Bancarotta fraudolenta: l’operazione di fusione per unione tra società costituisce condotta distrattiva solo se viene dimostrato con giudizio ex ante l’effetto depressivo sul patrimonio della società fallita.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 9398.2020, depositata il 10 marzo 2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in sede cautelare personale in ordine alla incolpazione provvisoria per  plurimi fatti di bancarotta fraudolenta, enuncia un principio di diritto utile a qualificare l’operazione di fusione tra società come condotta distrattiva, precisando come il pregiudizio per il patrimonio della società fallita debba essere valutato con giudizio ex ante, con onere della Pubblica accusa di dimostrare la natura depressiva sul valore del patrimonio sociale con conseguente danno per il ceto creditorio.

Il reato in contestazione e la fase cautelare.

Nel caso di specie, all’indagato, nella qualità di amministratore e presidente del Consiglio di amministrazione della società dichiarata fallita, erano contestati plurimi fatti di bancarotta.

Il Tribunale di Roma rigettava, eccetto una condotta distrattiva, l’istanza di riesame avanzata dall’indagato avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale aveva disposto nei confronti del prevenuto la misura custodiale degli arresti domiciliari.

Il ricorso in cassazione ed il principio di diritto.

Avverso la predetta ordinanza, la difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione, deducendo plurimi motivi di impugnazione, tra i quali, per quanto di interesse per il presente commento, riveste maggiore rilevo quello relativo al denunciato deficit motivazionale del provvedimento impugnato  nella parte in cui aveva apoditticamente connotato di natura distrattiva l’operazione di fusione per unione di due società con creazione di una nuova società, poi fallita.

I Giudici di legittimità, nel ritenere fondato il motivo di impugnazione, ripercorrono l’elaborazione della giurisprudenza di legittimità – segnatamente quella delle sezioni civili – sugli effetti della fusione non adeguatamente presi in esame dal Tribunale della Libertà, annullando, per l’effetto, l’ordinanza gravata.

Sulla questione di diritto si riportano di seguito i più significativi  passaggi estratti dal compendio motivazionale:

l’art. 2504- bis cod. civ., nel testo modificato dal d.lgs. n. 6 del 2003, nel prevedere la prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in capo al soggetto unificato, quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti, risolve la fusione in una vicenda non estintiva, ma evolutivo-modificativa, che comporta un mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente, ma non la creazione di un nuovo ente distinto dal vecchio (N. 24498 del 2014 Rv. 633265).

Siffatta ricostruzione unitaria si pone in armonia con i principi affermati, nella massima espressione nomofilattica, dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U., n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804, cit.) secondo cui, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, i fatti pregiudizievoli delle ragioni dei creditori assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati posti in essere, quando ne abbiano messo in pericolo la soddisfazione. Muovendo da tali premesse, ne discende come coessenziale alla perseguibilità dei reati commessi dall’imprenditore (ovvero, negli organismi collettivi, dai suoi amministratori e dagli altri soggetti indicati nell’art. 223 I. fall.) la dichiarazione di fallimento di una delle società in cui si è articolata la vicenda imprenditoriale, allorché questa sia stata caratterizzata da un fenomeno di fusione. E se ciò è indiscutibile quando il fallimento riguarda la società incorporata, alla stessa conclusione occorre pervenire ove il fallimento sia pronunciato nei confronti dell’incorporante, giacché il fenomeno estintivo, che riguarda l’incorporata, concerne l’ente in sé e non le situazioni giuridiche – attive e passive – che ad essa fanno capo, né quelle maturate in capo al suo amministratore. Tali situazioni, infatti, sono state influenzate, e spesso determinate, da operazioni rischiose – quale anche l’assunzione di un rilevante debito fiscale – effettuate in danno dell’incorporata, sicché il fallimento dell’incorporante — attualizzando l’offesa all’interesse tutelato dalle norme penali fallimentari — realizza la condizione cui è, per legge, subordinata la punibilità del trasgressore. A tale dato formale si aggiunge, peraltro, l’esigenza di assicurare la punibilità di condotte che realizzano il paradigma normativo dei reati in questione e di impedire — attraverso operazioni di trasformazione societaria — facili elusioni della normativa fallimentare, particolarmente agevole nei gruppi di società e in quelli caratterizzati da rapporti interpersonali tra i suoi membri.

Deve essere pertanto affermato il principio di diritto per cui, in tema di reati fallimentari, anche l’operazione di unione per fusione di società in cui il fallimento riguarda solo una delle società trasformate, può costituire condotta distrattiva, in quanto i rapporti giuridici facenti capo a ciascuna società non si estinguono, ma si trasferiscono alla società derivante dalla fusione, quando sia dimostrata, alla stregua di una valutazione ex ante ed in concreto, la pericolosità della stessa operazione di fusione per la società poi fallita.

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. un., 31/03/2016, n.22474

Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività. (In motivazione, la Corte ha precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza).

Cassazione penale sez. V, 04/11/2016, n.6904

In tema di reati fallimentari, nell’ipotesi di fusione di società per incorporazione, l’amministratore della società incorporante risponde dei fatti di bancarotta della società incorporata, in quanto detta fusione è frutto della scelta degli organi societari delle società partecipanti, tenuti a valutare il complesso dell’operazione anche sotto l’aspetto del rischio derivante dalle condizioni finanziarie negative della società incorporata e la possibilità della società incorporante di farvi fronte per evitare la verificazione dello stato di dissesto.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA