Risponde di omicidio colposo il Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione che ometta di verificare l’adeguatezza del P.O.S. predisposto dal datore di lavoro.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 28468.2021, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di omicidio colposo commesso in violazione della normativa a tutela della sicurezza sul lavoro, si sofferma sulla posizione di garanzia dell’RSPP.

In particolare, la Suprema Corte, nel decidere sull’interposto ricorso, ha fatto applicazione del consolidato principio di diritto, aderente al dettato normativo, secondo il quale il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, risponde quale autonoma figura di garante, dei delitti colposi di evento nell’ipotesi in cui nel corso del processo venga dimostrata la sua inerzia rispetto al dovere di alta sorveglianza dell’operato del datore di lavoro  a lui attribuito dalla legge.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità riferite alla figura del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, oltre agli approfondimenti sulla posizione di garanzia che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

L’infortunio sul lavoro, il reato contestato e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie, i lavoratori, impegnati nella risoluzione di un problema al binario di scorrimento all’interno del cantiere, precipitavano da un’altezza di oltre 9 metri nella zona sottostante, a causa del cedimento del piano di calpestio provvisorio formato da lamiere precarie e pericolanti non fissate stabilmente sul telaio.

All’imputato, tratto  a giudizio nella qualità di RSPP, era stato contestato, in cooperazione colposa con altri soggetti, il delitto di omicidio colposo (previsto e punito dall’art. 589 c.p.), per aver sottoscritto e ratificato un Piano di sicurezza rivelatosi inadeguato in ordine all’individuazione e prevenzione del rischio di precipitazione.

La Corte di appello di Lecce sezione distaccata di Taranto confermava la condanna inflitta in primo grado al prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte distrettuale, articolando plurimi motivi di gravame.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“Il primo motivo, inoltre, è manifestamente infondato e reiterativo di questione sulla quale la Corte di appello aveva già risposto correttamente in diritto, essendo ormai indiscutibile, nella giurisprudenza di legittimità, l’orientamento che attribuisce alla figura del RSPP uno specifico ruolo di garante nella materia prevenzionistica. Infatti, in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, Rv. 275279 – 01;[…]).

Nel caso di specie, […] nella sostanza, la responsabilità dello [omissis] è stata affermata sulla base di una inadeguata valutazione dei rischi ed in considerazione della omessa individuazione delle misure per la sicurezza dello specifico ambiente di lavoro, con particolare riguardo a quella parte del cantiere in cui si è verificato l’infortunio, rivelatasi oltremodo pericolosa. È stato correttamente osservato che sullo [omissis] incombeva il dovere di informare il datore di lavoro del rischio esistente e di interagire con lo stesso per l’ideazione e costruzione di una struttura idonea (da verificare e collaudare prima del suo utilizzo), e per la predisposizione di un’adeguata segnaletica di sicurezza, che consentisse agli operatori di percepire i rischi reali cui si andava incontro accedendo al cantiere”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 589 c.p. – Omicidio colposo

Chiunque cagiona per colpa [43] la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [586].

Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. 

Se il fatto e’ commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena e’ della reclusione da tre a dieci anni.

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone [590], si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.

 

La rassegna delle più recenti massime relative alla posizione di garanzia dell’RSPP:

Cassazione penale sez. IV, 20/10/2020, n.11650

Per quanto il RSPP sia un consulente e non un soggetto con funzioni gestionali, su di egli grava l’obbligo di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza provando ad impedire eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori. Ove l’inadempimento di tali obblighi provochi un evento tra quelli presidiati penalmente ne può derivare una responsabilità penale, a titolo omissivo improprio.

 

Cassazione penale sez. IV, 17/10/2019, n.49761

In materia di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, risponde dell’evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto viziata la motivazione della sentenza impugnata per avere fondato la responsabilità del RSPP su un omesso intervento in fase esecutiva, considerata estranea alle competenze consultive e intellettive dello stesso).

 

Cassazione penale sez. IV, 21/12/2018, n.11708

In tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del RSPP in relazione alle lesioni riportate da un lavoratore, per aver sottovalutato, nel documento di valutazione dei rischi, il pericolo riconducibile all’utilizzo di un carrello elevatore inadeguato e privo di misure di sicurezza per il tipo di travi movimentate dai lavoratori).

 

Cassazione penale sez. IV, 10/05/2017, n.27516

Non è configurabile la responsabilità penale in capo al responsabile del servizio di prevenzione e protezione (R.S.P.P.) per il reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione antinfortunistica ex art. 590, comma 2, c.p. e aggravato ex art. 61, n.  3, c.p., qualora questo abbia diligentemente valutato e, conseguentemente segnalato, tramite un documento di valutazione rischi (D.V.R.) completo e idoneo, i fattori di rischio presenti in azienda, con ciò adempiendo all’obbligo, sullo stesso gravante in forza della posizione di garante ascrittagli di impedire l’evento (Ipotesi in cui la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza di proscioglimento dal reato di cui all’art. 590, comma 2, c.p. emessa in favore del R.S.P.P., il quale aveva segnalato tramite D.V.R. un rischio per la pericolosità intrinseca delle presse presenti in azienda, aggravato dalla inidoneità dei dispositivi di protezione non conformi alla legge).

 

Cassazione penale, sez. IV, 26/04/2017, n. 24958

La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. (In motivazione, la Corte ha precisato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere decisionale).

 

Cassazione penale, sez. IV, 26/04/2017, n. 40718

 In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è tenuto ad adempiere all’obbligo di valutazione e prevenzione del rischio in conformità alle previsioni normative in materia, formulando specifiche e tassative prescrizioni tecniche vincolanti per tutti i soggetti destinati ad operare nella struttura aziendale e sui macchinari ivi presenti, a prescindere dalle specifiche conoscenze e capacità dei singoli operatori. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del RSSP in ordine al reato di lesioni colpose cagionate a una lavoratrice, per avere omesso di valutare il rischio connesso all’uso di una macchina tritacarne sprovvista della necessaria protezione, anche se al momento della redazione del documento di valutazione dei rischi l’unico possibile utilizzatore della macchina fosse il titolare della ditta, a conoscenza del predetto rischio).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA