Omessa dichiarazione e superamento della soglia di punibilità: ai fini del calcolo dell’imposta evasa occorre considerare anche i costi non contabilizzati risultanti dagli atti processuali.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 34661.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di omessa dichiarazione, si sofferma sul tema del criterio di determinazione dell’imposta evasa che deve superare la soglia di punibilità (attualmente fissata in € 50.000,00 per ciascuna singola imposta) per la  consumazione del reato tributario.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha   espresso il principio di diritto secondo il quale ai fini della determinazione dell’imposta evasa il giudice del merito deve considerare anche i costi non contabilizzati, che risultino da elementi probatori certi acquisiti agli atti.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in tema di omessa dichiarazione, oltre agli approfondimenti sul reato tributario, che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il reato contestato e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie all’imputato tratto  a giudizio nella qualità di titolare della ditta individuale all’epoca dei fatti in contestazione, era stato addebitato il delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 D.lgs. 74/2000, per aver omesso di presentare le dichiarazioni fiscali relative alle imposte dirette e all’IVA, per un ammontare superiore alla soglia di punibilità.

La Corte di appello di Potenza confermava la sentenza con la quale il G.U.P. presso il Tribunale di Matera, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, deducendo, tra l’altro, il mancato conteggio di elementi passivi di reddito documentati dai fornitori dell’impresa dell’imputato con le relative fatture passive.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Salerno per nuovo giudizio.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento che riguarda la centrale questione giuridica della ricostruzione dell’imposta evasa:

“Più volte, infatti, questa Corte ha rilevato che, ai fini della configurabilità dei reati in materia di IVA, la determinazione della base imponibile e della relativa imposta evasa, dati questi significativi ai fini dell’accertamento del superamento della soglia di punibilità, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l’eventuale sussistenza di costi non documentati, dei quali è, tuttavia, possibile tenere conto, laddove dimostrati, in relazione alle ipotesi delittuose aventi ad oggetto, come peraltro avviene nel presente caso, anche l’evasione delle imposte dirette (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 dicembre 2018, n. 53980).

E’, peraltro, stato ulteriormente precisato che l’eventuale accertamento di ulteriori elementi reddituali, rilevante ai fini della determinazione delle imposte, fra esse comprese anche IVA, non può essere eseguito se non tenendo conto di tutti gli elementi – costi, ricavi, proventi ed oneri – che concorrono alla loro formazione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 maggio 2018, n. 21639) e che la determinazione della imposta sul valore aggiunto evasa deve essere eseguita attraverso la “contrapposizione tra IVA risultante dalla fatture emesse e IVA detraibile sulla base delle fatture ricevute”, senza che tale computo possa ritenersi ineseguibile sulla sola base del “difetto di allegazione di eventuali fatture passive incombente sull’imputato”, dovendo tenersi conto, pertanto, in un’ottica volta a privilegiare il dato fattuale rispetto a quello meramente formale, anche degli altri elementi probatori certi acquisiti agli atti (Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 luglio 2017, n. 35579)”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 5 D.lgs. 74/2000 – Omessa dichiarazione

E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. 

E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.

Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di omessa dichiarazione:

Cassazione penale sez. III, 12/06/2020, n.23176

Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta. Inoltre, la presentazione di dichiarazione dei redditi oltre i novanta giorni dalla scadenza del termine integra il reato di cui al d.lg. n. 74 del 2000, art. 5 e non quello di cui all’art. 2 decreto medesimo, anche quando all’interno di essa sono indicati elementi passivi fittizi derivanti dall’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti: dalla nullità fiscale della dichiarazione fraudolenta non può farsi seguire alcuna conseguenza di carattere penale, anche in considerazione di quanto previsto dal d.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7, che limita gli effetti della dichiarazione presentata oltre i novanta giorni ai soli aspetti “favorevoli” all’Amministrazione finanziaria.

 

Cassazione penale sez. III, 28/02/2020, n.16469

In tema di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte del professionista a ciò incaricato, la prova del dolo specifico in capo al contribuente può desumersi anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione.

 

Cassazione penale sez. III, 20/02/2020, n.16599

In tema di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini di evasione delle imposte, la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. è applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata ad euro 50.000,00 dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, in ragione del fatto che il grado di offensività che fonda il reato è stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale. (Fattispecie di affermata esclusione della causa di non punibilità con riferimento ad una evasione di imposta eccedente la soglia di legge per un ammontare di euro 5.825,21, superiore all’11% dell’importo della soglia stessa).

Cassazione penale sez. III, 14/01/2020, n.9417

La legge tributaria considera personale per il contribuente il dovere di presentare la dichiarazione fiscale e il fatto di aver affidato ad un commercialista l’incarico di compilare la dichiarazione medesima, non può esonerare il contribuente stesso dalla penale responsabilità per il delitto di omessa dichiarazione.

 

Cassazione penale sez. III, 22/10/2019, n.48029

In tema di reati tributari, in relazione al delitto di omessa dichiarazione e di indebita compensazione, rispettivamente previsti dagli artt. 5 e 10-quater d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, l’estinzione dei debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità dell’applicazione della pena ai sensi dell’art. 13-bis del medesimo d.lg., in quanto l’art. 13 della stessa normativa configura tale comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del medesimo decreto e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’art. 13-bis d.lg. n. 74 del 2000, disciplinando la predetta condizione per accedere al rito speciale, fa espressamente salve le ipotesi di non punibilità previste dal citato art. 13 del medesimo d.lg.).

 

Cassazione penale sez. III, 22/10/2019, n.48029

In tema di patteggiamento, non è illegale la pena su accordo delle parti, comminata dal giudice anche senza l’integrale pagamento del debito. Difatti, per i reati di infedele e omessa presentazione della dichiarazione, al pari dei delitti di omesso versamento, si può accedere al patteggiamento anche senza l’estinzione del debito tributario. A sostenerlo è la Cassazione, che cambia opinione rispetto a quanto stabilito in precedenza in casi analoghi. Per i giudici di legittimità, infatti, non vi è distinzione tra le citate fattispecie e quindi per esse non può valere, ai fini del patteggiamento, la regola dell’integrale pagamento, in quanto se l’imputato corrispondesse il dovuto, entro l’apertura del dibattimento, non sarebbe più punibile e non avrebbe senso il patteggiamento.

 

Cassazione penale sez. VI, 18/09/2019, n.44895

Integra reato la condotta dell’imputato che, invitato dall’ufficiale giudiziario ad indicare le cose o i crediti utilmente pignorabili, omette di rispondere all’invito a presentarsi presso l’ufficio UNEP nel termine di quindici giorni previsto dall’art. 492 c.p.c., comma 4. La dichiarazione resa dal debitore, pur non legata a particolari vincoli formali, deve fornire un’adeguata informativa all’ufficiale giudiziario procedente e deve considerarsi omessa non solo quando manchi del tutto allo scadere del termine espressamente stabilito dalla legge, ma anche nell’ipotesi in cui non contenga elementi utili a consentire l’esatta identificazione degli ulteriori beni pignorabili, risultando così inidonea a determinare l’effetto dell’immediata apposizione del vincolo con le forme previste dall’art. 492 cit., ossia quando non vengano indicati con certezza i beni pignorabili, la loro ubicazione, ovvero il terzo debitore con modalità idonee a consentire al creditore di procedere ai successivi adempimenti di cui all’art. 543 c.p.c..

 

Cassazione penale sez. III, 12/06/2019, n.36387

In materia di reati tributari, il momento consumativo del delitto di omessa dichiarazione da parte del sostituto d’imposta cui all’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, va fissato alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario.

 

Cassazione penale sez. III, 07/06/2019, n.36474

In materia di reati tributari – e, segnatamente, con riferimento al reato di omessa dichiarazione fiscale – per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato, valgono i principi generali posti dagli artt. 42 e 43 c.p., per cui – attesa la natura di reato a dolo specifico-  ai fini della punibilità dell’autore del reato, nella specie l’amministratore di diritto/prestanome, non è sufficiente il dolo generico, ma si richiede invece il dolo specifico di evasione che necessita di rigorosa prova, che non può essere affidata alla semplice, quanto irrilevante, affermazione fondata sul precetto della inescusabilità dell’ignoranza della legge penale contenuto nell’ art. 5 c.p.. La circostanza di essere il legale rappresentante della società, se di regola normalmente esclude che l’imprenditore possa difendersi evocando il disposto dell’art. 5, c.p., non è ex se sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi, a far ritenere provato il dolo specifico normativamente richiesto ai fini della perseguibilità penale del fatto di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74/2000.  Proprio perché il più delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza nella gestione della società, il fatto gli può essere addebitato, a titolo di concorso con l’amministratore di fatto, a norma dell’art. 2392 c.c. e art. 40 cpv. c.p., a condizione che ricorra l’elemento soggettivo proprio del singolo reato. Occorre, dunque, che il giudice di merito individui, al di là della mera assunzione della carica di amministratore di diritto, ulteriori elementi che corroborino, sotto il profilo soggettivo, la sussistenza del dolo specifico normativamente richiesto ai fini della perseguibilità penale della sua condotta.

 

Cassazione penale sez. III, 13/07/2018, n.50151

In tema di reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi di cui all’art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si configura la “stabile organizzazione”, da cui deriva l’obbligo fiscale di un soggetto non formalmente residente, nel caso in cui una società estera, con una sede fissa di affari nel territorio italiano, effettua in Italia la sua attività mediante un’organizzazione di persone e di mezzi (cd. estero-vestizione della residenza fiscale); si ha, invece, una “società-schermo”, nell’ipotesi in cui l’ente, anche se allocato formalmente all’estero, è privo di concreta autonomia e costituisce solo una copertura attraverso la quale agisce la persona fisica, che è la titolare effettiva dell’attività economica e che, di conseguenza, è tenuta agli adempimenti fiscali.

 

Cassazione penale , sez. III , 21/06/2018 , n. 43627

In tema di reati tributari, l’utilizzo in compensazione di un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa integra il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti. Ad affermarlo è la Cassazione che si è pronunciata sul caso di un legale rappresentante di una cooperativa, condannato per omessa presentazione della dichiarazione e indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, ex articoli 5 e 10 quater del Dlgs 74/2000 , per aver omesso il versamento delle imposte utilizzando un credito Iva scaturente dalla dichiarazione dell’anno precedente non presentata. In particolare, con una interpretazione molto rigida della disciplina, la Corte ha affermato che possono essere utilizzati in compensazione solo i crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

 

Cassazione penale , sez. III , 06/06/2018 , n. 32500

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di omessa dichiarazione a fini i.v.a. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione.

 

Cassazione penale sez. III  18/12/ 2017 n. 21639  

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di omessa presentazione di dichiarazione Iva (art. 5 d.lgs.30 ottobre 2000 n. 74 del 2000), qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nelle determinazione del debito imponibile il giudice penale deve accertare l’ammontare della imposta evasa tenendo conto di tutti gli elementi – costi, ricavi, proventi e oneri – che concorrono alla sua formazione.

 

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 7000  

Nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’ art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente.

 

Cassazione penale sez. III  07/11/2017 n. 20856  

In tema di reati tributari, il reato di cui all’ art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , come modificato dal d.lgs.24 settembre 2015, n. 158 , è configurabile con la sola omissione della presentazione della dichiarazione, non essendo necessaria la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.

                 

Cassazione penale sez. III  22/09/2017 n. 53137  

Integra il delitto previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, l’omessa presentazione della dichiarazione di redditi provenienti da attività illecita da parte del titolare di una ditta individuale determinata dall’esigenza di non fornire all’amministrazione prove a sé sfavorevoli, giacché, salvo specifiche previsioni di legge di segno contrario, il principio processuale del “nemo tenetur se detegere” non può dispiegare efficacia al di fuori del processo penale e pertanto non giustifica la violazione di regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva.

 

Cassazione penale sez. III  29/03/2017 n. 37849  

Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).

 

Cassazione penale sez. III  24/02/2017 n. 19196  

In tema di reati tributari, il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei novanta giorni di proroga. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la condanna del rappresentante di una società, dimessosi appena dopo la scadenza del termine ordinario).

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