E’ nullo il decreto di sequestro preventivo eseguito sul patrimonio personale dell’indagato senza la preventiva escussione di quello sociale.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n.36428/2019 – depositata il 26.08.2019, trasmessa all’Ufficio del Massimario per la relativa annotazione, che ha affrontato uno dei temi centrali in materia di misure cautelari reali, ossia quello della legittimità dell’attività esecutiva del PM  (conseguente alla emissione del provvedimento genetico da parte del G.i.p.) nell’assoggettare al vincolo ablatorio le risorse patrimoniali della società beneficiaria dell’illecito fiscale e quello del legale rappresentante indagato.

L’incolpazione provvisoria ed il giudizio cautelare di merito.

Il Tribunale della Libertà di Palermo confermava parzialmente l’ordinanza del Gip di Termini Imerese, con la quale era stato disposto il sequestro per equivalente e in forma diretta nei confronti dell’indagato e delle società delle quali era legale rappresentante, in relazione a reati tributari.

In particolare, in parziale accoglimento del ricorso dell’indagato, l’ordinanza cautelare è stata annullata con riferimento al sequestro per equivalente dei beni dell’indagato stesso, sul rilievo della mancanza di motivazione circa l’impossibilità di poter apprendere il profitto diretto dei reati presso la società.

Il ricorso ex art. 325 c.p.p. ed il principio di diritto.

Contro l’ordinanza del Collegio cautelare interponevano ricorso per cassazione le parti processuali:  da un lato il PM rivendicava la legittimità del proprio operato e la conseguente nullità della decisione del Tribunale della Libertà; dall’altro, la difesa dell’indagato, censurava la nullità dell’ordinanza nella parte in cui non aveva esteso il principio applicato agli immobili anche alla liquidità giacente sui conti correnti a lui intestati che non poteva essere sequestrata in assenza di prova dell’incapienza del patrimonio sociale.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del PM ed accolto quello della difesa dell’indagato – annullando con rinvio per nuovo esame –   per le ragioni di seguito indicate:

 (i) L’infondatezza del ricorso del PM e la necessaria preventiva escussione nelle forme del sequestro diritto del patrimonio sociale.

“Il ricorso del pubblico ministero è infondato. Dalla stessa prospettazione del ricorrente emerge l’eventualità dell’esistenza di beni societari che avrebbero potuto, almeno potenzialmente, costituire il profitto del reato, da sequestrare in via diretta.

Lo stesso pubblico ministero ammette, infatti, di non aver valutato la capienza in concreto delle società e di avere, invece, effettuato la scelta discrezionale di non operare il sequestro diretto, dovuta all’esigenza di far continuare l’attività, sottoposta ad amministrazione giudiziaria.

Tale prospettazione si risolve, dunque, nella sostanziale negazione dell’avvenuta verifica del presupposto dell’impossibilità di reperire beni o denaro presso la società; presupposto fissato espressamente, a tutela del patrimonio personale dell’indagato, dall’art. 12-bis.

L’ordinamento non consente, dunque, al pubblico ministero, neanche al fine di garantire la fruttuosità dell’amministrazione giudiziaria di una società, di decidere discrezionalmente di procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente presso l’indagato, senza avere comunque accertato l’impossibilità del sequestro in via diretta.

Deve ricordarsi, infatti, che in tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato.

Si è così esclusa la legittimità dell’emissione di un decreto di sequestro per equivalente in difetto di una verifica, sommaria e allo stato degli atti, dell’impossibilità di procedere al sequestro di somme di denaro, costituendo quest’ultimo un sequestro in forma “diretta” (ex plurimis, Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Rv. 265028 – 01).

Tali affermazioni si attagliano al caso in cui il pubblico ministero abbia richiesto al Gip esclusivamente il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni del legale rappresentante della società e non anche il sequestro in via diretta presso la società.

Mentre, per il diverso caso in cui sia formulata richiesta congiunta di sequestro in forma diretta e, in via residuale, per equivalente, qualora non siano stati compiuti accertamenti sulla possibilità o meno di porre il vincolo direttamente sul profitto del reato, è riservato alla fase esecutiva o ad un momento successivo all’esercizio dell’azione cautelare l’accertamento dell’impossibilità di procedere al sequestro in forma specifica (Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Rv. 274561 – 02), non essendo necessario che tale accertamento sia effettuato, neanche sommariamente, prima della presentazione della richiesta di sequestro da parte del pubblico ministero.

A ciò deve aggiungersi che non sussiste un obbligo per la pubblica accusa di provvedere, in via preventiva o in sede di esecuzione del sequestro, alla ricerca di liquidità o cespiti presso la società, solo nel caso in cui risulti ex actis l’incapienza del patrimonio dell’ente (ex plurimis, Sez. 3, n. 3591 del 20/09/2018, dep. 24/01/2019, Rv. 275687 – 01; Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014, dep. 11/02/2015, Rv. 262770 – 01)

(ii) L’accoglimento del ricorso dell’indagato e la natura del sequestro “per equivalente” dell’ablazione delle somme di denaro nella sua disponibilità.

“Quanto al primo motivo di doglianza, deve affermarsi che il sequestro di denaro presso il legale rappresentante della società nel cui interesse sono stati commessi reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 e che non sia uno “schermo fittizio” deve sempre essere considerato quale sequestro per equivalente.

Tale conclusione discende dai principi enunciati dalla giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte in tema di rapporto fra confisca diretta e confisca per equivalente in relazione alle persone giuridiche.

In particolare, si è affermato che non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato. Inoltre, deve essere tenuto presente che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258646 – 01).

E tali affermazioni vanno intese nel senso che, qualora il reato sia commesso nell’interesse di una persona giuridica, il profitto è normalmente conseguito dalla persona giuridica stessa e non dal legale rappresentante, cosicché deve essere ricercato e può essere confiscato nel patrimonio della prima, in via diretta, quando vi sia prova del nesso di derivazione o, anche in mancanza di tale prova, quando si tratta di denaro o di beni fungibili.

Invece, la confisca che si effettua nel patrimonio del legale rappresentante autore del reato è normalmente una confisca per equivalente, perché, qualora la persona giuridica sia un’entità reale e non fittizia, ovvero un soggetto dotato di effettiva autonomia patrimoniale, il legale rappresentante non consegue alcun profitto, né in beni, né in denaro.

Del resto, coerentemente con tale mancanza di diretto vantaggio patrimoniale, il legislatore ha concepito la confisca per equivalente per i reati tributari come un istituto avente natura sanzionatoria (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Rv. 255037 – 01).

Venendo al caso in esame, il Tribunale avrebbe dovuto valutare, ai fini del sequestro del denaro del legale rappresentante indagato, da considerarsi come sequestro per equivalente, le conseguenze del mancato esame, da parte del pubblico ministero, della capienza dei patrimoni sociali interessati.

In accoglimento del primo motivo di ricorso, l’ordinanza impugnata deve essere, dunque, annullata con rinvio, limitatamente al sequestro preventivo per equivalente del denaro, perché si proceda a nuovo giudizio sul punto, facendo applicazione dei principi di diritto sopra enunciati.

by Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA