Va rigettato il ricorso del curatore fallimentare per la revoca del sequestro per prevenzione dell’intero compendio aziendale della società fallita laddove i beni siano stati acquisiti mediante reimpiego dei proventi di attività illecita.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 26755.2021, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi in merito ad un procedimento di prevenzione a carico di una società dichiarata fallita, si sofferma sull’estensione del sequestro finalizzato alla confisca di prevenzione e sui rapporti tra la misura adottata nei confronti del proposto ed i diritti patrimoniali vantati dalla Curatela fallimentare.
In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui il sequestro funzionale alla confisca di prevenzione per sproporzione può investire non solo i beni direttamente derivanti attività illecite, ma anche quelli che, pur formalmente acquisiti in maniera lecita, siano di pertinenza del patrimonio illecito, poiché frutto del reimpiego di beni acquistati con l’immissione di capitali illeciti.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 26755/2021;
(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di sequestro e confisca di prevenzione, oltre agli approfondimenti sul diritto penale fallimentare che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.
I
Il procedimento di prevenzione
La Corte di appello di Palermo confermava il capo del provvedimento impugnato con il quale il Tribunale di Trapani aveva disposto, nell’ambito del procedimento di prevenzione, il sequestro ai fini di confisca dell’intero capitale sociale e di tutti i beni aziendali della società fallita.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
Il curatore fallimentare proponeva ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte territoriale, deducendo il vizio di violazione di legge con riferimento agli artt. 20 e 66 e ss. D.lgs. 159/2011.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:
“Il predetto art. 20, nell’indicare, al comma 1, quali siano i presupposti per l’applicazione della misura del sequestro finalizzato alla confisca di prevenzione per sproporzione, chiarisce che, in particolare, come il vincolo possa avere ad oggetto tutti i beni dei quali il proposto risulta poter disporre direttamente o indirettamente, quando, “sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che essi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego”: formula finalizzata a contrastare il fenomeno dell’accumulazione di patrimoni illegali colpendo non solamente i beni che abbiano un rapporto di diretta derivazione dalle attività delittuose poste in essere dal proposto, ma anche quei beni che, formalmente acquisiti in maniera lecita, possano considerarsi pertinenziali al patrimonio illecito perché risultato del reimpiego di beni acquistati con l’immissione di capitali illeciti. Nella medesima ottica, lo stesso comma 1 del suddetto art. 20, nella sua parte finale, stabilisce che “il tribunale, quando dispone il sequestro di partecipazioni sociali totalitarie, ordina il sequestro dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile …(sequestro che)… si estende di diritto a tutti i beni costituiti in azienda”, compresi i conti correnti (di cui va fatta specifica indicazione nel provvedimento di sequestro). […]
Tale conclusione risulta in linea con i principi già puntualizzati dalla giurisprudenza di legittimità, in base ai quali si è detto, per un verso, che l’estensione ex lege ai beni costituiti in azienda della confisca delle partecipazioni sociali totalitarie trova causa nel fatto che chi “ha acquisito illecitamente, mediante i proventi della sua attività illecita o il loro reimpiego, le partecipazioni societarie totalitarie, ha acquisito illecitamente l’azienda” (Sez. 3, n. 51603 del 18/09/2018, non massimata); e, per altro verso, che il sequestro può avere ad oggetto anche le somme depositate su un conto corrente che, a prescindere dall’eventuale origine formalmente lecita dovuta alla gestione dei beni aziendali, diventano anch’esse illecite dato che il conto viene così alimentato dall’impiego di beni dell’impresa inquinata in radice dai vantaggi illeciti basati su una pregressa attività delittuosa (in questo senso Sez. 5, n. 32688 del 31/01/2018, Rv. 275225; conf. in seguito, Sez. 2, n. 32904 del 30/10/2020, non massimata).
La rassegna delle più recenti massime in materia di sequestro di prevenzione ex D.lgs. 159/2011:
Cassazione penale sez. I, 26/05/2021, n.21144
In tema di sequestro di prevenzione di un conto corrente, avverso il rigetto dell’istanza di prelievo di somma di denaro accreditata in epoca posteriore al vincolo cautelare è proponibile l’appello, ai sensi dell’art. 27 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, e non il ricorso per cassazione, atteso che, non potendo la misura riferirsi a valori non ancora giacenti sul conto, tale decisione va qualificata quale nuovo provvedimento di sequestro della somma sopravvenuta.
Cassazione penale sez. I, 11/03/2021, n.14528
La restituzione, anche parziale, di beni già sottoposti a sequestro e confisca di prevenzione, effettuata a seguito di accoglimento dell’impugnazione proposta dalla parte privata, deve essere disposta ed eseguita con riguardo alla consistenza attuale dei beni medesimi, comprensivi dell’eventuale incremento di valore derivante dal loro impiego, detratte esclusivamente le spese di gestione, diverse da quelle relative al pagamento dei compensi da corrispondersi all’amministratore giudiziario.
Cassazione penale sez. I, 20/11/2020, n.13397
In tema di sequestro di prevenzione, costituisce caso analogo di conflitto, a norma dell’art. 28, comma 2, c p.p., il contrasto sulla competenza territoriale tra la corte d’appello, investita dell’impugnazione del provvedimento di sequestro, ed il tribunale, diverso da quello emittente, cui gli atti siano stati trasmessi.
Cassazione penale sez. I, 18/11/2020, n.8868
In tema di misure di prevenzione, la domanda di erogazione del sussidio alimentare di cui all’art. 40, comma 2, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159 può essere presentata dai soggetti, anche diversi dal proposto, che si trovino a subire una limitazione dei propri diritti patrimoniali a seguito dell’emissione del provvedimento di prevenzione. (Fattispecie in cui l’istanza era stata proposta dal figlio del soggetto portatore di pericolosità, ritenuto intestatario formale di beni oggetto di sequestro).
Cassazione penale sez. I, 04/11/2020, n.6340
In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il giudizio sul rendiconto della gestione ex art. 43 d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, non può estendersi alle scelta relativa alla prosecuzione o meno dell’attività produttiva o commerciale dell’azienda in sequestro, trattandosi di decisione rientrante nella competenza del tribunale e da adottare sulla base di una ricognizione preliminare che costituisce oggetto di un autonomo sub-procedimento insuscettibile di rinnovata valutazione in sede di approvazione del conto di gestione.
Cassazione penale sez. II, 09/10/2020, n.29013
In tema di misure di prevenzione e tutela dei diritti dei terzi, la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica dei crediti – di cui agli artt. 57 e ss. d.lg. 6 settembre 2011, n. 159 – è estesa a tutti i creditori e, dunque, anche ai titolari di diritti di credito privi di garanzia sui beni confiscati, se risultanti da atti aventi data anteriore al sequestro e sempre che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, come previsto dall’art. 52, comma 1, lett. a), d.lg. n. 159 del 2011, come modificato dalla l. n. 161 del 2017.
Cassazione penale sez. V, 25/09/2020, n.29983
In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il curatore fallimentare non è legittimato ad intervenire nel procedimento per l’applicazione della confisca, non essendo titolare di un diritto reale, di garanzia o di godimento sui beni sottoposti a sequestro di prevenzione ed in quanto surrogato dall’amministratore giudiziario nella gestione di detti beni, una volta esaurita la fase di distacco dal fallimento.
Cassazione penale sez. VI, 24/06/2020, n.23605
Non si configura alcun incompatibilità, ai sensi dell’articolo 34 del Cpp, a partecipare al giudizio per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca a carico del giudice che abbia precedentemente adottato il provvedimento di sequestro, ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, dal momento che tale provvedimento ha carattere interinale e provvisorio, destinato a essere sostituito da una pronuncia decisoria finale, e non può dirsi riferibile a una fase antecedente e autonoma del procedimento (la Corte, peraltro, in parte motiva, preso atto della natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione e dell’incidenza del medesimo su diritti – personali o patrimoniali – di rilievo costituzionali, tali da imporre l’osservanza delle garanzie del giusto processo, ha comunque ribadito che le cause previste dal codice di rito per l’incompatibilità del giudice devono valere anche in sede di prevenzione, nel caso in cui il giudice abbia anticipato un giudizio sull’imputazione, come avviene, esemplificando, allorquando il giudice della prevenzione risulti essersi già pronunciato sulla stessa vicenda in sede penale, anche solo applicando nei confronti del proposto una misura cautelare personale).
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