L’impiegato statale che si finge in malattia per esercitare abusivamente la professione di dentista risponde del delitto di truffa aggravata.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 17423/2019, depositata il 23 aprile 2019,  resa dalla II sezione penale della Suprema Corte, in tema di frodi commesse da dipendenti pubblici in danno dello Stato.

Allo scrutinio di legittimità è stata devoluta la vicenda processuale di un pubblico impiegato il quale, secondo le risultanze del giudizio di merito, avrebbe indotto in errore l’amministrazione attraverso falsi certificati medici per essere esentato dal lavoro al fine di poter esercitare, abusivamente, la professione di dentista.

L’imputazione e i processi di merito.

La Corte di appello di Palermo confermava la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trapani che, previa riduzione della pena per effetto del rito abbreviato, condannava l’imputato alla pena sospesa di dieci mesi di reclusione ed euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato continuato di truffa aggravata perché commessa in danno dello Stato.

In punto di fatto, secondo l’ipotesi accusatoria accolta dai giudici di merito, il prevenuto induceva in errore l’amministrazione statale con artifici consistiti nel far apparire, con certificati medici, uno stato di salute che non gli consentiva di recarsi al lavoro presso l’ufficio del dirigente amministrativo del Tribunale di Trapani, mentre invece espletava abusivamente l’attività di medico dentista presso uno studio odontoiatrico, così perseguendo l’ingiusto profitto degli emolumenti per un importo complessivo pari a euro 2.334,41.

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione deducendo, tra gli altri motivi, violazione e falsa applicazione dell’art. 316 ter, cod. pen. quanto alla qualificazione giuridica del reato contestato al giudicabile.

Il ricorrente sosteneva, infatti, data l’assenza dell’induzione in errore, che il caso in esame doveva essere più correttamente qualificato quale ipotesi di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato, stante la dedotta veridicità delle certificazioni mediche oggetto dell’imputazione penale.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Per quanto concerne la doglianza del ricorrente relativa alla errata qualificazione giuridica del reato a lui contestato il Collegio di legittimità, nel compendio motivazionale della sentenza in commento, ha statuito quanto segue:

Infatti la Corte di appello, con riguardo al tema introdotto con il secondo motivo di ricorso; ha osservato che, ai fini della configurabilità dell’induzione in errore e, quindi, della truffa, non era rilevante l’esistenza di una pregressa patologia (di natura psichiatrica), perché l’artificiosa alterazione della realtà era consistita nella reiterata rappresentazione di una condizione patologica tale da impedire all’imputato la prestazione dei lavoro, mentre -in realtà- quello svolgeva attività lavorativa altrove, così dimostrandosi che la patologia sofferta non impediva l’attività lavorativa, per come falsamente rappresentato.

La Corte di appello ha altresì aggiunto che la reale esistenza di una malattia che giustifichi l’assenza dal lavoro implica la necessità di uno specifico e autonomo accertamento da parte del datore di lavoro.

Sulla base di tale premessa ha osservato che tale evenienza escludeva la configurabilità del reato di cui all’art. 316 ter cod. pen., che non include l’elemento costitutivo dell’induzione in errore, in quanto l’ente erogatore  a differenza che nella truffa aggravata – è chiamato solo a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere un’autonoma attività di accertamento, come invece è avvenuto nel caso in esame. Il ricorrente non si confronta con tali argomentazioni e ribadisce i medesimi argomenti contenuti nell’atto di appello, continuando a valorizzare la patologia psichiatrica sofferta dall’imputato, senza mai contrastare la motivazione spesa dalla Corte territoriale per escluderne ogni valenza probatoria”.

*****
Riferimenti normativi

Art. 640 c.p. Truffa.

[I]. Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro.

[II]. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 euro a 1.549 euro:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità.

2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).

[III]. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7.

*****

Quadro giurisprudenziale di riferimento sulla truffa aggravata ai danni dello Stato commessa dal pubblico impiegato per assenza ingiustificata dal luogo di lavoro:

 Cassazione penale sez. II, 30/11/2018, n.3262

La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, che rilevano di per sé – anche a prescindere dal danno economico cagionato all’ente truffato fornendo una prestazione nel complesso inferiore a quella dovuta – in quanto incidono sull’organizzazione dell’ente stesso, modificando arbitrariamente gli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e ledono gravemente il rapporto fiduciario che deve legare il singolo impiegato all’ente; di tali ultimi elementi è necessario tenere conto anche ai fini della valutazione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 4.

Cassazione penale sez. V, 18/07/2018, n.41426

La falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza in merito alla presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata.

Cassazione penale sez. II, 14/09/2018, n.47286

L’indebito conseguimento dell’indennità di malattia da parte del lavoratore configura il reato di truffa aggravata ex art. 640, comma 2, n. 1 cod. pen. (nella specie, l’imputato aveva certificato all’azienda il proprio stato di malattia, percependo l’indennità erogata dall’INPS, e contemporaneamente aveva lavorato per un’altra società).

Cassazione penale sez. II, 13/07/2018, n.38997

La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., che può essere applicata nel caso di reati unificati dal vincolo della continuazione qualora la condotta criminosa risulti unitaria e circoscritta e l’offesa possa considerarsi di particolare tenuità, non può essere invocata dall’imputato che abbia tenuto un comportamento abituale deviante, caratterizzato dalla reiterazione della medesima condotta. [Nel caso di specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza della corte d’appello, che aveva condannato l’imputato (un medico dipendente di una Asl) per il reato di cui all’art. 640 c.p., ritenendo che la condotta consistente nell’aver fatto ripetutamente marcare ad altre persone il proprio badge nell’orologio segnatempo, allontanandosi senza alcuna giustificazione dal luogo di lavoro, rappresentasse un vero e proprio stile di vita ed un “modus operandi” abituale, con conseguente inapplicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto].

Cassazione penale sez. II, 16/03/2018, n.14975

In tema di truffa aggravata in danno dello Stato, nel caso in cui la condotta consista in ripetute assenze ingiustificate dell’impiegato pubblico dal luogo di lavoro, occorre che queste determinino un danno economicamente apprezzabile, sicché è onere del giudice di merito considerare a tal fine anche l’eventuale ricorrenza di decurtazioni stipendiali conseguenti proprio alla mancata realizzazione della prestazione.

Cassazione penale sez. III, 27/10/2015, n.45698

La falsa attestazione del dipendente pubblico, in ordine alla presenza sul luogo di lavoro accertata mediante alterazione dei cartellini marcatempo, integra, in concorso materiale, i reati di truffa aggravata (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.) e di false attestazioni o certificazioni (art. 55 quinquies d.lg. n. 165 del 2001).

Cassazione penale , sez. II , 07/11/2013 , n. 48145

Deve essere confermata la penale responsabilità – per truffa e falso ai danni della P.A. – del pubblico impiegato che ha falsificato le firme apposte sui certificati medici presentati per giustificare la sua malattia, tale di per sé da non giustificare la sua assenza dal lavoro, ottenendo comunque la retribuzione pur in assenza di prestazione lavorativa.

Cassazione penale sez. II, 17/01/2013, n.5837

La falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e integra il reato di truffa aggravata ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili.

Cassazione penale sez. V, 17/12/2013, n.8426

Risponde di truffa colui che si procuri un ingiusto profitto in danno di altri ponendo in essere artifici e raggiri che abbiano indotto in errore la vittima, anche nell’ipotesi in cui il soggetto passivo abbia agito per perseguire fini illeciti. (Nella specie, le vittime delle truffe, tratte in errore dagli artifici e dai raggiri dell’imputato – cancelliere in servizio presso un tribunale – si erano determinate a dare denaro per influenzare illecitamente un’asta giudiziaria).

 Cassazione penale, sez. II , 05/06/2012, n. 25781

Integra il reato di truffa aggravata la condotta del dipendente pubblico che si allontani temporaneamente dal luogo di lavoro senza far risultare l’assenza mediante timbratura del cartellino ovvero rilevazione con scheda magnetica (nella specie, la Corte di cassazione, nel richiamare il dovere del dipendente di adempiere alle proprie funzioni con disciplina e onore, ritiene irrilevante la deduzione difensiva in ordine alla presunta levità della condotta posta in essere dal lavoratore, in ragione del modestissimo periodo di assenza dall’ufficio).

Cassazione penale, sez. II, 19/05/2011, n. 23785

Commette il delitto di truffa in danno dell’Ente pubblico il dipendente che faccia figurare come dovuto a ragioni di servizio un allontanamento dal posto di lavoro invece arbitrario non rilevando in senso contrario che il superiore gerarchico fosse a conoscenza della mancata autorizzazione all’allontanamento dal servizio (nel caso di specie la S.C. ha accolto il ricorso proposto dal p.m. contro sentenza di merito dichiarativa di non luogo a procedere che aveva ritenuto la mancata integrazione del delitto di truffa).

Cassazione penale , sez. II, 08/03/2011, n. 17096

La falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente a indurre in errore la pubblica amministrazione circa la presenza sul luogo di lavoro a ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa (nella specie, la Cassazione ha confermato la condanna del medico che abbandonava il reparto prima che finisse il proprio turno, senza timbrare il cartellino marca tempo, non rilevando l’eventuale disponibilità da parte dei colleghi di supplire le assenze e i ritardi).

Cassazione penale, sez. II , 30/09/2009, n. 41471

Integra il reato di truffa consumata il dipendente comunale che fa timbrare il proprio cartellino marcatempo da un collega e si allontana dall’ufficio. Il delitto di truffa, infatti, si intende perfezionato in quanto l’impiegato, che si era recato durante l’orario di servizio ad assistere ad un incontro di calcio, aveva percepito un ingiusto profitto, ricevendo la retribuzione anche in relazione al tempo in cui si era assentato, con corrispondente danno per il Comune.

© RIPRODUZIONE RISERVATA