Risponde di violenza sessuale – e non di estorsione – colui che, dietro la minaccia di diffusione di video sessualmente espliciti, costringa la vittima ad inviargli su Whatsapp foto delle proprie parti intime.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 41985.2021, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di minaccia di diffusione di video sessualmente espliciti, si sofferma sulla distinzione tra i reati di estorsione e violenza sessuale, qualificando quale delle due  fattispecie di reato sia effettivamente configurabile nel caso di specie.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, nell’ipotesi di coartazione della libertà sessuale della vittima, mediante violenza o minaccia, al fine di appagare i propri istinti sessuali, il reato configurabile è quello di violenza sessuale e non quello di estorsione ritenuto dai giudici del merito.

Invero – sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia riconosciuto che l’ingiusto profitto oggetto del dolo del reato di estorsione possa essere costituito da qualsiasi tipo di vantaggio, anche non economico – nel caso in cui la condotta criminosa leda la libertà sessuale della persona offesa, si configura, in virtù del principio di specialità, il delitto previsto e punito dall’art.609 bis c.p. in luogo di quello punibile ex art.629 c.p.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputato era stato contestato il delitto di estorsione, per aver costretto la persona offesa, mediante minaccia di diffondere un video che la ritraeva nell’atto di consumare un rapporto sessuale con l’autore del reato, ad inviare al medesimo, tramite la messaggistica istantanea Whatsapp, foto delle sue parti intime.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di appello.

La Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.

Di seguito i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento che attengono alla qualificazione giuridica della condotta contestata:

“Nel caso in esame ricorre un problema relativo alla qualificazione giuridica del fatto come contestato nel capo d’imputazione e ricostruito in sentenza. […]

È noto infatti che il delitto di estorsione si pone in rapporto di specialità con quello di violenza privata ed è configurabile nel caso in cui l’agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare o omettere qualcosa che gli procuri un danno economico (Sez. 2, Sentenza n. 5668 del 15/01/2013 ) Rv. 255242 – 01). […]

In modo analogo, il reato di violenza sessuale ex art. 609 bis cod. pen. si pone in termini di specialità rispetto al delitto di violenza privata ex art. 610 cod. pen. e, secondo giurisprudenza consolidata, ricorre il delitto di violenza sessale quando la condotta denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale. […] In conclusione il delitto di violenza sessuale si caratterizza e ricorre quando la violenza o minaccia coarta e limita la libertà sessuale altrui con la finalità di appagare la propria libido sessuale e risulta estranea alla sfera patrimoniale del soggetto passivo.

È vero che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che nel delitto di estorsione, l’elemento dell’ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l’autore intenda conseguire e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico (come nel caso di minacce, percosse o lesioni) o ancora con uno strumento legale, ma avente uno scopo tipico diverso (Sez. 2, Sentenza n. 29563 del 17/11/2005 Ud. (dep. 04/09/2006) Rv. 234963 – 01).

Ma nel rispetto del principio di specialità, quando la costrizione ha per oggetto la sfera sessuale e non attiene, neppure in via mediata, alla sfera patrimoniale deve applicarsi l’art. 609 bis cod. pen”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA