L’esercizio da parte del sanitario dell’attività in regime di intra moenia durante l’orario di servizio non esclude automaticamente la sussistenza del reato di peculato, laddove il medico ometta di timbrare il cartellino, così impedendo alla struttura sanitaria di calcolare il debito orario.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 42496.2021, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di truffa ai danni dello Stato e peculato d’uso commessi dal professionista sanitario, si sofferma sul perimetro punitivo del reato contro la pubblica amministrazione.

In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, ai fini dell’integrazione del delitto di peculato, è irrilevante la circostanza che in situazione eccezionali l’attività intra moenia possa essere svolta anche durante l’orario di servizio, laddove il medico ometta di timbrare il cartellino e di informare in altro modo la direzione dell’ospedale, così precludendo di attivare i meccanismi di recupero del “debito orario” contratto.

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato erano stati contestati i delitti di truffa aggravata ai danni dell’Azienda sanitaria e di peculato d’uso continuato

La Corte di appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza con la quale il Tribunale di Larino aveva condannato il prevenuto per i reati a lui ascritti, assolveva il giudicabile da una ipotesi di reato e, per l’effetto, rideterminava la pena comminata con riferimento alle altre contestazioni.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Tali condivisibili insegnamenti devono trovare applicazione con riferimento al primo motivo, con il quale il ricorrente ripropone le doglianze già dedotte in appello senza confrontarsi adeguatamente, in primo luogo, con il percorso argomentativo tracciato dalla sentenza impugnata, sia quanto al quadro normativo vigente, sia – anche a voler accedere alla tesi per cui l’attività intra moenia potrebbe essere svolta anche durante l’orario di servizio, ricorrendo situazioni eccezionali – quanto alla insussistenza di tali situazioni, concordemente affermata dalle sentenze di primo e di secondo grado sulla scorta di quanto dichiarato dai dirigenti ospedalieri escussi […].

In secondo luogo, deve osservarsi che i giudici di merito hanno concordemente valorizzato il fatto che, in ogni caso, il (OMISSIS) aveva non solo evitato di marcare il cartellino marcatempo secondo le apposite indicazioni (“codice 90”), ma aveva anche completamente omesso di informare in altro modo la direzione dell’ospedale, precludendole quindi l’attivazione dei meccanismi di recupero del “debito orario” così contratto (cfr. pagg. 5-6 della sentenza impugnata, che si sofferma sul fatto che l’amministrazione avrebbe appunto dovuto computare le ore dedicate all’attività intra moenia e, correlativamente, anche quelle in addebito da recuperare.

La Corte ha quindi osservato che, in totale assenza di informazioni da parte del ricorrente, non valeva “invocare le ore che si è lavorato in più, o professare la propria personale particolare laboriosità”, trattandosi di deduzioni inidonee a dimostrare il recupero del debito orario)”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA