Il reato punito dall’art. 635 bis c.p. è integrato dalla condotta del dirigente che formatta il computer aziendale prima di restituirlo alla società per la quale lavorava.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 33809.2021, resa dalla Corte di Cassazione –  Sezione lavoro che, pronunciatasi su una controversia insorta tra società ed un suo dirigente, si sofferma sul profilo penalistico della configurazione del reato di danneggiamento di dati, informazioni e programmi informatici.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale è idonea ad integrare il delitto di danneggiamento (previsto e punito dall’art. 635 bis) c.p. anche la cancellazione di dati, informazioni e programmi informatici che non sia tale da escludere la possibilità di recupero, seppur a fronte di un intervento specialistico e di dispendio economico.

 

La domanda di risarcimento del danno e il doppio giudizio di merito

La società datrice di lavoro proponeva domanda di risarcimento del danno patrimoniale, nonché del danno all’immagine e alla reputazione professionale contro il dirigente che aveva rassegnato le dimissioni.

Per quanto di interesse per il presente commento, il danno patrimoniale e non patrimoniale lamentato dalla parte attrice era connesso alla circostanza che a seguito della interruzione del rapporto di lavoro dal computer aziendale, già in uso al dirigente, era stati eliminati tutti i dati e le informazioni ivi contenute (dati, e-mail, documenti, numeri di telefono etc.) per effetto della formattazione dell’hard disk del dispositivo.

La Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado che aveva condannato il dirigente al risarcimento del danno, rigettava la domanda risarcitoria, condannando, altresì, la società attrice a corrispondere al dirigente l’indennità di preavviso.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La società proponeva, quindi, ricorso per cassazione contro la decisione della Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione.

Il convenuto resisteva in giudizio a mezzo controricorso.

La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame alla Corte territoriale in diversa composizione.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento che riguardano il disvalore penale di cancellazione dei dati dal computer:

“La giurisprudenza penale di questa Corte ritiene, infatti, che anche la cancellazione, che non escluda la possibilità di recupero se non con l’uso anche dispendioso di particolari procedure, integri gli estremi oggettivi della fattispecie delittuosa dell’art. 635bis c.p., per conformità alla sua ratio (Cass. pen. 5 marzo 2012, n. 8555).

Ed è ciò che è avvenuto nel caso di specie, per la necessità da parte della società datrice di affidare l’hard disk del computer formattato ad un perito informatico per le relative analisi, che le hanno consentito di recuperare una serie di conversazioni scritte effettuate dal dirigente sull’applicativo Skype negli anni 2011 – 2013 […]: circostanza parimenti valorizzata dal Tribunale, che ha in particolare negato che “l’hard disk del computer fosse stato manipolato prima di essere consegnato all’ing. (OMISSIS) per la sua analisi, avendo la stessa indagine consentito di escludere qualsiasi tipo di manipolazione” (così all’ultimo capoverso di pg. 6 della sentenza)”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA