Risponde di peculato – e non di truffa ai danni dello Stato – il medico che ometta di versare alla struttura sanitaria la percentuale dell’onorario percepito a seguito delle prestazioni professionali svolte in regime intra moenia allargata.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 41049.2021, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di peculato commesso dal professionista sanitario nella sua qualifica pubblicistica, si sofferma sull’elemento materiale del reato e sulla differenziazione della condotta tra il reato contro la pubblica amministrazione ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato.

In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, richiamando l’orientamento dominante sedimentato sulla questione giuridica qui di interesse, ha enunciato il principio di diritto secondo cui il delitto di peculato – configurabile nell’ipotesi in cui il medico, nello svolgimento di attività intra moenia allargata, si appropri della percentuale spettante all’azienda sanitaria sull’onorario riscosso – si differenzia dal reato di truffa ai danni dello Stato in quanto elemento costitutivo del primo è il possesso o la disponibilità da parte dell’agente del denaro o della cosa mobile oggetto di appropriazione, laddove nel reato contro il patrimonio, il possesso non sussiste, ma è procurato fraudolentemente dall’agente mediante artifici e raggiri.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputato, tratto  a giudizio nella qualità di direttore della struttura oculistica del Policlinico, era  stato inizialmente contestato dalla Procura il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 co. 2 n. 1 c.p.), successivamente riqualificato in sede di udienza preliminare nel più grave di peculato (art. 314 c.p.), per aver svolto, nell’ambito dell’attività professionale intra moenia allargata, prestazioni professionali a favore di una società privata al medesimo riconducibile, introitando l’intero onorario e omettendo di versare all’azienda sanitaria la percentuale ad essa spettante.

La Corte di appello di Salerno confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Nocera Inferiore aveva condannato il prevenuto per il delitto di peculato a lui ascritto.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte distrettuale, articolando plurimi motivi di impugnazione.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“La sentenza impugnata, muovendo dal criterio discretivo tra truffa ai danni dello Stato e peculato adottato dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha rilevato che l’imputato aveva conseguito il possesso o, comunque, la disponibilità del danaro in ragione del suo ufficio.

L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61 n. 9, cod. pen., va, infatti, individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (ex plurimis: Cass., Sez. 6, n. 46799 del 20/06/2018, Rv. 274282; Sez. 6, n. 19484 del 23/01/2018, Rv. 273782; Sez. 6, n. 15795 del 6/02/2014, Rv. 15795).

[…] Questa Corte ha, infatti, già reiteratamente affermato che integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria “allargata” (per tale intendendosi l’attività svolta presso il proprio studio privato), dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene (Cass., Sez. 6, n. 29782 del 16/03/2017, Rv. 270556; Sez. 6, n. 35988 del 21/05/2015, Rv. 264578; Sez., 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253098; Sez. 6, n. 39695 del 17/09/2009, Rv. 245003; Sez. 6, n. 2969 del 6/10/2004, Rv. 231474); in tal modo, infatti, il medico che svolge attività libero – professionale nel regime di intra moenia sia pur in via di fatto e senza essere a ciò espressamente tenuto, si ingerisce nell’incasso delle somme ricevute dai pazienti appartenenti, almeno in parte, all’ente pubblico, delle quali ha avuto la disponibilità nello svolgimento del suo ufficio (Cass., Sez. 6, n. 15945 del 18/02/2021, Rv. 280967)”.

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