Può sussistere responsabilità per omicidio aggravato a carico del medico che somministra eccessive quantità nell’unità di tempo di farmaci palliativi al malato terminale provocandone il decesso.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.13859/2019 (depositata il 29.03.2019) con la quale la Corte di Cassazione, in sede di impugnazione cautelare, è stata chiamata a dirimere il caso di sanitario indagato per aver procurato la morte di un paziente conseguenza della sovrabbondante somministrazione di un farmaco palliativo ad un malato terminale affetto da patologia tumorale.

L’incolpazione penale e lo svolgimento del processo.

Il Tribunale di Salerno, in funzione di Giudice del riesame, in parziale accoglimento della richiesta proposta nell’interesse dell’indagato, annullava l’ordinanza cautelare emessa dal Gip presso lo stesso Tribunale nella parte relativa al reato di omicidio aggravato, ipotizzato a carico del giudicabile per aver cagionato, nella qualità di medico- chirurgo esperto in cure palliative, la morte di un paziente oncologico terminale, per mezzo della somministrazione in concentrazioni molto elevate di Midazolam, farmaco con principi attivi rientranti tra quelli potenzialmente tossiche, con l’aggravante di aver commesso il fatto con l’uso di sostanze venefiche.

Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che dalle indagini svolte dalla Procura, compreso l’esame autoptico disposto sulla salma del paziente, era emerso quanto segue:

(i)  nel sangue era stata riscontrata la presenza del farmaco Midazolam;

(i) la morte si era verificata poco dopo la somministrazione del farmaco da parte del sanitario indagato;

(iii) il farmaco era stato somministrato secondo procedure non conformi alla scheda ospedaliere che aveva impostato la sedazione palliativa.

Il Tribunale cautelare evidenziava l’insussistenza della prova che il proposto alla misura cautelare avesse somministrato 60 ml di Midazolam, corrispondente al quantitativo delle fiale di farmaco rinvenute aperte in casa del predetto, in bolo e non per soluzione fisiologica, e che il fenomeno della trasudazione post mortem ben avrebbe potuto aumentare la concentrazione del farmaco rispetto a quello effettivamente inoculato dal sanitario al paziente prima del suo decesso.

Vi è da segnalare che in un passaggio della premessa della sentenza 13859/2019, si fa riferimento ad una intercettazione ambientale relativa ad una conversazione intercorsa tra il sanitario raggiunto da indizi di reità ed una infermiera nella quale il primo faceva cenno all’interlocutrice dell’episodio  della morte del paziente ed a quanto lui aveva fatto per risolvere la situazione.

Contro l’ordinanza di annullamento della misura cautelare personale proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Salerno, deducendo vizio di violazione di legge e difetto di motivazione dell’ordinanza resa dal Collegio Cautelare.

 

La decisione della Cassazione

La Suprema corte ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale salernitano.

Di seguito si riportano, i passaggi del tessuto motivazionale di interesse per il presente commento perché afferenti al tema del nesso causale tra somministrazione della terapia ed evento morte:

La motivazione in ordine a questi aspetti è carente e contraddittoria. Come posto in evidenza dal ricorrente, l’Istituto (omissis) prescrisse come terapia antalgica il Midazolam ma non nelle quantità e con le modalità che il Tribunale ha ritenuto di desumere dalla scheda di terapia ospedaliera. A parte la somministrazione in bolo di 3 mg, la prescrizione era di somministrazione in infusione continua di “150 mg in 50 ml – 0,5 ml/h”.

Il Tribunale non ha quindi considerato un dato essenziale, e cioè che, nell’assumere a termine di comparazione per le valutazioni del comportamento di (omissis) le prescrizioni dell’Istituto (omissis), l’attenzione non può essere unicamente riposta alla quantità di farmaco nel valore assoluto, perché quel che rileva è la quantità per unità di tempo. La somministrazione in soluzione fisiologica di 0,5 ml per ora significa che la quantità di 60 mg avrebbe dovuto essere somministrata, per essere conforme alle prescrizioni terapeutiche dell’Istituto (omissis), in dodici ore. Non è allora corrispondente al dato documentale che la somministrazione di 60 mg di Midazolam fosse pienamente all’interno dei limiti previsti dall’Istituto (omissis), che aveva addirittura prescritto 150 mg, perché non sono entità comparabili 60 mg somministrati in poco tempo, non più di trenta/quaranta minuti, e 150 mg somministrati in ben più di ventiquattro ore. 

(…) Se si assume in premessa che (omissis), giunto a casa di (omissis), somministrò 60 mg di Midazolam e che la somministrazione fu esaurita in un arco temporale molto breve, nell’ordine di pochi minuti perché poi sopraggiunse il decesso (fl. 16 ss.), non si comprende quale rilievo possa avere se essa fu fatta in bolo o con soluzione fisiologica, perché in ogni caso si trattò giocoforza, in ragione della misura temporale di trattamento, di un’immissione massiccia di un quantitativo molto rilevante del farmaco.

(…) Le incompletezze e incoerenze ricostruttive che inficiano la motivazione, e che sono state appena descritte, non consentono di apprezzare la logicità e coerenza dello sviluppo argomentativo successivo, specie nella parte in cui si afferma che sono rimaste non accertate le quantità di soluzione fisiologica utilizzata e la velocità di discesa del farmaco in vena (fl. 18), dal momento che la premessa che furono somministrati 60 mg di Midazolam in pochi minuti sembra privare di rilievo la dedotta incertezza, ed anzi sembra negarla in radice”.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di rapporto causale nell’ambito della responsabilità colposa per morte o lesioni personali dei professionisti sanitari:

Cassazione penale sez. IV  30 marzo 2016 n. 18780  

La responsabilità penale di ogni componente di una équipe medica per un evento lesivo occorso ad un paziente sottoposto ad intervento chirurgico non può essere affermata sulla base dell’accertamento di un errore diagnostico genericamente attribuito all’équipe nel suo complesso, ma va legata alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente, anche in una prospettiva di verifica dell’operato degli altri nei limiti delle proprie competenze e possibilità.

Cassazione penale sez. IV  10 marzo 2016 n. 15493  

In tema di omicidio imputabile a colpa medica, non è censurabile in sede di legittimità la decisione con cui il giudice di merito, nel contrasto tra opposte tesi scientifiche, all’esito di un accurato e completo esame delle diverse posizioni, ne privilegi una, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri e essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di non dover seguire. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito che, pur ravvisando l’errore del pediatra, che aveva sottovalutato l’urgenza di un intervento sanitario da eseguirsi in ambiente ospedaliero, ha escluso la sussistenza di un nesso causale con il decesso della paziente, la cui rapida ed irreversibile compromissione dei parametri vitali era stata dovuta a plurimi e gravi errori dell’anestesista rianimatore).

Cassazione penale sez. IV  14 febbraio 2013 n. 18573  

In tema di omicidio, sussiste il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del medico specialistico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di contrafattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva. (Fattispecie nella quale il sanitario di turno presso il pronto soccorso non aveva disposto gli accertamenti clinici idonei ad individuare una malattia cardiaca in corso e, di conseguenza, non era intervenuto con una efficace terapia farmacologica di contrasto che avrebbe rallentato significativamente il decorso della malattia, così da rendere utilmente possibile il trasporto presso struttura ospedaliera specializzata e l’intervento chirurgico risolutivo).

Cassazione penale sez. V  15 dicembre 2015 n. 9831  

Anche nei reati omissivi impropri è necessario raggiungere la certezza processuale in ordine alla sussistenza del nesso di causalità: per far ciò, non si può prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi concernenti la “causa materiale” dell’evento.

Cassazione penale sez. IV  06 marzo 2012 n. 17758  

In tema di responsabilità a titolo di colpa per condotta omissiva, la sussistenza del nesso di causalità può essere affermata o esclusa, oltre che sulla base di dati empirici o documentali di immediata evidenza, anche con ragionamento di deduzione logica purché fondato su elementi di innegabile spessore, correttamente esaminati secondo le “leges artis”, e può affermarsi quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa sostenere in termini di “certezza processuale”, ossia di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta omissiva a determinare l’evento lesivo, facendo riferimento sia a dati statistici sia ad altro materiale probatorio. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato, ai soli fini civili, la sentenza con cui il giudice di appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto sussistente il nesso causale con riferimento al giudizio controfattuale basato esclusivamente su dati statistici senza considerare l’interferenza di decorsi causali alternativi).

Cassazione penale sez. IV  21 giugno 2007 n. 39594  

Nei reati omissivi impropri, la sussistenza del nesso di causalità non può essere affermata sulla base di una valutazione di probabilità statistica, risultando invece necessaria la formulazione di un giudizio di probabilità logica che consenta di ritenere l’evento specifico riconducibile all’omissione dell’agente al di là di ogni ragionevole dubbio. (Fattispecie in tema di colpa professionale medica in cui la Corte ha ritenuto corretta la valutazione compiuta dal giudice d’appello in merito all’insussistenza della prova certa del collegamento causale tra le omissioni diagnostiche e terapeutiche attribuite al sanitario e il decesso di un paziente, la cui situazione immunitaria assolutamente insufficiente lasciava legittimamente dubitare delle possibilità salvifiche degli accertamenti clinici non tempestivamente effettuati).

Cassazione penale sez. un.  10 luglio 2002 n. 30328  

Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. La conferma dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale non può essere dedotta automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio.

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