Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato: la condotta riparatoria posta in essere dall’autore del reato in danno dell’INPS rende priva di giustificazione la confisca diretta del profitto del reato

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 21353.2020, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, enuncia il principio di diritto secondo il quale qualora il vantaggio economico derivante dal reato venga meno a seguito della condotta riparatoria volontaria posta in essere dal soggetto agente, il provvedimento di confisca diretta del profitto del reato risulta privo di giustificazione.

Il reato contestato e il giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputato era contestato il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316 ter c.p., per aver ottenuto dall’INPS, mediante compensazione di propri debiti, il rimborso di somme dovute a titolo di indennità ad una propria dipendente, avendo falsamente comunicato all’ente l’avventa corresponsione delle stesse.

Il G.U.P. del Tribunale di Massa emetteva sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per il reato ascritto al prevenuto e disponeva la confisca del profitto del reato nella misura delle somme oggetto dell’indebita compensazione.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento, deducendo la violazione dell’art. 322 ter c.p., avendo errato il giudice di merito nel disporre la confisca, in ragione della condotta riparatoria posta in essere dall’imputato e tale da elidere il profitto del reato.

I Giudici di legittimità, nell’annullare senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla confisca, ripercorrono la ratio dell’istituto della confisca diretta del profitto del reato e sanciscono il consolidato principio di diritto in materia di condotta riparatoria e sui riflessi sul provvedimento ablatorio, richiamando principi applicati ai reati tributari, espressi con le sentenze a Sezioni Unite Penali Gubert e Lucci.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della decisione in commento:

<S’intende per “profitto del reato” – almeno nella nozione che rileva ai fini del presente ricorso – il “vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito” (per tutte, Sez. U, 26/06/2015, n. 31617, Lucci, Rv. 264436; Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, non massimata sul punto).

Nello specifico, esso va quindi individuato nel mancato esborso, per effetto dell’indebita compensazione ottenuta, delle somme che l’imputato avrebbe dovuto versare alla propria dipendente a titolo di prestazione previdenziale. Trattandosi, perciò, di un risparmio di spesa, detto profitto è rappresentato direttamente dal denaro non versato. Tanto rileva ai fini dell’individuazione della natura della misura ablativa disposta: se, cioè, si tratti di una confisca diretta, e quindi di una misura di sicurezza, oppure di una confisca di valore, nella specie c.d. “per equivalente”, che invece rappresenta una pena in rem (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037; Sez. 6, n. 16103 del 19/02/2020, De Grandi, Rv. 278961). A tal fine, il mero riferimento all’art. 322-ter, cod. pen., non soccorre, poiché tale norma prevede entrambe le fattispecie di confisca. Decisiva, invece, è la specie della res staggita, in relazione alla tipologia del reato: per cui – così come precisato dalle già ricordate sentenze Lucci e Gubert – laddove il profitto sia rappresentato da denaro, la relativa confisca dev’essere qualificata come diretta, indipendentemente dalla derivazione immediata o meno dal reato.

Si versa, dunque, nella fattispecie oggetto di giudizio, in un’ipotesi di confisca diretta e, quindi, di misura di sicurezza. La ragione giustificatrice delle misure di sicurezza è di natura tipicamente preventiva. Tanto vale, ovviamente, per quelle di tipo personale, quanto per la confisca, attraverso la quale l’ordinamento mira a sottrarre al circuito economico-sociale legale le cose ricollegabili all’attività criminale e, come tali, a vario titolo, potenzialmente criminogene. Se questa, però, almeno nei suoi estremi essenziali, è la ratio delle misure di sicurezza, se ne deve coerentemente desumere che, qualora il profitto conseguito attraverso il reato venga meno, successivamente a questo, per una condotta riparatoria posta in essere volontariamente dal reo, la cosa pericolosa esce dal circuito dell’economia legale e non v’è, perciò, alcuna ragione che giustifichi l’ablazione.

Poiché, dunque, è pacifico, in fatto, che il ricorrente, successivamente al perfezionamento del reato, abbia versato alla propria dipendente le somme alla stessa spettanti, è conseguentemente venuto meno il corrispondente vantaggio economico, da lui ottenuto mediante la compensazione del relativo credito verso l’ente previdenziale con i suoi debiti nei confronti del medesimo. Nessun “profitto”, perciò, è a lui residuato, in ragione di una sua condotta riparatoria volontaria; e, di conseguenza, nessuna confisca di tali somme poteva essere disposta>.

 

La norma incriminatrice:

Art. 316 ter c.p. – Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato

Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.

Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da 5.164 euro a 25.822 euro. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. VI, 19/02/2020, n.16103

La confisca per equivalente del profitto, introdotta dall’art. 322-ter, comma 1, c.p., come novellato dalla l. 6 novembre 2012, n. 190, ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non si applica ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge citata.

Cassazione penale sez. un., 26/06/2015, n.31617

Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito.

Cassazione penale sez. un., 31/01/2013, n.18374

In tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 d.lg n. 74 del 2000, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA