si erano avvalsi, per effetto della quale il Collegio cautelare, aveva ricosciuto riconosceva la causa di non punibilità, annullando per l’effetto il provvedimento ablatorio emanato dal Gip romano; (ii) deduceva, altresì, che il Tribunale avrebbe errato nel non ritenere del tutto svincolate tra loro la procedura amministrativa di rientro delle somme non dichiarate di cui sopra e quella della cautela giudiziale, quest’ultima non inficiata dalla prima in quanto avente ad oggetto le somme provento del reato.

Il giudizio della Cassazione ed il principio di diritto.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi motivazionali di maggiore rilievo del provvedimento di legittimità, con particolare riferimento al profilo del rapporto tra voluntary disclosure e presupposti del provvedimento cautelare.

“…l’impostazione del P.M. ricorrente, assiomaticamente volta a ritenere che l’istituto della collaborazione non inciderebbe sulla operatività delle misure cautelari, appare non tenere conto degli effetti, sul piano penale, della disciplina della voluntary disclosure : sul punto è dirimente osservare che l’art, 5 quinquies della I. n. 167 del 1990 cit. ha previsto espressamente che nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria “è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli 2,3,4,5,10 bis e 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000”. Di qui, dunque, la constatazione che, perfezionata la procedura e pagate le relative imposte, la causa di non punibilità farebbe venir meno, in capo alle somme derivate dalla utilizzazione delle fatture emesse per operazioni inesistenti, la natura di profitto del reato venendo dunque meno la confiscabilità di dette somme e, conseguentemente, divenendo illegittima la protrazione di un sequestro unicamente a detta confisca finalizzato.

Sicché, del tutto correttamente, in applicazione della disciplina appena ricordata, il Tribunale ha disposto il dissequestro delle somme assoggettate a confisca.

Al contrario, il ragionamento del P.M., che parrebbe ritenere il sequestro esente dagli effetti della disciplina sulla collaborazione volontaria sulla base di una diversità delle somme non dichiarate, oggetto della procedura, da quelle invece oggetto di sequestro, oltre a confutare su un piano meramente fattuale il diverso approdo sul punto della ordinanza impugnata, trascura di considerare che, essendo tra i reati inclusi nella voluntary disclosure anche, specificamente, quello di dichiarazione fraudolenta, le somme da “rimpatriare” altro non possono essere (posto che nessun altro senso avrebbe avuto l’inclusione anche del reato ex art. 2 cit.), che quelle stesse derivate dalla utilizzazione delle fatture relative alle operazioni inesistenti”.

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Art. 2. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 
  2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti:

Cassazione penale, sez. III, 19/06/2018, n. 52411

In tema di reati tributari, il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’ art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.

Cassazione penale, sez. IV , 20/03/2018, n. 17401

I reati di dichiarazione fraudolenta ai fini Iva mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000 commessi in epoca precedente la pronuncia della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, Taricco, dell’8 settembre 2015, anche se non ancora prescritti a tale data, rimangono soggetti alla disciplina nazionale in materia di prescrizione, pur se questa risulti in contrasto con il diritto europeo, perché idonea a pregiudicare gli obblighi imposti a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea.

Cassazione penale, sez. fer., 31/08/2017, n. 47603

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi, poiché la “ratio” del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.

Cassazione penale, sez. III, 09/06/2017, n. 39541

Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche l’inesistenza soggettiva.

Cassazione penale, sez. III, 21/04/2017, n. 34534

Ai fini della configurabilità del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dalla pubblica accusa la fittizietà dell’intestazione delle fatture, è onere del soggetto emittente dimostrare la corrispondenza fra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati. (Nella specie, la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto sprovvista di prova la mera allegazione difensiva circa l’esistenza di una delegazione di pagamento intercorsa fra l’intestatario delle fatture di vendita di alcune autovetture ed i diversi soggetti che avevano versato il relativo prezzo).

Cassazione penale, sez. III, 19/01/2017, n. 24307

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Cassazione penale, sez. III, 30/11/2016, n. 14815

Risponde di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 dlgs. n. 74 del 2000) il soggetto che, d’intesa con gli autori delle dichiarazioni, fornisca ai medesimi, nell’ambito dell’attività di “esperto contabile” prestata in loro favore, le fatture per operazioni inesistenti all’uopo fatte predisporre da terzi.

 Cassazione penale, sez. III, 19/05/2016, n. 7941

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 d.Lg. n.74/2000, è integrati dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione di imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità.

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