La rassegna della giurisprudenza di legittimità sui reati contro la pubblica amministrazione e la pubblica a fede commessi dall’esercente la professione sanitaria.

Si segnala ai lettori del blog la rassegna giurisprudenziale aggiornata al mese di febbraio 2020 nella quale sono riportate le più significate decisioni della Corte di Cassazione relative ai reati di falso (materiale ed ideologico in atto pubblico) ed a quelli contro la Pubblica Amministrazione che secondo l’esperienza maturata dallo Studio Ramelli, possono interessare con maggiore frequenza l’esercente la professione sanitaria nell’esercizio delle sue funzioni ed attività.

I reati di falsità materiale ed ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.

 

Le norme incriminatrici.

Art. 476 cod. pen.  – Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

Il pubblico ufficiale [357], che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni [4911].

Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso [26992700 c.c.], la reclusione è da tre a dieci anni [482490492493].

 

Art. 479 cod. pen. – Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

Il pubblico ufficiale [357], che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476 [4874931127 c. nav.].

 

La giurisprudenza di legittimità:

 

Cassazione penale sez. V, 45146/2019

È responsabile del reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico il medico che rediga certificato con false attestazioni.

Integra il delitto do falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente, la condotta del medico che rediga un certificato con false attestazioni, in quanto ciò che caratterizza l’atto pubblico fidefacente, anche in virtù del disposto di cui all’art. 2699 cod. civ., è – oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione – la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova e cioè precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice; ne deriva che la diagnosi riportata nel certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione – caduta nella sfera conoscitiva del p.u. – che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica.

Cassazione penale sez. V, 13/11/2015, n.12400

 

Integra il reato di falso materiale in atto pubblico la condotta di retrodatazione dei certificati di idoneità dei lavoratori da parte del medico del lavoro.

 

In tema di concorso formale tra falso ideologico e falso materiale, nel caso in cui la falsità concerne lo stesso documento, non può ricorrere il reato di falso ideologico, essendo irrilevante se un atto materialmente falso sia veridico o meno, e quindi idoneo ad ingannare i terzi. Pertanto la condotta del medico del lavoro che abbia retrodatato di un giorno i certificati di idoneità di alcuni lavoratori, integra soltanto il reato di falso materiale in atto pubblico di cui all’art. 476 c.p. e non anche la falsità ideologica, punita dall’art. 479 c.p. (nello specifico i Giudici di merito avevano erroneamente ravvisato la falsità ideologica nella circostanza che le attestazioni di idoneità avevano giudicato alcuni operai idonei alla mansione lavorativa nella data indicata sui certificati, laddove, in realtà, le relative visite mediche erano state effettuate nel pomeriggio del giorno successivo).

Cassazione penale sez. V, 15/09/2015, n.44874

 

È responsabile di falso materiale in atto pubblico il medico che alteri il certificato mediante annotazione, ancorchè vera, effettuata in un contesto cronologico successivo.

La diagnosi riportata nel referto medico ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale, che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica; integra, pertanto, il reato di falso materiale in atto pubblico di cui all’art. 476 c.p. la condotta del medico che abbia alterato un certificato medico mediante l’aggiunta di una annotazione, ancorché vera, in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale, a nulla rilevando che il soggetto agisca per ristabilire la verità effettuale, in quanto la certificazione medica del Pronto Soccorso acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata.

Cassazione penale sez. V, 10/03/2011, n.16368

 

Risponde di falsità ideologica in atto pubblico il medico convenzionato con il S.s.n. che attesti il falso.

 

Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.), la condotta di colui che, in qualità di medico convenzionato con il S.s.n., attesti falsamente la sussistenza di turbe comportamentali e psichiche tali da richiedere un trattamento sanitario obbligatorio, trattandosi di pubblico ufficiale che concorre a formare la volontà della p.a. in materia sanitaria, esercitando per conto di quest’ultima poteri certificativi.

 

Cassazione penale sez. VI, 01/12/2010, n.12401

 

Risponde di falsità ideologica il medico ospedaliero che rediga un referto con false attestazioni diagnostiche in quanto la diagnosi riportata nel referto ha natura di fede privilegiata.

 

Integra il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefaciente, la condotta del medico ospedaliero che rediga un referto con false attestazioni diagnostiche, in quanto la diagnosi riportata nel referto ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale, che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica.

 

 

Cassazione penale sez. V, 26/09/2008, n.41394

 

Integra reato di falsità ideologica in atti pubblici la condotta di falsa attestazione in cartella clinica.

 

La diagnosi d’ingresso che riporta falsamente patologia diversa (ascesso mammario) per consentire che il costo dell’intervento chirurgico (operazione di plastica al seno) venga sostenuto dal S.s.n., concorre alla redazione di documenti falsi. Pertanto, la falsa attestazione in cartella clinica delle motivazioni alla base del ricovero determina la condanna del medico chirurgo per il delitto di falsità ideologica in atti pubblici, di cui all’art. 479 c.p.

 

 

Cassazione penale sez. V, 09/03/2005, n.12827

 

Responsabilità ex art. 479 c.p: il medico convenzionato è un pubblico ufficiale ed i relativi prospetti riepilogativi hanno natura di atti pubblici.

 

Integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.) la falsa attestazione effettuata dal responsabile di un laboratorio convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, sui prospetti riepilogativi delle analisi eseguite, trasmessi mensilmente alla Unità sanitaria locale (ora ASL), in quanto il medico convenzionato – concorrendo a formare la volontà della p.a. in materia di assistenza sanitaria ed esercitando in sua vece poteri autoritativi e certificativi – è un pubblico ufficiale ed i predetti prospetti riepilogativi – essendo destinati ad attestare il regolare espletamento di accertamenti sanitari e costituendo, nel contempo, titolo in forza del quale sorge, in favore del titolare della convenzione, il diritto al pagamento delle prestazioni documentate – hanno la natura di atti pubblici.

 

 

Esercizio abusivo della professione.

 

La norma incriminatrice.

 

Art. 348 c.p. – Esercizio abusivo di una professione

Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.

La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.

Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

 

La giurisprudenza di legittimità:

Cassazione penale sez. VI, 09/11/2017, n.2691

In tema di esercizio abusivo della professione, di cui all’art. 348 c.p., lo svolgimento dell’attività di odontoiatra, disciplinata dalla l. 24 luglio 1985, n. 409, in via ordinaria, è consentito solo a colui che, dopo il conseguimento della laurea in odontoiatria e protesi dentaria, abbia superato l’esame di Stato e sia iscritto al relativo albo, nonché, limitatamente al regime transitorio previsto dall’art. 20 della medesima legge, ai laureati in medicina e chirurgia, iscritti all’albo degli odontoiatri, qualora sussista una delle seguenti condizioni: a) immatricolazione al relativo corso di laurea prima del 28 gennaio 1980; b) immatricolazione negli anni compresi tra il 1980-81 ed il 1984-85 con superamento delle prove attitudinali previste per l’iscrizione all’Albo degli odontoiatri di cui al d.lg. 13 ottobre 1998, n. 386; c) conseguimento della specializzazione in campo odontoiatrico da parte di un soggetto immatricolato negli anni compresi tra il 1980-81 ed il 1984-85, esonerato dalle prove attitudinali. 

 

Cassazione penale sez. III, 24/05/2016, n.5235

Bene è ritenuta la configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione) nella condotta costituita dalla somministrazione ad un cavallo, senza prescrizione del medico veterinario, da parte di soggetto privo di abilitazione professionale, di un farmaco antidolorifico, nulla rilevando in contrario che trattisi di farmaco c.d. “da banco”, acquistabile in farmacia senza necessità di ricetta medica.

 

Cassazione penale sez. VI, 26/02/2015, n.20312

 

Il direttore di uno studio medico, che non accerti che un soggetto operante nella struttura da lui diretta sia in possesso del titolo abilitante, risponde di concorso nel reato previsto dall’art. 348, c.p., con la persona non titolata (oltre che di cooperazione, ex art. 113, c.p., negli eventuali fatti colposi da quest’ultima persona commessi, se derivanti dalla mancanza di professionalità del collaboratore e prevedibili secondo l'”id quod plerumque accidit”).

 

Cassazione penale sez. V, 10/02/2015, n.19554

È responsabile del reato di cui agli art. 348, 582 e 495, c.p. chi esercita abusivamente la professione di medico chirurgo in mancanza della relativa abilitazione professionale, a nulla rilevando il successo di interventi medici realizzati.

Cassazione penale sez. VI, 11/12/2014, n.916

È legittima la condanna per concorso in esercizio abusivo della professione ai sensi dell’art. 348 c.p. comminata nei confronti del medico titolare di uno studio odontoiatrico all’interno del quale sia stata sorpresa l’assistente dello stesso, priva di titoli abilitativi, nell’atto di porre in essere nella bocca dei pazienti atti di natura odontoiatrica (nello specifico l’assistente indossava camice e mascherina e si accingeva ad effettuare la pulizia dei denti di un paziente).

 

Reati contro la Pubblica Amministrazione.

 

Abuso d’ufficio (Art. 323 c.p.)

La norma incriminatrice

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

 

La giurisprudenza di legittimità:

 

Cassazione penale sez. VI, 27/01/2016, n.6275

 

Risponde del reato di abuso d’ufficio il direttore sanitario che ometta di assumere iniziative disciplinari.

Integra il reato di abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p. la condotta del Direttore sanitario nonché presidente della commissione Ufficio Procedimenti Disciplinari di un ente ospedaliero che, avendo ricevuto una specifica relazione scritta, abbia omesso l’assunzione di qualunque iniziativa disciplinare nei confronti di un medico che non aveva attestato nelle schede operatorie da lui redatte l’attiva partecipazione a due interventi chirurgici di un terzo medico non autorizzato, limitandosi ad informare il direttore del reparto in cui prestava servizio detto medico.

 

Cassazione penale sez. II, 27/10/2015, n.46096

Abuso di ufficio ed inosservanza dell’art. 97 Cost.

 

In tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 Cost., nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni. (Nella specie, la S.C. ha reputato immune da censure la decisione impugnata che aveva ravvisato, nel comportamento tenuto dai due direttori di unità operativa ospedaliera succedutisi nel tempo, una condotta penalmente rilevante, consistita nel progressivo svuotamento del carico assistenziale del medico referente dell’esecuzione di prestazioni specialistiche).

Cassazione penale sez. VI, 24/09/2012, n.40824

 

Risponde di abuso d’ufficio il medico che fissi la visita post-operatoria presso lo studio privato anziché presso il presidio ospedaliero.

Configura il reato di abuso di ufficio la condotta del medico ospedaliero che, contravvenendo all’obbligo di astensione, all’atto delle dimissioni di un paziente sottoposto ad intervento chirurgico lo inviti a recarsi presso il proprio studio professionale per la visita di controllo post-operatoria invece di indirizzarlo presso il medesimo presidio ospedaliero. (Nella specie, la S.C. ha precisato che tale visita di controllo rientra nel “rapporto terapeutico” basato sulla prestazione medica, anche successiva all’intervento, e sulla controprestazione del pagamento del ticket).

Cassazione penale sez. VI, 14/06/2012, n.41215

 

Risponde di abuso d’ufficio il primario che non consenta ad alcuni collaboratori di prestare attività chirurgica.

Sussiste il reato di abuso d’ufficio, con violazione di norme di legge, a carico del primario medico che ponga in essere comportamenti di vessazione ed emarginazione dei medici del reparto che non assecondino le proprie scelte (nello specifico, all’imputato era stato contestato di avere abusivamente emarginato un medico in servizio presso il reparto, impedendogli di prestare l’attività chirurgica, e di avere, sempre abusivamente, spossessato delle funzioni e competenze proprie il dirigente sostituto operante nella stessa struttura sanitaria). Ciò in quanto l’art. 13, comma 3, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che impone al pubblico dipendente un particolare dovere di collaborazione con tutti coloro che operano nella struttura amministrativa in cui egli è inserito, si applica sia in ambito di personale pubblico non contrattualizzato, sia in ambito di dirigenza medica, derivando, in particolare, che il primario di un ospedale è tenuto, quale pubblico dipendente, a prestare la sua opera in conformità delle leggi e in modo da assicurare sempre l’interesse della p.a., ispirandosi così, tra l’altro, nei rapporti con i colleghi, proprio ai sensi dell’art. 13 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, al principio di una assidua e solerte collaborazione.

 

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Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione. (Art. 328 c.p.) 

 

La norma incriminatrice.

Il pubblico ufficiale [357] o l’incaricato di un pubblico servizio [358], che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio [3663885] che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.

La Giurisprudenza di legittimità.

Cassazione penale sez. VI, 19/04/2018, n.24952

 

Non risponde di rifiuto di atti d’ufficio il medico che posticipi un intervento chirurgico differibile.

Non integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del medico che, pur dopo averlo già iniziato, interrompe e posticipa un intervento chirurgico se questo non è indifferibile e la decisione si fonda su esigenze di sicurezza per la salute del paziente.

Cassazione penale sez. VI, 13/04/2018, n.24162

 

Risponde di rifiuto di atti d’ufficio il medico che non accetti un paziente giunto in codice rosso, anche in caso di interruzione del servizio di radiodiagnostica.

Deve essere confermata la responsabilità per rifiuto di atti d’ufficio per il medico in servizio presso il pronto soccorso che indebitamente si era rifiutato di accettare un paziente giunto in codice rosso con patologia cardiologica, eccependo una interruzione del servizio di radiodiagnostica, atteso che tale rifiuto risultava ingiustificato sia in relazione al previsto rispristino del servizio di radiologia, che sarebbe avvenuto pochi minuti dopo l’arrivo della paziente, , sia pure in relazione alla essenzialità di detto servizio, rispetto ad una serie di accertamenti che potevano prescindere da esso.

Cassazione penale sez. VI, 12/07/2017, n.43123

 

È responsabile ex art. 328 c.p. il sanitario in servizio di guardia medica che non si rechi presso il domicilio del paziente.

Integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di recarsi al domicilio di un paziente malato terminale per la prescrizione di un antidolorifico per via endovena e si limiti a formulare per via telefonica le sue valutazioni tecniche e a consigliare la somministrazione di un altro farmaco di cui il paziente già dispone, trattandosi di un intervento improcrastinabile che, in assenza di altre esigenze del servizio idonee a determinare un conflitto di doveri, deve essere attuato con urgenza, valutando specificamente le peculiari condizioni del paziente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto, in virtù delle peculiari condizioni in cui versava il paziente, che il medico sarebbe dovuto intervenire con urgenza per evitare che si consumassero le ragioni della sua necessità.).

 

Cassazione penale sez. VI, 12/07/2017, n.43123

 

Risponde di rifiuto di atti d’ufficio il medico di guardia che si limiti a consigli telefonici in caso di intervento domiciliare urgente.

Integra il reato di omissione di atti d’ufficio il medico di guardia che si limita a consigli telefonici quando l’intervento domiciliare richiesto è non solo urgente ma anche improcrastinabile (nella specie si trattava di intervenire per alleviare i forti dolori di una paziente alla quale restavano poche ore di vita e in una condizione in cui l’intervento doveva essere attuato valutando specificamente le peculiari condizioni in cui la paziente si trovava, anche a causa di precedenti trattamenti praticati per alleviarle i dolori).

 

Cassazione penale sez. VI, 29/05/2017, n.35233

 

Risponde del reato ex art. 328 c.p. il medico che non prescriva alla paziente i farmaci necessari.

Il reato di rifiuto di atti d’ufficio è un reato di pericolo; la violazione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice ricorre tutte le volte in cui viene negato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze protette e considerate dall’ordinamento, a prescindere dall’esito concreto dell’omissione (confermata la condanna per l’imputato che, in qualità di medico di base, aveva rifiutato di prescrivere dei farmaci di cui una donna aveva bisogno, tentando, fra l’altro, di spingerla fuori dallo studio).

Cassazione penale sez. VI, 30/03/2017, n.21631

 

Configurano il reato di rifiuto di atti di ufficio una richiesta o un ordine, ovvero un’urgenza sostanziale.

Il reato di rifiuto di atti d’ufficio di cui all’art. 328, comma 1, c.p. è un reato di pericolo che prescinde dal concreto esito dell’omissione e che, in ambito sanitario, si configura non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, essendo del tutto privo di fondamento, pertanto, l’assunto per cui la configurabilità del reato in parola ricorrerebbe solo con riguardo all’attività del medico di guardia che ometta di recarsi a visitare il paziente presso il proprio domicilio e non anche, a determinate condizioni, con riguardo al sanitario che presti tale attività presso una struttura ospedaliera in cui il paziente è assistito da personale infermieristico dedito a monitorarne le condizioni fisiche e i parametri vitali.

Cassazione penale sez. VI, 29/09/2016, n.40753

 

Costituisce rifiuto di atti d’ufficio il rifiuto da parte del medico di guardia del pronto soccorso di visitare il paziente.

 

Non costituisce legittimo esercizio di un potere discrezionale, ma integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 comma 1 c.p.) la condotta del medico di guardia del pronto soccorso che si rifiuti di visitare il paziente, adducendo la pretesa differibilità dell’intervento, testimoniata dall’attribuzione del codice di triage verde, anche laddove le condizioni di salute del medesimo non siano poi risultate gravi in concreto o non si siano aggravate in conseguenza dell’omissione. 

Cassazione penale sez. VI, 27/10/2015, n.47206

 

Risponde a titolo di rifiuto di atti d’ufficio il medico in servizio di reperibilità che ometta di recarsi in ospedale.

Il medico in servizio di reperibilità di cui sia stato richiesto l’intervento in ospedale da parte di medico già presente, per una situazione di urgenza sanitaria da quest’ultimo valutata sussistente, risponde del reato di rifiuto di atti d’ufficio, ove si rifiuti di recarsi in ospedale, sul presupposto che non sarebbe ravvisabile alcuna situazione di urgenza: ciò perché il sanitario in servizio di pronta reperibilità non ha alcuna possibilità di sindacare la necessità e l’urgenza della chiamata.

 

Cassazione penale sez. III, 17/02/2015, n.9809

 

Non è configurabile il reato di rifiuto di atti d’ufficio in assenza del nesso eziologico tra mancato intervento del  medico di guardia e decesso del paziente.

Non è configurabile il delitto di omissione di atti d’ufficio, di cui all’art. 328 c.p., a carico del medico di guardia medica non intervenuto al domicilio del paziente, poi deceduto, qualora non sussista alcun collegamento eziologico tra l’omissione contestata al medico di guardia e il decesso del paziente.

Cassazione penale sez. VI, 20/01/2015, n.10130

 

Risponde ex art. 328 c.p. il medico che durante il turno di guardia si limiti a prescrivere la terapia farmacologica anziché visitare il paziente.

Non risponde del delitto di rifiuto di atti d’ufficio il medico che, durante il turno di guardia medica, anziché recarsi di persona a visitare il paziente che denunci i sintomi di una malattia, ritenga sufficiente prescrivere una terapia farmacologica, allorquando non si accerti che la visita domiciliare fosse effettivamente obbligatoria in ragione del contesto della vicenda, e ciò in ragione dello spazio di discrezionalità scientifica comunque attribuita al sanitario.

 

Peculato (Art. 314 c.p.)

La norma incriminatrice.

Il pubblico ufficiale [357] o l’incaricato di un pubblico servizio [358], che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi [316-bis317-bis323-bis].

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita [316-bis317-bis323-bis].

 

La giurisprudenza di legittimità:

Cassazione penale sez. VI, 19/06/2018, n.40908

 

Risponde di peculato il medico operante in regime intra moenia che non giustifichi l’impiego delle somme ricevute.

Il medico che opera in regime di ‘intra moenia’ assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli. Gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di detta attività acquistano infatti natura pubblica, in virtù della convenzione tra la ASL e il medico dipendente. Integra pertanto il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, non dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.

Cassazione penale sez. II, 24/04/2018, n.25976

 

Responsabilità ex art. 314 c.p. del medico ospedaliero che percepisce compensi per visite intra moenia non autorizzate.

Commette il reato di peculato il medico ospedaliero che percepisce compensi dai pazienti per visite “intramoenia”, senza formale autorizzazione e senza versare alla struttura la quota prevista per legge, a nulla rilevando circa la configurabilità del delitto il fatto che l’azienda fosse a conoscenza di quanto accaduto. Lo ha ribadito la Cassazione confermando la condanna inflitta ad un medico. Nel caso di specie, si trattava di un cardiologo, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, che per due anni aveva svolto attività intramuraria senza aver richiesto la specifica autorizzazione e senza lasciare nelle casse del nosocomio la quota del 52% di quanto percepito dai pazienti.

Cassazione penale sez. VI, 27/09/2017, n.48603

 

Risponde di peculato d’uso il medico addetto al servizio del 118 che si appropri dell’autoambulanza per uso personale e momentaneo.

 

Integra la fattispecie di peculato d’uso la condotta del medico addetto al servizio del 118 che si appropria dell’autoambulanza di cui ha la disponibilità in ragione del servizio svolto, facendone un uso personale e momentaneo (nella specie, si è ritenuto sussistente per la pubblica amministrazione il danno patrimoniale relativo al consumo di carburante e all’usura del mezzo e il disservizio legato al reiterato utilizzo di un mezzo funzionale alla tempestiva assistenza ai pazienti in condizioni di emergenza).

 

Cassazione penale sez. VI, 16/03/2017, n.29782

 

Responsabilità ex art. 314 c.p. del medico operante in regime intra moenia che non versi quanto dovuto all’ospedale.

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria “allargata” (per tale intendendosi l’attività svolta presso il proprio studio privato), dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (Fattispecie in cui il medico era autorizzato alla riscossione diretta dell’onorario ed al rilascio di fattura su apposito bollettario consegnato dalla Asl, per poi riversare all’ente le somme percepite mensilmente nella misura del 50%).

 

 

Cassazione penale sez. VI, 13/10/2016, n.51371

 

Configurazione del delitto di peculato.      

Nel delitto di peculato l’appropriazione consiste in un comportamento uti dominus dell’agente nei confronti della cosa mediante il compimento di atti incompatibili con il titolo per cui possiede, in modo da realizzare la c.d. interversio possessionis e interrompere così la relazione funzionale tra il bene e il legittimo proprietario (fattispecie relativa all’utilizzo di locali e di apparecchiature ospedaliere per fini diversi da quelli istituzionali).

Cassazione penale sez. VI, 21/05/2015, n.35988

 

Commette peculato il medico che riscuota l’onorario ed ometta di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza.

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non in ragione di un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae, ovvero scaturito da una situazione contra legem, priva di relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che, pur essendo stata accertata l’illecita percezione di denaro e lo svolgimento dell’attività al di fuori delle regole prescritte per l’attività professionale intra moenia, non fosse stato chiarito se l’imputato avesse un titolo di legittimazione in base al quale, operando all’interno di un ospedale pubblico, aveva riscosso le somme di denaro dai pazienti).

Cassazione penale sez. VI, 13/03/2013, n.16581

 

Risponde di peculato il medico responsabile del SERT che distragga compresse di medicinale per la cessione a tossicodipendenti.

Integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del medico responsabile del SERT che abbia distratto numerose compresse di un medicinale a base di sostanze stupefacenti delle quali aveva la disponibilità per ragioni del suo ufficio per la successiva cessione senza alcun piano terapeutico e senza prescrizione a soggetti tossicodipendenti.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA