ATP e giudizio penale: nel processo penale a carico del sanitario è legittima l’acquisizione al fascicolo dibattimentale ed utilizzabile per l’accertamento della responsabilità dell’imputato l’elaborato di consulenza tecnica formato in sede civile con le forme dell’istruzione preventiva.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 39740/2019 – depositata il 24.09.2019, con la quale la Suprema Corte, chiamata a scrutinare un caso di colpa medica, ha escluso profili di irritualità nell’acquisizione ai fini probatori in sede penale dell’elaborato peritale depositato nell’ambito di un giudizio civile di istruzione preventiva.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, ha annullato la sentenza assolutoria della Corte territoriale che, riformando integralmente quella di primo grado, aveva escluso profili di responsabilità penale in capo ai sanitari, senza offrire adeguata motivazione sulla scelta degli elementi di prova utilizzabili ai fini del decidere per l’accertamento delle condotte (omissive e commissive) in contestazione e del nesso di causalità con l’exitus infausto.

Il caso clinico e il doppio grado di giudizio.

La Corte di appello di Roma assolveva dal reato di omicidio colposo i due imputati, condannati in primo grado dal Tribunale capitolino per avere, rispettivamente, in qualità di medico radiologo e medico endoscopista dell’ospedale cagionato il decesso del paziente con le condotte riportate nella sentenza in commento alla cui lettura si rimanda per un corretto apprezzamento del dato clinico.

Vi è da segnalare che nella motivazione della sentenza assolutoria impugnata in sede di legittimità era stata censurata l’acquisizione e l’utilizzo da parte del primo giudice dell’elaborato peritale reso in sede civile all’esito della procedura di istruzione preventiva.

Il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di appello romana interponeva ricorso per cassazione la parte civile, lamentando erronea applicazione della legge processuale, censurando  sia la dichiarata inutilizzabilità dell’ATP  eseguito nel giudizio civile, sia la ritenuta assenza di nesso di causalità tra le attività medico-chirurgiche addebitate ai giudicabili e l’evento lesivo prodotto.

Il Supremo Collegio, ritenute fondate entrambe le censure promosse con il ricorso ed accertata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione,  ha  annullato la sentenza impugnata rinviando per nuovo esame, ai soli effetti civili,  alla Corte di Appello Civile di Roma, competente per grado.

Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento, di maggiore interesse per gli operatori di diritto che si occupano del diritto penale dei professionisti sanitari.

(i) L’utilizzabilità dell’accertamento tecnico preventivo in sede penale.

“Quanto al primo motivo, non é esatto qualificare l’ATP come radicalmente inidoneo a fini probatori sulla sola scorta della sua natura accessoria e preventiva rispetto al successivo giudizio di merito civile, al punto da doversi qualificare come inutilizzabile nell’ambito del giudizio penale.

Ed infatti, sebbene sia vero che la funzione dell’accertamento tecnico preventivo sia affatto peculiare ed interinale e non comporti l’instaurazione di un contraddittorio rapportabile a quello che caratterizza gli accertamenti peritali od anche le attività dei consulenti di parte, nondimeno la giurisprudenza civile ha chiarito che il giudice del merito, in virtù del principio del libero convincimento, ha facoltà di apprezzare in piena autonomia tutti gli elementi presi in esame dal consulente tecnico e le considerazioni da lui espresse che ritenga utili ai fini della decisione, onde ben può trarre materia di convincimento anche dalla consulenza espletata in sede di accertamento preventivo (cfr. ex multis Sez. 3 Civ., Sentenza n. 5658 del 09/03/2010, Rv. 611743); di tal che l’acquisizione della relazione di accertamento tecnico preventivo tra le fonti che il giudice di merito utilizza per l’accertamento dei fatti di causa non deve necessariamente avvenire a mezzo di un provvedimento formale, bastando anche la sua materiale acquisizione, ed essendo sufficiente che quel giudice l’abbia poi esaminata traendone elemento per il proprio convincimento e che la parte che lamenti la irritualità dell’acquisizione e l’impossibilità di esame delle risultanze dell’indagine sia stata posta in grado di contraddire in merito ad esse (Sez. 2, Sentenza n. 6591 del 05/04/2016, Rv. 639479).

Nel caso di specie, ossia nell’ambito del presente giudizio, occorre altresì considerare i principi che governano l’utilizzabilità della prova e l’atteggiarsi del principio del libero convincimento del giudice in sede penale. Sotto il primo profilo, la sanzione dell’inutilizzabilità é comminata dal codice di rito in base all’art. 191 cod. proc. pen., in forza del quale non possono essere utilizzate le prove acquisite in violazione di divieti stabiliti dalla legge: violazione che, nella specie, non é dato configurare.”

Sotto il secondo profilo, in relazione alla riconosciuta natura rappresentativa di situazioni o cose attribuita anche all’accertamento tecnico preventivo, può ben riconoscersi allo stesso, non dissimilmente dalla consulenza tecnica acquisita nell’ambito di giudizio civile non ancora definito con sentenza irrevocabile, la natura di documento, che come tale può essere acquisito e valutato dal giudice e, a norma dell’articolo 234 cod. proc. pen., può valere come prova nel processo, per il principio del libero convincimento e per l’assenza di prove legali.

E’ in tal senso pertinente il richiamo della parte civile ricorrente alla giurisprudenza in tema di acquisibilità della consulenza tecnica d’ufficio resa nel giudizio civile non ancora definito con sentenza passata in giudicato (vds. tra le tante Sez. 3, Sentenza n. 5863 del 23/11/2011 – dep. 2012, G. e altro, Rv. 252127; Sez. 3, Sentenza n. 15431 del 07/11/2017 – dep. 2018, Busetti, Rv. 272551).”

(ii) Presupposti e valenza della perizia in sede penale.

E’ ben vero che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (da ultimo vds. Sez. U, Sentenza n. 39746 del 23/03/2017, A. e altro, Rv. 270936).

Sotto tale profilo non può quindi accedersi alla tesi del ricorrente, quanto meno in termini di principio, nel senso che la Corte di merito non era tenuta a “sanare” le carenze argomentative che essa ha ravvisato nella sentenza del Tribunale mediante la designazione di un perito. Nondimeno, va qui richiamato il principio in base al quale, in tema di prova scientifica, la perizia rappresenta un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l’accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l’utilizzo di saperi extragiuridici e, in particolare, qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo, di talché al giudice é chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, della quale é chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell’apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un’altra (da ultimo vds. Sez. 4, Sentenza n. 49884 del 16/10/2018, P., Rv. 274045).”

 (iii) Il vizio motivazionale della sentenza impugnata:

“Nel caso di specie, anche a prescindere dalla mancata assunzione di una perizia da parte dei giudici dell’appello, vi é un’insufficiente illustrazione delle ragioni poste a base del convincimento difforme cui essi sono pervenuti rispetto alla sentenza di condanna in primo grado. Invero, poiché dalla stessa motivazione della sentenza impugnata emerge che in primo grado erano state assunte le opinioni di più consulenti di parte (del P.M., della parte civile e degli imputati), la Corte distrettuale non poteva limitarsi a censurare il fatto che il Tribunale avesse aderito – più o meno acriticamente – alle valutazioni del prof. [omissis], cui fu affidato l’ATP in sede di istruzione preventiva; ma doveva esaminare le diverse valutazioni dei soggetti esperti e confrontarsi con esse, onde poter illustrare compiutamente le ragioni della propria adesione o del proprio dissenso.

Né é sufficiente richiamare, e indicare acriticamente come decisivo, il fatto che secondo il Tribunale non vi sarebbe prova univoca che la lacerazione duodenale a carico del paziente sarebbe stata provocata da un’errata manovra, da parte del dott. [omissis], dello strumento endoscopico in occasione della CPRE. Non sembra assistita da univocità logica la tesi, sostenuta dalla Corte capitolina, secondo la quale tale carenza probatoria travolgerebbe ex se la rilevanza causale dell’addebito, che correttamente é stato mosso sia alla dr.ssa [omissis]nell’indirizzare erroneamente il medico endoscopista verso l’esecuzione della CPRE (senza fra l’altro metterlo sull’avviso della presenza di un diverticolo, che all’evidenza comportava ulteriori rischi nell’esecuzione del predetto accertamento invasivo), sia al dott. [omissis] nell’eseguire tale intervento in modo acritico.

Soprattutto, deve osservarsi che i passaggi della sentenza di primo grado richiamati dalla Corte distrettuale, in base ai quali non vi sarebbe prova sufficiente dell’addebito di colpa relativo all’errata esecuzione delle manovre operatorie in fase di CPRE, non tengono conto (né danno conto) delle ragioni in base alle quali il Tribunale, pur esprimendo la consapevolezza di tale insufficiente tenuta probatoria, era nondimeno pervenuto all’affermazione di penale responsabilità degli imputati.

Ciò a fronte degli elementi probatori, pure rappresentati dalla ricorrente parte civile, che avrebbero potuto e dovuto indurre una più articolata valutazione sul punto, e con i quali invece la sentenza impugnata non si confronta in alcun modo: per tutti l’abnorme aumento del valore dei globuli bianchi successivamente all’esecuzione, subito interrotta, della CPRE.

In tale quadro, come emerge dalle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata non si é adeguatamente confrontata con quella difforme di primo grado, omettendo sostanzialmente di confutarne il percorso motivazionale.

(iv) La motivazione rafforzata necessaria a sorreggere la riforma integrale della sentenza impugnata.

“Orbene, secondo il prevalente e qui condiviso indirizzo seguito dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice di appello che, riformando integralmente la sentenza di condanna di primo grado, assolve l’imputato per contraddittorietà del quadro probatorio, ha un dovere di motivazione “rafforzata”, consistente nell’obbligo di offrire un autonomo ragionamento che non si limiti ad una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova contrapposti, ma consideri anche il peso, inteso come capacità dimostrativa, degli stessi (cfr. fra le tante Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, Sentenza n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430; Sez. 3, Sentenza n. 6880 del 26/10/2016 – dep. 2017, D.L., Rv. 269523)”.

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Riferimenti normativi.

Art 191 cod. proc. pen.

  1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.
  2. L’inutilizzabilitàè rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

2-bis. Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura [613-bis, 613-ter c.p.] non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale.

Omicidio colposo: Art 589 cod. pen.

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

Se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

  1. soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
  2. soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.] Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.

 

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Quadro giurisprudenziale in tema di utilizzabilità in sede penale degli accertamenti peritali svolti in sede civile.

Cassazione penale sez. IV, 16/10/2018, n.49884:

In tema di prova scientifica, la perizia rappresenta un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l’accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l’utilizzo di saperi extragiuridici e, in particolare, qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo, di talché al giudice è chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, della quale è chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell’apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un’altra. (Fattispecie in tema di responsabilità sanitaria).

Cassazione civile sez. II, 05/04/2016, n.6591:

L’acquisizione della relazione di accertamento tecnico preventivo tra le fonti che il giudice di merito utilizza per l’accertamento dei fatti di causa non deve necessariamente avvenire a mezzo di un provvedimento formale, bastando anche la sua materiale acquisizione, ed essendo sufficiente che quel giudice l’abbia poi esaminata traendone elemento per il proprio convincimento e che la parte che lamenti la irritualità dell’acquisizione e l’impossibilità di esame delle risultanze dell’indagine sia stata posta in grado di contraddire in merito ad esse.

Cassazione penale sez. III, 23/11/2011, n.5863:

È legittima l’acquisizione, nel processo penale, della consulenza tecnica d’ufficio resa nel giudizio civile non ancora definito con sentenza passata in giudicato, dovendo la stessa considerarsi prova documentale in quanto formata fuori del procedimento penale e rappresentativa di situazioni e cose.

Cassazione civile sez. III, 09/03/2010, n.5658:

Il giudice del merito, in virtù del principio del libero convincimento, ha facoltà di apprezzare in piena autonomia tutti gli elementi presi in esame dal consulente tecnico e le considerazioni da lui espresse che ritenga utili ai fini della decisione, onde ben può trarre materia di convincimento anche dalla consulenza espletata in sede di accertamento preventivo, pur se il consulente abbia ecceduto i limiti del mandato conferito, una volta che la relazione di quest’ultimo sia stata ritualmente acquisita agli atti.

Cassazione penale sez. IV, 06/11/2008, n.45126:

In tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purchè la sentenza dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell’opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti.

Cassazione penale sez. un., 12/07/2005, n.33748:

In tema di valutazione della prova indiziaria, il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo.

by Claudio Ramelli @ Riproduzione Riservata