Commette abuso d’ufficio l’infermiere che consente ad un familiare dì usufruire gratuitamente di esami di laboratorio.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 34527.2021, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di abuso d’ufficio commesso da un professionista sanitario che riveste qualifica pubblicistica, si sofferma sul perimetro punitivo del reato contro la pubblica amministrazione.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, esprime il principio di diritto secondo cui risponde di abuso d’ufficio il professionista sanitario che, nella sua qualità di incaricato di pubblico servizio, usufruisca gratuitamente di una prestazione non dovuta, in violazione della legislazione nazionale sul servizio sanitario pubblico e sul pagamento del ticket.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) il testo della fattispecie incriminatrice;
(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in tema di abuso d’ufficio commesso da professionisti sanitari, oltre agli approfondimenti sul reato contro la pubblica amministrazione, che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.
Il reato contestato e la doppia conforme di merito
Nel caso di specie all’imputata, tratta a giudizio nella sua qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto infermiera presso l’Ospedale, era stato contestato il delitto di abuso d’ufficio ex art. 323 c.p., per aver fatto figurare il proprio figlio come ricoverato in regime ordinario, consentendo che lo stesso si sottoponesse ad esami ematici di laboratorio senza prenotazione e senza pagamento del ticket, arrecando così un danno agli altri utenti e procurando al congiunto un ingiusto vantaggio.
La Corte di appello di Perugia confermava la sentenza di condanna pronunciata in primo grado nei confronti della prevenuta.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione.
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato risultava estinto per intervenuta prescrizione, confermando delle statuizioni civili.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento afferente il tema della qualificazione della condotta come abuso di ufficio:
“L’art. 23, comma 1, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha ulteriormente delimitato l’àmbito delle violazioni normative rilevanti ai fini dell’art. 323, cod. pen., restringendolo a quelle riguardanti le disposizioni «espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge».
Nello specifico, tale presupposto senza dubbio ricorre, poiché la norma violata è contenuta in un atto avente forza di legge. Si tratta, in particolare, dell’art. 1, comma 4, lett. d), d. Igs. 29 aprile 1998, n. 124, il quale, in attuazione della delega contenuta all’art. 59, comma 50, lett. c), legge 27 dicembre 1997, n. 449, stabilisce che, «al fine di (…) assicurare il ricorso all’assistenza ospedaliera ogniqualvolta il trattamento in regime di ricovero ordinario risulti appropriato rispetto alle specifiche condizioni di salute, sono escluse dal sistema di partecipazione al costo e, quindi, erogate senza oneri a carico dell’assistito al momento della fruizione (…) i trattamenti erogati nel corso di ricovero ospedaliero in regime ordinario»”.
La fattispecie incriminatrice:
Art. 323 c.p. – Abuso d’ufficio
Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.
La rassegna delle più recenti massime in tema di abuso d’ufficio commesso da professionisti sanitari:
Cassazione penale sez. VI, 09/12/2020, n.442
In tema di abuso d’ufficio, la modifica introdotta con l’art. 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76 ha ristretto l’ambito applicativo dell’art. 323 c.p., determinando una parziale “abolitio criminis” in relazione alle condotte commesse prima dell’entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residuare margini di discrezionalità.
Cassazione penale sez. VI, 17/11/2020, n.16782
In tema di abuso d’ufficio, il dovere di astenersi derivante dalla grave inimicizia presuppone che tra il pubblico agente ed il destinatario dell’atto amministrativo sussistano motivi di rancore personale, mentre tale requisito non è integrato in presenza di manifestazioni di disistima e di critica professionale. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza dell’obbligo di astensione in capo al direttore generale di un’azienda sanitaria che, dovendo procedere alla nomina di un dirigente di struttura complessa, e potendo esercitare un’ampia facoltà di scelta discrezionale, preferiva altro candidato rispetto ad un soggetto che, in più occasioni, aveva manifestato di non stimare sotto il profilo professionale).
Cassazione penale sez. VI, 30/09/2020, n.35785
La pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61, n. 9, c.p., trattandosi di pena accessoria conseguente “ope legis” a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. (Fattispecie relativa al reato di omissione di referto necessariamente implicante la violazione del dovere d’ufficio da parte dell’agente).
Cassazione penale sez. VI, 18/12/2019, n.3515
In tema di rapporti tra abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, sussiste concorso materiale, e non assorbimento dell’abuso d’ufficio nel più grave reato di falso, qualora la condotta di abuso non si esaurisca nel compimento dell’atto falso, essendo quest’ultimo strumentale alla realizzazione del reato di cui all’art. 323 c.p., costituendo una parte della più ampia condotta di abuso.
Cassazione penale sez. VI, 27/01/2016, n.6275
Integra il reato di abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p. la condotta del Direttore sanitario nonché presidente della commissione Ufficio Procedimenti Disciplinari di un ente ospedaliero che, avendo ricevuto una specifica relazione scritta, abbia omesso l’assunzione di qualunque iniziativa disciplinare nei confronti di un medico che non aveva attestato nelle schede operatorie da lui redatte l’attiva partecipazione a due interventi chirurgici di un terzo medico non autorizzato, limitandosi ad informare il direttore del reparto in cui prestava servizio detto medico.
Cassazione penale sez. II, 27/10/2015, n.46096
In tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 Cost., nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni. (Nella specie, la S.C. ha reputato immune da censure la decisione impugnata che aveva ravvisato, nel comportamento tenuto dai due direttori di unità operativa ospedaliera succedutisi nel tempo, una condotta penalmente rilevante, consistita nel progressivo svuotamento del carico assistenziale del medico referente dell’esecuzione di prestazioni specialistiche).
Cassazione penale sez. VI, 24/09/2012, n.40824
Configura il reato di abuso di ufficio la condotta del medico ospedaliero che, contravvenendo all’obbligo di astensione, all’atto delle dimissioni di un paziente sottoposto ad intervento chirurgico lo inviti a recarsi presso il proprio studio professionale per la visita di controllo post-operatoria invece di indirizzarlo presso il medesimo presidio ospedaliero. (Nella specie, la S.C. ha precisato che tale visita di controllo rientra nel “rapporto terapeutico” basato sulla prestazione medica, anche successiva all’intervento, e sulla controprestazione del pagamento del ticket).
Cassazione penale sez. VI, 14/06/2012, n.41215
Sussiste il reato di abuso d’ufficio, con violazione di norme di legge, a carico del primario medico che ponga in essere comportamenti di vessazione ed emarginazione dei medici del reparto che non assecondino le proprie scelte (nello specifico, all’imputato era stato contestato di avere abusivamente emarginato un medico in servizio presso il reparto, impedendogli di prestare l’attività chirurgica, e di avere, sempre abusivamente, spossessato delle funzioni e competenze proprie il dirigente sostituto operante nella stessa struttura sanitaria). Ciò in quanto l’art. 13, comma 3, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che impone al pubblico dipendente un particolare dovere di collaborazione con tutti coloro che operano nella struttura amministrativa in cui egli è inserito, si applica sia in ambito di personale pubblico non contrattualizzato, sia in ambito di dirigenza medica, derivando, in particolare, che il primario di un ospedale è tenuto, quale pubblico dipendente, a prestare la sua opera in conformità delle leggi e in modo da assicurare sempre l’interesse della p.a., ispirandosi così, tra l’altro, nei rapporti con i colleghi, proprio ai sensi dell’art. 13 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, al principio di una assidua e solerte collaborazione.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA