La Cassazione annulla la sentenza di condanna per reati tributari che non dispone la confisca obbligatoria del profitto del reato.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 37118.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di reati tributari, si sofferma sull’istituto della confisca prescritta obbligatoriamente dalla legge numero 74/2000.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, la confisca del profitto del reato tributario deve essere obbligatoriamente disposta in caso di pronuncia della sentenza di condanna o di applicazione cella pena su accordo delle parti (patteggiamento), anche a prescindere dall’adozione o meno della misura cautelare ad essa prodromica.

 

I reati contestati e il giudizio di merito

Il Tribunale di Bergamo, all’esito del giudizio abbreviato, condannava l’imputato per i delitti di dichiarazione fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, rispettivamente ex artt. 2 e 8 D.lgs. 74/2000, senza disporre la confisca del profitto del reato.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di primo grado, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 12 bis d.lgs. n. 74 del 2000, per non aver il Giudice disposto – senza alcuna giustificazione – la confisca obbligatoria del profitto del reato tributario.

La Suprema Corte, accogliendo la tesi del PG,  ha annullato la sentenza impugnata limitatamente all’omessa confisca con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Bergamo.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Ciò premesso, questa Corte ha già affermato il principio – peraltro consolidato – secondo cui, in materia di reati tributari, la confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve essere sempre disposta nel caso di condanna o di sentenza di applicazione concordata della pena, stante l’identità della lettera e la piena continuità normativa tra la disposizione di cui all’art. 12- bis, comma secondo, del predetto decreto (introdotta dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158) e la previgente fattispecie, qui pure applicabile ratione temporis, prevista dall’art. 322-ter cod. pen., richiamato dall’art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, abrogata dall’art. 14 del citato d.lgs. n. 158 del 2015 (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Lombardo, Rv. 268386). […]

Essendo la confisca – quantomeno della forma c.d. per equivalente – obbligatoria per il menzionato reato, la sentenza impugnata avrebbe pertanto dovuto disporla o, comunque, motivare in ordine alla concreta insussistenza dei relativi presupposti che, per quanto detto, sembrano invece almeno in parte emergere dall’accertamento compiuto. Del resto, secondo l’oramai consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di confisca per equivalente, il giudice della cognizione, nei limiti del valore corrispondente al profitto del reato, può emettere il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessità della individuazione specifica dei beni da apprendere (Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, dep. 2015, Giallombardo, Rv. 262893; Sez. 3, n. 20776 del 06/03/2014, Hong, Rv. 259661; Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e a., Rv. 255113)”.

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