La Cassazione disegna il perimetro della responsabilità penale degli amministratori di fatto e di diritto nel reato tributario di omessa dichiarazione.
Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza numero 32241.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di omessa dichiarazione, si sofferma sui profili di responsabilità dell’amministratore di fatto e di diritto e sulla prova del dolo specifico di evasione del reato tributario omissivo.
Con riferimento alla prima questione, la Suprema Corte, ha enunciato il principio di diritto secondo cui la responsabilità per i reati dichiarativi è pacificamente ammessa sia per l’amministratore di fatto, sia per l’amministratore di diritto.
L’amministratore di diritto può andare esente da responsabilità solo nei casi in cui riesca a dimostrare nel processo la assoluta carenza di poteri di ingerenza nella gestione dell’impresa.
Con riguardo al tema della colpevolezza, il Supremo Consesso ha espresso il principio di diritto secondo il quale la prova della sussistenza del dolo specifico richiesta dalla norma incriminatrice, consistente nel perseguimento del fine di evadere l’imposta sui redditi e sul valore aggiunto e declinabile anche nella forma del dolo eventuale, è ricavabile da elementi fattuali dimostrativi della consapevole preordinazione da parte dell’agente dell’omessa dichiarazione all’evasione delle imposte per quantità superiori alla soglia di punibilità.
Il reato contestato e la doppia conforme di merito
La Corte di appello di Firenze confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato l’imputato per il delitto di omessa dichiarazione (previsto e punito dall’ art. 5 d.lgs. 74/2000) ascrittogli in quanto amministratore prima e successivamente liquidatore della società della quale aveva anche la gestione contabile in virtù della qualifica professionale.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, deducendo, con un unico motivo di gravame, il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo specifico.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi passaggi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:
(i) La responsabilità dell’amministratore
“Il reato previsto dall’art. 5 del D. Lgs 74/2000 è omissivo proprio: posto in essere da colui che, in base alla normativa fiscale di riferimento, sia in concreto tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale obbligatoria.
Sul punto si osserva che la giurisprudenza di questa Corte ammette pacificamente la responsabilità per il delitto di cui al D.Igs. n. 74 del 2000, art. 5, anche nei confronti dell’amministratore di fatto (Sez. III, n. 3780 del 14/05/2015). Si è, infatti, affermato che il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA (D.Igs. n. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5) è configurabile nei confronti dell’amministratore di fatto, e l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (art. 40 c.p., comma 2, e art. 2932 c.c.).
Infatti, in tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal D.Igs. n. 74 del 2000 solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione de era società. (Sez. III n. 47110 del 19/11/2013)”.
(ii) L’elemento soggettivo del reato
“Quanto all’elemento soggettivo del reato, è richiesto il dolo specifico, ovvero la prova della sussistenza, in capo all’autore, del dolo specifico di evasione: la deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte.
Ebbene, è noto che i reati tributari, di cui alla D.Igs. 74/2000, sono in buona parte dei c.d. reati “propri” o a soggettività ristretta, ossia il cui autore ricopre una qualifica o un ruolo precisamente individuato dal legislatore (rappresentante legale, amministratore unico, amministratore delegato, sindaco, liquidatore ecc.).
Ed invero, per costante giurisprudenza di questa Corte la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione, può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta e detto superamento deve formare oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente, avendo la soglia natura di elemento costitutivo del reato (Sez. III, n. 7000 del 23/11/2017).
E’ necessaria quindi la rappresentazione e volizione della omessa dichiarazione e del superamento della soglia di punibilità (dolo generico) e il dolo specifico di evasione in quanto il contribuente deve perseguire il “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto (da ultimo Sez. III, n.9348 del 02/02/2021).
Ancora in tempi più recenti si è ribadito che, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere ed ha chiarito che la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull’operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento anti-doveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. III, n. 37856 del 18/06/2015; Id. n. 18936 del 19/01/2016) e può costituire oggetto di rappresentazione e volizione anche soltanto nella forma del c.d. dolo eventuale (cfr. Sez. III, n. 7000 del 23/11/2017; Id. n.39960 del 12/06/2019)”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA