Diffamazione a mezzo Facebook: il termine per presentare querela decorre dalla data contestuale o temporalmente prossima alla pubblicazione del messaggio offensivo.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 22787.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di diffamazione a mezzo Facebook, si sofferma sull’interessante tema del dies a quo per la decorrenza del termine per proporre querela da parte della persona offesa dal reato (tre mesi dalla conoscenza del fatto che costituisce il reato secondo il disposto dell’art. 124 cod. pen)

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, premesso che il delitto di diffamazione si consuma nel momento in cui la frase offensiva è percepita all’esterno,  ha enunciato il principio di diritto secondo cui, , il dies a quo  (termine iniziale) per la decorrenza del termine per proporre querela coincide con la data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui il messaggio diffamatorio è pubblicato su internet, salvo che l’interessato fornisca prova contraria circa il diverso momento in cui è effettivamente venuto a conoscenza dell’offesa.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di diffamazione a mezzo internet, oltre agli approfondimenti sul reato informatico che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il reato contestato e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie all’imputata era stato contestato il delitto di diffamazione a mezzo internet, per aver pubblicato su Facebook un post diffamatorio in danno delle persone offese.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Busto Arsizio aveva condannato la prevenuta per il reato ascrittole.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando tre motivi di impugnazione.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte territoriale.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

In tema di diffamazione tramite “internet”, ai fini della individuazione del “dies a quo” per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento, in assenza di prova contraria da parte della persona offesa, ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l’immagine lesiva sono immesse sul “web”, atteso che l’interessato, normalmente, ha notizia del fatto commesso mediante la “rete” accedendo alla stessa direttamente o attraverso altri soggetti i quali in tal modo ne siano venuti a conoscenza (Sez. 5, n. 38099 del 29/05/2015, Rv. 264999 […])”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 595 c.p. – Diffamazione

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro. 

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57–58-bis, 596-bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [615-bis], ovvero in atto pubblico [2699 c.c.], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate [64, 596–599].

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di diffamazione a mezzo internet:

Cassazione penale sez. V, 04/03/2021, n.13252

L’invio di una “e-mail” dal contenuto offensivo ad una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione anche nell’eventualità che tra questi vi sia l’offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta elettronica di destinazione.

Cassazione penale sez. V, 17/02/2021, n.13993

È legittima, in relazione all’art. 10 Cedu, secondo un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l’irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attività giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie “internet”), ove ricorrano circostanze eccezionali connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.

Cassazione penale sez. V, 25/01/2021, n.13979

Integra il reato di diffamazione la pubblicazione su una pagina “facebook” di un’accusa, del tutto immotivata, ad un professore di operare manipolazioni psicologiche degli studenti e così praticare metodi contrari agli scopi formativi ed educativi dell’insegnamento, trattandosi di espressioni che, in sé e per il contesto fattuale di riferimento, travalicano i limiti della continenza espositiva.

Cassazione penale sez. V, 18/01/2021, n.8898

In tema di diffamazione, nel caso di condotta realizzata attraverso “social network”, nella valutazione del requisito della continenza, ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato, ma anche dell’eccentricità delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al pubblico disprezzo. (Fattispecie relativa alla pubblicazione di commenti “ad hominem” umilianti e ingiustificatamente aggressivi su una bacheca “facebook”, pubblica “piazza virtuale” aperta al libero confronto tra gli utenti registrati).

Cassazione penale sez. V, 12/01/2021, n.7220

In tema di diffamazione, l’amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell’art. 57 c.p., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook), salvo che sussistano elementi che denotino la compartecipazione dell’amministratore alla attività diffamatoria. (Fattispecie in cui il titolare di un sito internet aveva condiviso la pubblicazione di un articolo offensivo della reputazione di un agente di polizia, collaborando alla raccolta delle informazioni necessarie per la sua redazione, partecipando al collettivo politico che ne aveva elaborato l’idea e rivendicandone in dibattimento il contenuto).

Cassazione penale sez. V, 23/11/2020, n.854

In caso di diffamazione avvenuta via web, il giudice competente va individuato con criterio del luogo del domicilio dell’imputato. A ricordare la regola che fissa la competenza è la Cassazione, con una sentenza di particolare importanza, dato che nell’attuale momento storico internet è spesso luogo in cui sono poste in essere condotte diffamatorie. Per i giudici di legittimità, inoltre, precisano che in ipotesi di diffamazione via web, ove non sia possibile stabilire il luogo di consumazione del reato la competenza territoriale va radicata in relazione al luogo ove è avvenuta parte dell’azione, ovverosia nel luogo in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato e immesso in rete.

Cassazione penale sez. V, 23/10/2020, n.34831

Le caratteristiche della Posta Elettronica Certificata (PEC) non escludono ex se la potenziale accessibilità a terzi, diversi dal destinatario, delle comunicazioni, attenendo la certificazione ai soli elementi estrinseci della comunicazione (data e ora di ricezione), e non già alla esclusiva conoscenza per il destinatario della e -mail originale. Nondimeno, l’utilizzazione della PEC richiede un rafforzato onere di giustificazione riguardo l’elemento soggettivo del reato di diffamazione, in specie relativamente alla prevedibilità in concreto dell’accessibilità di terzi al contenuto dichiarativo, laddove il mittente opti per siffatto tipo di comunicazione proprio al fine della prova della ricevuta, avente valore legale, da parte del destinatario. Indici rivelatori, in tal senso, possono essere desunti dalla conoscenza delle prassi in uso al destinatario, ovvero dalla natura stessa dell’atto, se destinato all’esclusiva conoscenza del medesimo o se, invece, finalizzato all’attivazione di poteri propri di quest’ultimo che, necessariamente, implichino l’accessibilità delle informazioni da parte di terzi.

Cassazione penale sez. V, 15/10/2020, n.36026

Gli “sfottò” che intercorrono durante una partita di calcio non sono minimamente equiparabili agli insulti proferiti on-line, dopo la partita stessa, specie se coinvolgono persone estranee al contesto sportivo (condannato, nella specie, l’allenatore di una squadra di calcio, che, a poche ore da una partita, aveva offeso online il presidente della compagine appena affrontata, coinvolgendo anche la moglie di quest’ultimo).

Cassazione penale sez. V, 25/02/2020, n.10905

Non costituisce reato di diffamazione rivolgere insulti attraverso una chat vocale sulla piattaforma Google Hangouts poiché destinatario del messaggio è unicamente la persona offesa.

Cassazione penale sez. V, 07/06/2019, n.27675

In tema di diffamazione, è legittimo il sequestro preventivo di un “blog” che integra un “mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, per cui non trova applicazione la normativa di rango costituzionale e di livello ordinario che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico, che rimane riservata, invece, alle testate giornalistiche telematiche. (Fattispecie relativa a un “blog” pubblicato su un sito gestito da un soggetto non iscritto nel Registro degli operatori di comunicazione, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto da un lato legittimo il sequestro, dall’altro insussistenti i presupposti del reato di pubblicazione di stampa clandestina, contestato insieme a varie ipotesi di diffamazione).

Cassazione penale sez. V, 29/05/2019, n.39047

La parola “mafioso” assume carattere offensivo e infamante e, laddove comunicata a più persone per definire il comportamento di taluno, in assenza di qualsiasi elemento che ne suffraghi la veridicità, integra il delitto di diffamazione, sostanziandosi nella mera aggressione verbale del soggetto criticato. (Fattispecie relativa al commento critico, pubblicato su “facebook” dall’ex-sindaco di un comune siciliano, del comportamento tenuto dal sindaco in carica nella designazione dei candidati per le elezioni locali, comportamento definito dal ricorrente come “imposizione o agire mafioso”).

Cassazione penale sez. V, 27/05/2019, n.34145

Sono obiettivamente ingiuriose quelle espressioni con le quali si “disumanizza” la vittima, assimilandola a cose o animali (nella specie, la Corte ha annullato la sentenza di assoluzione dal reato di diffamazione emessa nei confronti dell’imputato che aveva utilizzato il sostantivo “animale” per indicare in maniera spregiativa il bambino che aveva procurato una ferita al volto della figlia. Paragonare un bambino a un “animale”, inteso addirittura come “oggetto” visto che il padre ne viene definito “proprietario”, è certamente locuzione che, per quanto possa essersi degradato il codice comunicativo e scaduto il livello espressivo soprattutto sui social media, conserva intatta la sua valenza offensiva).

Cassazione penale sez. V, 10/05/2019, n.34129

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di critica nella forma satirica sussiste quando l’autore presenti, in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa, e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino storicamente false. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità dell’imputato, ex art. 595, comma terzo, cod. pen., per avere pubblicato su un “blog” una dichiarazione storicamente falsa attribuita ad un noto personaggio politico, aggiungendola a dichiarazioni rese effettivamente da quest’ultimo nel corso di un’intervista, inserita nel contesto di un articolo dal tono né ironico né scherzoso, e, dunque, ingannevole).

Cassazione penale sez. V, 02/05/2019, n.30455

È configurabile il concorso tra il delitto di trattamento illecito di dati personali e quello di diffamazione, poiché la clausola di riserva di cui all’art. 167, comma 1, d.lg 30 giugno 2003, n. 196 (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) presuppone l’identità dei beni giuridici tutelati dai diversi reati, identità che non ricorre nel caso di specie, poiché il delitto di diffamazione tutela la reputazione, attinente all’aspetto esteriore della tutela dell’individuo e al suo diritto di godere di un certo riconoscimento sociale, mentre il delitto di trattamento illecito di dati personali è posto a tutela della riservatezza che ha riguardo all’aspetto interiore dell’individuo e al suo diritto a preservare la propria sfera personale da ingerenze indebite e ricorrendo, altresì, tra le due fattispecie, un rapporto di eterogeneità strutturale, sotto il profilo dell’oggetto materiale (che, nel delitto di cui all’art. 167 d.lg. n. 196 del 2003, può essere costituito dai soli dati sensibili) e del dolo (configurato nel solo delitto di trattamento illecito come dolo specifico orientato al profitto dell’agente o al danno del soggetto passivo) che esclude la configurazione di un rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 c.p.

Cassazione penale sez. V, 15/04/2019, n.38896

In tema di diffamazione su quotidiani cartacei oppure online per poter invocare la scriminante del diritto di cronaca o di critica è necessario che l’autore dello scritto abbia compiuto tutti gli opportuni accertamenti sulla veridicità della notizia che intende pubblicare. A tal riguardo, la ricerca compiuta su motori di ricerca o enciclopedie online del genere Wikipedia non garantisce la reale completezza informativa, necessaria per poter invocare la predetta scriminante.

Cassazione penale sez. V, 15/04/2019, n.38896

In tema di diffamazione a mezzo stampa o mediante pubblicazioni di tipo giornalistico “on line”, ai fini della configurabilità della scriminante putativa del diritto di cronaca o di critica, non è sufficiente, ai fini dell’adempimento dell’onere di verifica dei fatti riportati e delle fonti, la consultazione dei più noti motori di ricerca e dell’enciclopedia web “Wikipedia”, trattandosi di strumenti inidonei a garantire la necessaria completezza informativa. (Fattispecie relativa all’erronea attribuzione alla persona offesa del coinvolgimento nella strage di Bologna del 1980, nel contesto di una pubblicazione che ne descriveva il profilo politico e l’appartenenza alla “destra eversiva”).

Cassazione penale sez. III, 19/03/2019, n.19659

Integra il reato di diffamazione la condotta di pubblicazione in un sito internet (nella specie, nel social network Facebook) di immagini fotografiche che ritraggono una persona in atteggiamenti pornografici, in un contesto e per destinatari diversi da quelli in relazione ai quali sia stato precedentemente prestato il consenso alla pubblicazione.

Cassazione penale sez. I, 18/12/2018, n.9385 

Ai sensi dell’art. 227, comma 2, del codice penale militare di pace, il reato di diffamazione è aggravato se l’offesa è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, come appunto avvenuto nel caso di specie atteso che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.

Cassazione penale sez. V, 19/11/2018, n.3148

A carico di un soggetto che pubblica un “post” su un social network (nella fattispecie Facebook) non si possono porre oneri informativi analoghi a quelli gravanti su di un giornalista professionista, tenuto conto della profonda differenza fra le due figure per ruolo, funzione, formazione, capacità espressive, spazio divulgativo e relativo contesto.

Cassazione penale sez. V, 23/10/2018, n.1275

Il giornale telematico – a differenza dei diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero: forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook – soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea e rientra, dunque, nella nozione di “stampa” di cui all’articolo 1 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, con la conseguente configurabilità della responsabilità ex articolo 57 del codice penale ai direttori della testata telematica (da queste premesse, la Corte, nel ribadire che il giornale telematico non può sottrarsi alle garanzie e alle responsabilità previste dalla normativa sulla stampa, ha ritenuto che potesse ravvisarsi la responsabilità del direttore responsabile per il reato di omesso controllo ex articolo 57 del codice penale).

Cassazione penale , sez. V, 12/07/2018 , n. 42630

Se il social network non collabora nell’identificazione dell’autore del reato, le indagini devono essere approfondite per individuare chi ha scritto il post. Ad affermarlo è la Cassazione che ha imposto ai giudici di merito di motivare adeguatamente le ragioni dell’archiviazione a carico del presunto autore della diffamazione on line. Il caso riguardava alcuni post offensivi pubblicati su Facebook da un utente la cui identità era rimasta incerta, a seguito del rifiuto dei gestori di Facebook di fornire l’indirizzo IP dell’autore del messaggio. Il decreto di archiviazione disposto dal Gip veniva però impugnato in Cassazione dalla persona offesa che lamentava l’assoluta mancanza di indagini suppletive e di analisi degli ulteriori indizi forniti dalla persona offesa. Da qui la pronuncia della Suprema corte che ha imposto ai giudici di merito di andare oltre la mancata collaborazione dei social network e di approfondire tutti gli elementi utili alle indagini.

 

Cassazione penale , sez. V , 03/05/2018 , n. 40083

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’ art. 595, comma terzo, cod. pen. , poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.

Cassazione penale , sez. V , 19/02/2018 , n. 16751

In tema di diffamazione, l’amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell’ art. 57 c.p. , in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, Facebook). (In motivazione, la Corte ha precisato che il mero ruolo di amministratore di un forum di discussione non determina il concorso nel reato conseguente ai messaggi ad altri materialmente riferibili, in assenza di elementi che denotino la compartecipazione dell’amministrazione all’attività diffamatoria).

Cassazione penale, sez. V, 04/12/2017, n. 5175

La legge n. 48 del 2008 (Ratifica della convenzione di Budapest sulla criminalità informatica) non introduce alcun requisito di prova legale, limitandosi a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza tuttavia imporre procedure tipizzate. Ne consegue che il giudice potrà valutarle secondo il proprio libero convincimento (fattispecie relativa alla pubblicazione di un post ingiurioso su Facebook).

Cassazione penale, sez. V, 19/10/2017, n. 101

Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici se i commenti diffamatori, pubblicati tramite post sul social network Facebook, possono, pur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se tali commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari. 

Cassazione penale, sez. V, 29/05/2017, n. 39763

In tema di diffamazione, l’individuazione del destinatario dell’offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell’offesa, sulla base di un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o soggettive congetture di soggetti che ritengano di potere essere destinatari dell’offesa (esclusa, nella specie, la configurabilità del reato per la condotta dell’imputato, che, in un post su Facebook, aveva espresso il suo sdegno per le modalità con cui erano state celebrate le esequie di un suo caro parente).

Cassazione penale, sez. V, 23/01/2017, n. 8482

La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47 del 1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.

 

Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50

È del tribunale penale la competenza a giudicare la condotta consistente nella diffusione di messaggi minatori e offensivi attraverso il social network Facebook, configurando i reati di minacce e diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p.

Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.

Cassazione penale, sez. V, 14/11/2016, n. 4873

Ove taluno abbia pubblicato sul proprio profilo Facebook un testo con cui offendeva la reputazione di una persona, attribuendole un fatto determinato, sono applicabili le circostanze aggravanti dell’attribuzione di un fatto determinato e dell’offesa recata con un qualsiasi mezzo di pubblicità, ma non quella operante nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato.

Cassazione penale, sez. V, 07/10/2016, n. 2723

La divulgazione di un messaggio di contenuto offensivo tramite social network ha indubbiamente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, proprio per la natura intrinseca dello strumento utilizzato, ed è dunque idonea ad integrare il reato della diffamazione aggravata (fattispecie relativa all’inserimento di un messaggio offensivo sul profilo Facebook della persona offesa).

Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 8328

La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA