Infortuni sul lavoro: la Suprema Corte enuncia i principi che in sede civile escludono il concorso di colpa del lavoratore nell’incidente a lui occorso sul lavoro

Si segnala ai lettori del blog l’ordinanza 8988.2020, resa dalla VI Sezione civile della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un infortunio sul lavoro, si sofferma sul tema del concorso di colpa del lavoratore infortunato, tale da ridurre l’ammontare del risarcimento del danno, in base alla gravità della colpa, ai sensi dell’art. 1227 co. 1 c.c. ed enuncia il principio di diritto secondo il quale esso deve escludersi in tre ipotesi: (i) omessa adozione da parte del datore di lavoro delle necessarie misure di sicurezza; (ii) puntuale esecuzione da parte del lavoratore degli ordini datoriali;  (iii) omessa formazione ed informazione sui rischi lavorativi da parte del datore di lavoro.

L’incidente sul lavoro e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, l’incidente sul lavoro in cui è occorso l’operaio, impegnato nel pompare olio idraulico nel fusto metallico attraverso un compressore, anziché una pompa manuale, è stato determinato dallo scoppio del fusto metallico, il quale era stato modificato artigianalmente per essere adattato all’uso del compressore, con conseguente decesso del lavoratore.

Il Tribunale di Brescia accoglieva la domanda di risarcimento del danno tanatologico proposta dai familiari della vittima nei confronti della società datrice di lavoro, attribuendo al lavoratore deceduto un concorso di colpa pari al 50%.

La Corte di appello di Brescia, adita dagli attori, accoglieva parzialmente l’impugnazione proposta  e rideterminava il concorso di colpa del lavoratore della misura del 30%, sulla base della considerazione per cui l’esperienza dell’operaio avrebbe dovuto distoglierlo dall’adottare il comportamento imprudente consistente nel pompare olio con un compressore in un fusto artigianalmente modificato.

Il ricorso per  cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa delle parti attrici interponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.

La società datrice di lavoro resisteva con controricorso.

In particolare, i ricorrenti deducevano la violazione degli artt. 1218 e 2087 c.c., osservando che il concorso di colpa del lavoratore, in tema di infortuni sul lavoro, sussiste esclusivamente in caso di comportamento abnorme, imprevedibile ed esorbitante dalle relative mansioni.

I Giudici di legittimità, con ordinanza, nell’accogliere il ricorso e nel cassare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale, si esprimono in merito al tema del concorso di colpa del lavoratore, operao preliminarmente una distinzione tra rischio elettivo (creato dal prestatore d’opera, a prescindere dalle esigenze della lavorazione) e rischio lavorativo ed enunciano i principi utili ad individuare le ipotesi di esclusione del concorso colposo della vittima.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia in commento:

Il primo principio è che l’art. 1227, comma primo, c.c. (a norma del quale “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”) si applica anche alla materia degli infortuni sul lavoro: sia perché nessuna previsione normativa consente di derogarvi; sia perché la legge impone anche al lavoratore l’obbligo di osservare i doveri di diligenza a tutela della propria o dell’altrui incolumità: tanto stabiliscono sia l’art. 2104 c.c., sia l’art. 20 d. lgs. 9.4.2008 n. 81 (Sez. L -, Sentenza n. 30679 del 25/11/2019, Rv. 655882 – 01; Sez. L, Sentenza n. 9817 del 14/04/2008, Rv. 602900 – 01).

Il secondo principio è che, nella materia del rapporto di lavoro subordinato, l’applicazione dell’art. 1227 c.c. va coordinata con le speciali previsioni che attribuiscono al datore di lavoro il potere di direzione e controllo, ed il dovere di salvaguardare l’incolumità dei lavoratori. Dall’esistenza di quel potere e di quel dovere, questa Corte ha tratto il corollario che anche quando la condotta della vittima di un infortunio sul lavoro possa astrattamente qualificarsi come imprudente, deve nondimeno escludersi qualsiasi concorso di colpa a carico del danneggiato in tre ipotesi.

La prima ipotesi è quella in cui l’infortunio sia stato causato dalla puntuale esecuzione di ordini datoriali. In questo caso il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima che abbia eseguito un ordine pericoloso, perché l’eventuale imprudenza del lavoratore non è più “causa”, ma degrada ad “occasione” dell’infortunio. Del resto, se così non fosse, si finirebbe per attribuire al lavoratore l’onere di verificare la pericolosità delle direttive di servizio impartitegli dal datore di lavoro, assumendosene il rischio (Sez. I, – , Sentenza n. 30679 del 25/11/2019, in motivazione; Sez. L, Sentenza n. 7328 del 17/04/2004, Rv. 572139 – 01; Sez. L, Sentenza n. 5024 del 08/04/2002, Rv. 553587 – 01; Sez. L, Sentenza n. 6993 del 16/07/1998, Rv. 517282 – 01).

La seconda ipotesi in cui il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima, ex art. 1227 c.c., è quella in cui l’infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza (da ultimo, Sez. L , Ordinanza n. 12538 del 10/05/2019, Rv. 653761 – 01). Il datore di lavoro infatti ha il dovere di proteggere l’incolumità del lavoratore nonostante l’eventuale imprudenza o negligenza di quest’ultimo, con la conseguenza che la mancata adozione da parte datoriale delle prescritte misure di sicurezza costituisce in tal caso l’unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso (Sez. L -, Sentenza n. 24798 del 05/12/2016, Rv. 641980 – 01; Sez. L, Sentenza n. 1994 del 13/02/2012, Rv. 620913 – 01; Sez. L, Sentenza n. 4656 del 25/02/2011, Rv. 616154 – 01; Sez. L, Sentenza n. 19494 del 10/09/2009, Rv. 609782 – 01; Sez. I, Sentenza n. 5024 del 08/04/2002, Rv. 553588 – 01; Sez. L, Sentenza n. 6993 del 16/07/1998, Rv. 517282 – 01).

La terza ipotesi in cui il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima, ex art. 1227 c.c., è quella in cui l’infortunio sia avvenuto a causa di un deficit di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro. In tal caso, infatti, se è pur vero che concausa del danno fu l’imprudenza del lavoratore, non è men vero che causa dell’imprudenza fu la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di istruire adeguatamente i suoi dipendenti, e varrà dunque il principio per cui causa causae est causa causati, di cui all’art. 40 c.p. (Sez. 1-, Sentenza n. 30679 del 25/11/2019; Sez. L – , Sentenza n. 24629 del 02/10/2019, Rv. 655134 – 01).

La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, la quale nel riesaminare l’appello applicherà il seguente principio di diritto: “Nel caso di infortunio sul lavoro, deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell’art. 1227, comma primo, c. c., quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza; oppure abbia egli stesso impartito l’ordine, nell’esecuzione puntuale del quale si sia verificato l’infortunio; od ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l’eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell’infortunio, ed è perciò giuridicamente irrilevante”>.

Quadro giurisprudenziale di riferimento

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2019, n.30679

La condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia da considerare come munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell’evento dannoso.

Qualora risulti l’inosservanza, da parte del datore di lavoro, di specifici doveri informativi (o formativi) del lavoratore rispetto all’attività da svolgere, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, il comportamento del lavoratore da cui sia scaturito l’infortunio non vi sarebbe stato, non è possibile addossare al lavoratore l’ignoranza delle circostanze che dovevano essere oggetto di informativa (o di formazione), al fine di fondare una colpa idonea a concorrere con l’inadempimento datoriale e che sia tale da ridurre, ai sensi dell’art. 1227, c.c., la misura del risarcimento dovuto.

Cassazione civile sez. lav., 02/10/2019, n.24629

Le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono la finalità della massima tutela del lavoratore, sia rispetto a incidenti che sono causati da disattenzione del dipendente, sia rispetto a eventi che siano ascrivibili a colpa del lavoratore, sussistendo sempre la responsabilità del datore di lavoro rispetto a infortuni occorsi sul lavoro, a meno che il lavoratore abbia tenuto un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto alle regole aziendali, tale da aver creato condizioni di rischio estranee alle normali modalità di lavoro, fermo restando che, in ogni caso, il dovere di protezione del datore di lavoro deve atteggiarsi in maniera particolarmente intensa con riguardo ai lavoratori apprendisti, di giovane età e professionalmente inesperti, rispetto ai quali la protezione non può che essere maggiore.

Cassazione civile sez. III, 15/05/2018, n.11753

Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza o negligenza nell’esercizio delle mansioni affidategli.

Cassazione civile sez. I, 05/12/2017, n.29115

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono diretti a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti o vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore. La condotta di quest’ultimo può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, dell’inopinabilità e della esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute.

Cassazione civile sez. lav., 08/06/2017, n.14313

Ai fini della sussistenza della responsabilità ai sensi dell’articolo 2087 del Cc, è irrilevante l’assenza di doglianze o sollecitazioni mosse dal lavoratore, come pure è da escludersi radicalmente la configurabilità del concorso di colpa, ove il lavoratore abbia conformato la sua condotta ai canoni di cui all’articolo 2104 del Cc, coerentemente con il livello di responsabilità proprio delle funzioni e in ragione del soddisfacimento delle esigenze di servizio (nella specie, era stato accertato che il decesso del lavoratore fosse imputabile alla mole di lavoro svolta e alle concrete modalità di esecuzione).

 

Cassazione civile sez. lav., 05/12/2016, n.24798

Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza o negligenza; pertanto, la condotta imprudente del lavoratore attuativa di uno specifico ordine di servizio, integrando una modalità dell'”iter” produttivo del danno “imposta” dal regime di subordinazione, va addebitata al datore di lavoro, il quale, con l’ordine di eseguire un’incombenza lavorativa pericolosa, determina l’unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, escludendo il concorso di colpa del lavoratore, destinato a mansioni di sistemazione di tubi in cemento diverse da quelle sue proprie di autista, che, nell’adempiere a detto ordine, aveva violato il divieto della presenza di operai nel campo di azione di un escavatore, da cui era rimasto schiacciato).

Cassazione civile sez. lav., 13/02/2012, n.1994

Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza; pertanto, la condotta imprudente del lavoratore attuativa di uno specifico ordine di servizio, integrando una modalità dell’iter produttivo del danno « imposta » dal regime di subordinazione, va addebitata al datore di lavoro, il quale, con l’ordine di eseguire un’incombenza lavorativa pericolosa, determina l’unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso. (Nella specie, relativa ad infortunio per caduta, la S.C., in applicazione del principio, ha respinto il ricorso, avendo il giudice di merito correttamente addebitato al datore di lavoro l’imprudenza del lavoratore che, per raggiungere un motore elettrico, si era recato su una tettoia inclinata e ghiacciata, scavalcando il parapetto, in quanto comandato ad eseguire il lavoro malgrado la pericolosità del luogo e senza adozione di cautele).

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2011, n.4656

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che la condotta del lavoratore, infortunatosi mentre era intento nelle operazioni di lavaggio della cucina di un albergo, avesse i caratteri dell’abnormità o dell’imprevedibilità atteso che, anche ammesso che il dipendente si fosse tolto le calzature di sicurezza prima di terminare il turno di lavoro, era onere del datore di lavoro predisporre controlli idonei per garantire l’osservanza dell’obbligo e ciò tanto più che il lavoratore era stato addetto a mansioni di lavoro diverse da quelle di assunzione ed operava in un ambiente di lavoro nuovo rispetto a quello abituale).

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2008, n.9817

In materia di responsabilità datoriale nei confronti del lavoratore per danni da infortunio sul lavoro a causa di inadempimento all’obbligo contrattuale di sicurezza (art. 2087 c.c.) si applicano le regole civilistiche sull’inadempimento (art. 1218 c.c.) e, tra queste, anche quella del concorso di colpa del creditore (art. 1227, comma 1, c.c.) e ciò diversamente dal regime di tutela previdenziale degli infortuni sul lavoro, in forza del quale l’Istituto assicuratore è tenuto a pagare la rendita nella sua interezza anche in caso di concorso del lavoratore nella causazione della lesione della propria integrità psicofisica.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA