La riqualificazione della bancarotta preferenziale nel più grave reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale è legittima solo in caso di identità del fatto storico contestato.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza numero 37461.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che affronta il tema della legittimità o meno della riqualificazione giuridica del fatto originariamente contestato come bancarotta preferenziale nel più grave reato della bancarotta distrattiva.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha aderito al più recente orientamento di legittimità secondo il quale il giudice di appello ha la possibilità di riqualificare lo stesso fatto originariamente contestato come bancarotta preferenziale, nel più grave delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, a condizione però che vi sia identità della condotta materiale oggetto di accertamento processuale.

In applicazione del superiore principio di diritto e decidendo sul caso di specie, il Collegio di legittimità ha ritenuto, che non rientrava nei poteri del giudice di appello, procedere alla riqualificazione nei termini sopra indicati per la palese incompatibilità della condotta enunciata nel capo di imputazione con la diversa condotta ritenuta in sentenza

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputata, tratta a giudizio nella qualità di amministratore unico della società fallita, erano stati  contestati il delitto di bancarotta preferenziale per aver effettuato rimborsi in favore dei soci, in danno di altri creditori, nonché il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale – così riqualificato – per aver distratto una somma di denaro a favore di un ente estraneo alla compagine societaria della fallita per scopi estranei rispetto all’oggetto sociale.

La Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la prevenuta per i reati sopra descritti.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte distrettuale.

In particolare il ricorrente, con i motivi di gravame articolati, deduceva la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza per aver i Giudici di seconde cure riqualificato il fatto contestato come bancarotta preferenziale in bancarotta fraudolenta patrimoniale, condannando così la prevenuta per un fatto diverso e non originariamente contestato.

La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Questa Corte ha in passato apparentemente escluso la legittimità della riqualificazione del fatto originariamente contestato a titolo di bancarotta preferenziale nel più grave reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (così Sez. 5, n. 19365 del 05/12/2019, dep. 2020, Rv. 279106; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, Baj, Rv. 255230). In termini dissonanti da tale orientamento sembra invece essersi pronunziata di recente Sez. 5, n. 32732 del 25/05/2021, Quarta non massimata, la quale ha affermato che il giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell’imputato, può procedere alla qualificazione giuridica dello stesso fatto, contestato come bancarotta preferenziale, nel più grave reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale nel rispetto dei principi del giusto processo.

In realtà le pronunzie più risalenti, in sintonia con la consolidata elaborazione giurisprudenziale delle regole poste dall’art. 521 c.p.p., non hanno inteso affermare l’astratta impossibilità dell’operazione di riqualificazione nell’ipotesi descritta, bensì, più semplicemente, la concreta sua impraticabilità qualora la contestazione di bancarotta preferenziale sia stata elevata in relazione ad un fatto che risulta oggettivamente diverso rispetto a quello ritenuto integrare la più grave fattispecie di bancarotta patrimoniale.

Analogamente la sentenza Quarta ha riconosciuto la praticabilità della riqualificazione proprio sulla base della riconosciuta identità del fatto storico contestato. Anche in riferimento ai reati di cui si tratta, dunque, il discrimen tra violazione del principio di correlazione e legittimo esercizio del potere di attribuire una diversa qualificazione giuridica al fatto dipende, in definitiva, dalla effettiva ricostruzione dei termini in cui quest’ultimo è stato contestato, fermo restando che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.

Ciò premesso deve rilevarsi come nel caso di specie all’imputata sia stato originariamente contestato il reato di bancarotta preferenziale ad oggetto il rimborso di finanziamenti per oltre 43.000 euro ai soci nell’anno precedente al fallimento della società di cui era amministratrice.

Il Tribunale ha riqualificato il fatto come bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ad uno di questi pagamenti (pari ad euro 22.000) eseguito per scopi estranei a quelli sociali, mediante due bonifici eseguiti in favore della (OMISSIS) s.r.l., registrato in contabilità con la causale indicata nonostante quest’ultima non fosse socia della fallita, nonché in riferimento ad ulteriori 2.500 euro sottratti alle casse sociali asseritamente a titolo di remunerazione dell’attività di amministratore, ma invero non prevista dallo statuto, né deliberata dall’assemblea.

E’ dunque pacifico che il fatto per cui è intervenuta la condanna poi confermata dalla Corte territoriale non corrisponda nei suoi elementi essenziali a quello originariamente contestato.

L’accertamento della falsa od erronea indicazione in contabilità della causale del pagamento effettuato in favore della (OMISSIS) non è infatti circostanza rilevante ai soli fini della qualificazione giuridica della condotta, ma anche e soprattutto per la stessa definizione del fatto contestato. L’accusa di aver illecitamente rimborsato un socio è strutturalmente diversa da quella di aver trasferito una somma ad un soggetto estraneo alla fallita senza corrispettivo o per scopi che trascendono quelli sociali, non essendo sufficiente a determinare l’identità del fatto la circostanza che entrambe le condotte si manifestino attraverso il distacco del bene dal patrimonio sociale.

Nel primo caso, infatti, elemento essenziale di ciò che viene contestato è che tale distacco rimane giustificato dall’effettiva esistenza del credito del socio e la sua illiceità dipende esclusivamente dal mancato rispetto della regola contenuta nell’art. 2647 comma 2 c.c.

Nel secondo caso, invece, il nucleo del fatto incriminato è costituito non già o non tanto dall’aver trasferito risorse della società ad un terzo, quanto, piuttosto, che tale trasferimento è privo di una giustificazione. Ancora più evidente è poi la violazione del principio di correlazione con riguardo all’altra condotta per cui è stata pronunziata condanna, ossia quella relativa alla percezione da parte dell’imputata di emolumenti mai deliberati, posto che a tale condotta non vi è alcun riferimento nell’imputazione, dove invece, come già ricordato, espressamente il fatto contestato viene circoscritto al rimborso dei finanziamenti effettuati ai soci”.

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