Bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e dissipazione: la Suprema Corte fa il punto sulla responsabilità dell’amministratore di diritto della società

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 13824.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale, chiarisce il ruolo e le responsabilità penali dell’amministratore di diritto conseguenza della posizione rivestita nell’ambito dell’organizzazione aziendale e ciò anche rispetto all’operato dell’amministratore di fatto.

 

I reati contestati e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato, nella qualità di amministratore unico, poi di presidente del CDA, infine nuovamente di amministratore unico della società di capitali dichiarata fallita, venivano contestati i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta semplice, per aver distratto o dissipato parte dei beni sociali e per aver aggravato lo stato di dissesto della società per non aver richiesto il fallimento.

La Corte di appello di Firenze, riformava parzialmente, in punto di trattamento sanzionatorio, la sentenza resa dal locale Tribunale, confermando la penale responsabilità del prevenuto per i reati a lui ascritti.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte territoriale, articolando due motivi di gravame.

In particolare ai fini del presente commento suscita maggiore interesse la deduzione del vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato.

Il ricorrente, a sostegno della propria tesi, richiamava l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel caso di specie, all’amministratore di diritto non potesse applicarsi il principio della mancata giustificazione della destinazione dei beni distratti, potendo egli non risultare consapevole dei disegni criminosi ideati e realizzati  dagli amministratori di fatto della società.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso perché devolutivo di una diversa rilettura del fatto inammissibile in sede di legittimità, dando continuità ai noti principi elaborati, chiarisce il ruolo e la posizione di garanzia ricoperta dall’amministratore di diritto nei confronti dell’operato dell’amministratore di fatto e del relativo obbligo giuridico di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40 cpv c.p.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia in commento:

<Il motivo con cui si lamenta la natura soltanto formale della nomina ad amministratore di diritto, per l’assenza di competenze e di poteri gestori, è altresì manifestamente infondato.

Le doglianze proposte sembrano dirette a contestare l’effettività del ruolo di amministratore di diritto, sostenendo che le decisioni sarebbero state assunte, in realtà, dagli amministratori di fatto, che avrebbe esercitato concretamente i poteri gestori, e, di conseguenza, distratto i beni sociali.

Tuttavia, oltre alla genericità delle censure, insuscettibili di effettivo vaglio, va rammentato che sussiste la responsabilità dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con l’amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma 2, cod. pen., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita (Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261814).

Nei rilevare che alcuna contraddizione sussiste nella motivazione della sentenza impugnata, che, oltre a sottolineare gli obblighi di vigilanza e controllo dell’amministratore di diritto sugli amministratori di fatto, e la conseguente responsabilità omissiva, ha evidenziato che, nella fattispecie, l’imputato ha partecipato direttamente e consapevolmente alle condotte distrattive, senza che rilevi una pretesa mancanza di controllo del collegio sindacale>.

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. V, 02/04/2019, n.37848

In materia fallimentare, in ogni caso di bancarotta fraudolenta si è in presenza di una responsabilità dell’amministratore di diritto, anche in presenza di una modificazione illegittima delle scritture contabili. La Cassazione ha respinto il ricorso di una imputata condannata nei gradi di merito, la quale riteneva che mancasse uno dei presupposti per la configurazione del reato, ovvero la condotta prevista dalla normativa per la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta, non potendosi a ogni modo inferire in via automatica una responsabilità penale dalla semplice posizione di amministratore di diritto dell’impresa fallita. Per i giudici di legittimità, tuttavia, dalla semplice posizione di amministratore di diritto di un’impresa derivano conseguenza giuridiche ben precise in ordine a eventuali responsabilità penali.

Cassazione penale sez. V, 01/03/2019, n.34112

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, per poter fondare la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetta “testa di legno”), alla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica deve essere aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta, bensì effettiva e concreta, della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di farne emergere la strumentalità verso fini di pregiudizio in danno dei creditori: ciò che è imposto dal rispetto del principio costituzionale di colpevolezza. Infatti, se non è revocabile in dubbio che la carica di amministratore di diritto di una società conferisca alla persona che la ricopre doveri di vigilanza e controllo (sintetizzabili nella posizione di garanzia ex articolo 2392 del codice civile), la cui violazione comporta responsabilità penale a titolo di dolo generico, è pur vero che l’addebito di consapevole mancanza di condotta impeditiva del fatto illecito può muoversi soltanto quando la condotta omissiva sia stata accompagnata dalla rappresentazione della situazione anti-doverosa, onde legittimare la prefigurazione dei consequenziali eventi tipici del reato, o, nella prospettazione del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del loro accadimento. Riconoscendo, invece, tout court la responsabilità dell’amministratore di diritto, per i fatti di dolosa manipolazione delle scritture o di volontaria, scorretta tenuta del compendio contabile commessi dall’amministratore di fatto si correrebbe il rischio di attentare al principio di personalità della responsabilità penale, ovvero traslare il dolo della bancarotta fraudolenta in un addebito a sfondo meramente colposo.

 

Cassazione penale sez. V, 08/11/2018, n.9856

L’accettazione della carica di amministratore, in ambito societario, non può costituire di per se, fonte di responsabilità, ben potendo presentarsi situazioni in cui l’amministratore di diritto resti estraneo alle condotte fraudolente poste in essere dall’amministratore di fatto. Affinché si possa ffermare una responsabilità dell’amministratore di diritto per concorso, ex art. 40 c.p., è necessaria la consapevolezza che altri pongano in essere le condotte descritte dalla fattispecie incriminatrice, senza che consapevolezza e va essere necessariamente ricondotta ai singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale.

 

Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

 

Cassazione penale sez. V, 03/11/2017, n.54692

La presenza di un amministratore di fatto non salva l’amministratore di diritto dal reato di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione. Quest’ultimo è, infatti, tenuto al controllo sulla corretta tenuta della scritture contabili. Lo precisa la Cassazione che respinge il ricorso dell’amministratore unico di una Srl fallita, che riteneva di aver ricoperto un ruolo di semplice amministratore di diritto, privo di qualunque capacità gestionale.

 

Cassazione penale sez. V, 21/09/2017, n.48363

L’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cd. testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.

 

Cassazione penale sez. V, 19/07/2017, n.49507

In tema di bancarotta fraudolenta la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti, altrettanto vero è che detto orientamento può convivere esclusivamente con il dato relativo alla sparizione fisica dei beni, posto che, se è pur vero che un imprenditore o un amministratore societario può distrarre beni dall’impresa, mascherando la loro sparizione con un artificio contabile costituito da una rettifica del valore iscritto a bilancio, altrettanto vero è che la prova di tale comportamento di sottrazione non può essere ricavata, sic et simpliciter, dalla sola circostanza dell’esistenza della rettifica contabile, non accompagnata dal benché minimo riscontro fattuale circa la mancanza fisica dei beni. L’accettazione del rito abbreviato non comporta alcuna rinuncia dell’imputato a censurare l’inadeguatezza, l’inconferenza e l’inidoneità probatoria delle prove raccolte contro di lui: anzi è proprio tale intendimento che può orientarlo alla scelta del rito abbreviato al fine di stigmatizzare l’insufficienza del materiale d’accusa accumulato dal Pubblico Ministero.

By Claudio Ramelli@RIPRODUZIONE RISERVATA.