E’ legittimo il concorso materiale tra i reati di sottrazione fraudolenta dalle imposte ed autoriciclaggio.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza 7259.2020, depositata il 24 febbraio 2020, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale, il Collegio del diritto, decidendo in sede cautelare reale in ordine ai delitti di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, impiego di denaro, beni o altre utilità ed autoriciclaggio, affronta due interessanti questioni di diritto: la prima inerente alla struttura del reato tributario ed all’individuazione del momento consumativo della fattispecie quando vengono contesati plurimi atti giuridici finalizzati a rendere inefficace la procedura di riscossione da parte dell’Erario; la seconda attinente alla configurabilità del concorso tra sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e autoriciclaggio.
I reati in provvisoria contestazione e la fase cautelare reale.
Nel caso di specie, la locale Procura della Repubblica contestava agli indagati il compimento di atti fraudolenti su beni di società che avevano omesso di versare le imposte dovute;la costituzione di nuove società con intestazione fittizia delle quote societarie e delle cariche di amministratore ad altri soggetti, il reimpiego o trasferimento illecito dei beni e delle utilità delle medesime società.
Il Tribunale di Pistoia, decidendo in sede di riesame, confermava il decreto emesso dal GIP in sede che disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente dei beni e delle utilità nella disponibilità degli indagati.
Il ricorso in cassazione ed i principi di diritto.
La difesa di uno degli indagati proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, lamentando, per quel che qui maggiormente interessa, violazione di legge con riferimento alla configurabilità del fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 11 D.lgs. 74/2000, ritenuto non perseguibile in ragione della estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
I Giudici di legittimità, accolgono la censura e annullano con rinvio il provvedimento carente di motivazione sulla scorta della seguente argomentazione:
<Il Tribunale, richiamata giurisprudenza di legittimità, ha osservato che il reato de quo può essere consumato anche mediante “una pluralità di trasferimenti di beni, che non assumono di per sé rilevanza decisiva e risultano tutti finalizzati al raggiungimento del medesimo scopo, la cui consumazione si perfeziona con l’ultimo degli atti posti in essere […] con le conseguenze in materia di prescrizione del delitto”.
Nella vicenda in questione sarebbero state individuate, nella prospettazione accusatoria recepita dal G.I.P., “condotte plurime e dilatate nel tempo che si estrinsecavano nell’abbandono dell’azienda allorché sopraggiungeva lo stato di crisi, anche in virtù delle ingenti somme di imposte non versate all’erario, e nella creazione di nuove società all’interno delle quali venivano trasferiti i beni fraudolentemente sottratti alle società decotte”.
Non è in discussione, quindi, la natura del reato di pericolo concreto del delitto in questione, per la consumazione del quale è sufficiente la semplice idoneità della condotta, da apprezzare con giudizio ex ante, a rendere inefficace, anche solo parzialmente, la procedura di riscossione, non essendo necessaria l’effettiva verificazione di tale evento e dovendosi anche prescindere dalla fondatezza della pretesa erariale; nel contempo, si è in presenza di un reato eventualmente permanente, poiché esso si può anche articolare attraverso il compimento di una pluralità di trasferimenti, costituenti una operazione unitaria finalizzata a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, nel qual caso esso si perfeziona nel momento in cui viene realizzato l’ultimo atto dispositivo (Sez. 3, n. 15133 del 17/11/2017, dep. 2018, Stassi, Rv. 272505; Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798; Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771; Sez. 3, n. 19524 del 04/04/2013, Antonini, Rv. 255900; Sez. 3, n. 37415 del 25/06/2012, Tonetto, Rv. 253359; Sez. 3, n. 40561 del 04/04/2012, Soldera, Rv. 253400; Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251076; Sez. 3, n. 23986 del 05/05/2011, Pascone, Rv. 250646).
I ricorrenti avevano dedotto che, anche alla luce delle contestazioni come formulate dall’accusa, i delitti loro ascritti (od almeno alcuni di essi) fossero estinti per prescrizione già prima dell’adozione della misura cautelare, in assenza di atti simulati dopo il periodo coperto dalla causa estintiva ovvero in presenza di distinti atti elusivi, non riconducibili ad un’operazione unitaria.
La motivazione del Tribunale sul punto risulta assente o comunque apparente, non rispondendo ai requisiti minimi di completezza e logicità del discorso argomentativo e mancando di specifici momenti esplicativi in relazione alle pertinenti doglianze proposte>.
*******
Per quanto concerne il denunciato vizio di legge e di motivazione impingente il concorso materiale tra il delitto di autoriciclaggio ed il predetto reato tributario che si assume violare del divieto di bis in idem sostanziale, la Corte non ha ritenuto fondate le censure sollevate dalla difesa di alcuni indagati per le ragioni che seguono, estratte dal tessuto motivazionale della sentenza in commento:
Attraverso l’incriminazione della condotta prevista dall’art. 11 del decreto legislativo n. 74 del 2000, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario, beni che costituivano la intangibile garanzia patrimoniale generica dei creditori, prevista dall’art. 2740 cod. civ., secondo il quale «il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri».
Ne consegue che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, «il profitto di detto reato deve essere individuato non già nell’importo delle imposte non pagate, essendo quest’ultimo, semmai, il profitto delle ben diverse condotte di evasione, eventualmente commesse in precedenza ed integranti illecito penale in presenza dei requisiti di legge, bensì nel valore del bene o dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisca per il recupero delle somme evase ed oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma» (così Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015, Rv. 262754, Chiarolanza; in senso conforme v. Sez. 3, n. 14606 del 17/11/20167, dep. 2018, Tancredi, Rv. 272818, in motivazione; Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Tomasi Canovo, Rv. 265843; Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789; Sez. 3, n.40534 del 06/05/2015, Trust, Rv. 265036; Sez. 3, n. 33184 del 12/06/2013, Abrusci, Rv. 256850; Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996, in motivazione; da ultimo v. Sez. 3, n. 31335 del 13/06/2019, Di Nicola, n.m.).
Erroneamente, dunque, nel ricorso di [omissis]si è dato rilievo alla lecita detenzione (originaria) dei beni fraudolentemente sottratti per escludere in radice la possibilità di un concorso con il reato di autoriciclaggio, che ben può sussistere – diversamente da quanto sostenuto dagli altri ricorrenti – anche se dalla commissione del delitto (presupposto) ex art. 11 del decreto legislativo n. 74 del 2000 non si genera altra ricchezza, intesa come accrescimento del patrimonio. Infatti, la locuzione «altre utilità», già presente nel reato di riciclaggio e riproposta nella nuova fattispecie di autoriciclaggio, «è talmente ampia che in esse devono farsi rientrare tutte quelle utilità che abbiano, per l’agente che abbia commesso il reato presupposto, un valore economicamente apprezzabile» […]. In esse devono farsi rientrare non solo quegli elementi che incrementano il patrimonio dell’agente ma anche quelle attività fraudolente a seguito delle quali l’agente impedisce che il proprio patrimonio s’impoverisca»
Avuto riguardo al delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alla luce del principio in precedenza richiamato, inerente alla individuazione del profitto del reato, si può affermare che l’utilità derivante dalla commissione dello stesso è data dal risparmio di spesa, costituito non dalla – imposta evasa bensì -dal valore dei beni sottratti alla garanzia – patrimoniale generica.
Riconosciuta l’astratta configurabilità di un concorso fra il reato ex art. 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 e quello previsto dall’art. 648 ter.1 cod. pen., va precisato in primo luogo che evidentemente deve trattarsi di un concorso materiale e non formale fra i due reati, in quanto l’attività di impiego, sostituzione o trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative presuppone la pregressa commissione del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte>.
Le norme incriminatrici:
Art. 11 – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
- E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi e’ superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
- E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per se’ o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.”.
Art. 648 ter 1 cod. pen. – Autoriciclaggio
- Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
- Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
- Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.
- Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
- La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
- La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
- Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. III, 11/05/2016, n.35853
Il delitto previsto dall’art. 11, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è reato di pericolo, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare – secondo un giudizio “ex ante” – l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria; ne consegue che per individuarne il momento di consumazione può farsi riferimento al primo momento di realizzazione della condotta finalizzata ad eludere le pretese del fisco. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta l’individuazione della competenza per territorio effettuata con riguardo alla stipula dell’atto di vendita simulato, avvenuta in luogo diverso da quello ove il contratto medesimo era stato poi trascritto ai fini della opponibilità ai terzi).
Cassazione penale sez. III, 25/06/2012, n.37415
Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è reato di pericolo eventualmente permanente, la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui vengono posti in essere atti idonei a mettere in pericolo l’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Cassazione penale sez. III, 05/05/2011, n.23986
Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte si consuma nel momento e nel luogo in cui venga posto in essere qualsiasi atto che possa mettere in pericolo l’adempimento di un’obbligazione tributaria. (Fattispecie di costituzione di un fondo patrimoniale: la Corte ha affermato in motivazione l’irrilevanza, ai fini della consumazione, della mancanza di annotazione della costituzione del fondo ai margini dell’atto di matrimonio ex art. 162 c.c.).
Cassazione penale sez. II, 07/06/2018, n.30401
Il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall’impiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. In particolare, ove il reato presupposto sia quello di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 8 d.lg. n. 74/2000 è del tutto evidente che la somma costituente il profitto e/o prezzo ricavato dal reato presupposto – già sottoposta a sequestro finalizzato alla confisca ex art. 12-bis, d.lg. n. 74/2000 – non può nuovamente essere sottoposta a sequestro, seppure per altro titolo, proprio perché non può essere considerata come il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio. Ne consegue che oggetto di un eventuale sequestro finalizzato alla confisca di cui all’art. 648 ter c.p., può essere solo ed esclusivamente il profitto ricavato dal reinvestimento di quella parte del denaro proveniente dall’illecito tributario, quale reato presupposto.
Cassazione penale sez. III, 19/01/2016, n.4097
La confisca per equivalente, disposta in relazione al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74 attuato mediante atti fraudolenti o simulati compiuti sui beni di una società dichiarata fallita, non può riguardare somme superiori all’effettivo profitto conseguito, quantificato decurtando dal valore del patrimonio sottratto le somme recuperate dal fisco a seguito delle cessioni di ramo d’azienda e dei versamenti effettuati dall’imputato.
Cassazione penale sez. III, 02/07/2015, n.39187
In tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA