La Cassazione precisa quando il ripetuto invio di messaggi sms e wathsapp integra il reato di molestie punito dall’art. 660 cod. pen.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 40078.2021, resa dalla I Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su una originaria fattispecie di atti persecutori poi derubricata nel corso del processo nel meno grave reato di molestia o disturbo, nel decidere il caso concreto sottoposto allo scrutinio di legittimità, è tornata a definire gli elementi costitutivi del reato.

 

La fattispecie concreta, l’imputazione ed il doppio grado di merito.

L’imputato originariamente tratto a giudizio davanti al Tribunale di Novara per il reato di atti persecutori, per il quale il primo giudice aveva ritenuto di poter affermare la penale responsabilità, in grado di appello otteneva la riforma della sentenza impugnata con riqualificazione del reato di cui all’art. 612 bis cod. pen. nel meno grave reato di molestie o disturbo, previsto e punito dall’art. 660 cod. pen.

Il fatto addebitato, come spesso si registra nella quotidiana pratica giudiziaria, nasceva a seguito della crisi coniugale  poi seguita dalla separazione personale, periodo nel quale l’imputato aveva inviato numerosi messaggi alla coniuge che in querela assumeva di aver subito atti persecutori.

La Corte di appello di Torino, pur ritenendo sussistente la prova della serialità dei messaggi non graditi dalla destinataria (sms e wathsapp), considerato il contesto generale nel quale era maturata la condotta in contestazione, non riteneva raggiunta la prova del condizionamento (in senso negativo) delle abitudini di vita  della vittima del reato, ma solo le molestie per il  disturbo arrecatole.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa contro la sentenza della Corte territoriale interponeva plurimi motivi di ricorso.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi dalla trama argomentativa  della pronuncia in commento che tratteggiano gli elementi costitutivi del reato:

(I) La condotta materiale punita dalla norma incriminatrice.

“Trascura, invero, il ricorrente, dando così vita a doglianze manifestamente infondate, oltre che aspecifiche e non consentite laddove sollecitano una rivalutazione di elementi fattuali, che: – ai fini della configurabilità del reato di molestie, previsto dall’art. 660 cod. pen., per petulanza si intende un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri (Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013 – dep. 28/01/2014, Moresco, Rv. 258260), un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato e non è, quindi, riconducibile all’ipotesi del reato continuato (Sez. 1, n. 6064 del 06/12/2017, depositata 1’8/02/2018, Girone, Rv. 272397); – sempre a detti fini è necessaria una effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale che assurga al rango di “molestia o disturbo” ingenerato dall’attività di comunicazione in sé considerata e a prescindere dal suo contenuto (Sez. F, n. 45315 del 27/08/2019, Manassero, Rv. 277291: fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto integrata la contravvenzione nell’invio ripetuto di squilli telefonici e sms non graditi). –

 

(II) L’elemento psicologico del reato.

“….in tema di molestia e disturbo alle persone, l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto (Sez. 1, n. 50381 del 07/06/2018, Vidoni, Rv. 274537: in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata, che aveva ravvisato il reato di molestie nella condotta dell’imputato, il quale aveva effettuato sull’utenza telefonica della ex convivente nove chiamate, rimaste senza risposta, in un lasso temporale di poche decine di minuti ed in orario notturno, affermando di avere agito con il solo fine di concordare una visita con la figlia).

By Claudio Ramelli @riproduzione Riservata