Risponde di omicidio volontario il medico che somministra farmaci dall’attitudine letale a pazienti affetti da Covid-19 provocandone la morte.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 43294.2021, resa dalla I Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in materia cautelare personale su un caso di omicidio volontario plurimo e falso ideologico commessi dal medico nel contesto dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto fondata la provvisoria imputazione in riferimento alla condotta del medico – consistita nel somministrare ai pazienti affetti da coronavirus farmaci dall’attitudine letale inadeguati rispetto alla terapia da praticare, determinandone il decesso, fatto per il quale era stata applicata la misura custodiale degli arresti domiciliari.

 

I reati contestati e le fasi del merito cautelare

Nel caso di specie all’indagato nella qualità di primario in servizio presso l’Unità Operativa del Pronto Soccorso, erano stati provvisoriamente contestati i delitti di omicidio volontario plurimo aggravato e falso ideologico aggravato.

Segnatamente, secondo la  provvisoria incolpazione, il prevenuto avrebbe somministrato a due pazienti affetti da Covid-19 i farmaci Midarine e Propofol destinati ad altri fini e dotati di attitudine letale, così cagionandone la morte e falsificato le relative cartelle cliniche per dissimulare il suo operato.

Il giudicabile avrebbe, in tal modo, provocato il decesso dei pazienti che versavano, secondo la sua valutazione, in condizioni ritenute insuscettibili di positiva evoluzione, al fine di concentrare le risorse a disposizione della struttura sanitaria  per la cura dei pazienti che presentavano maggiori possibilità di guarigione nel contesto dell’emergenza pandemica.

Il Tribunale del riesame confermava il provvedimento con il quale il GIP in sede aveva disposto nei confronti dell’indagato la misura degli arresti domiciliari in relazione ai reati contro la persona e la pubblica fede.

 

 

Il ricorso per cassazione ed il giudizio di legittimità

La difesa del prevenuto interponeva ricorso per cassazione avverso la decisione del locale Tribunale della libertà, articolando plurimi motivi di gravame.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento attinenti il quadro indiziario riferito all’imputazione di omicidio volontario:

“Il ricorrente stima, di conseguenza, che (OMISSIS) sia deceduto, invece che per effetto della somministrazione del Propofol, per l’incidenza del Covid-19 sulle comorbilità, che avrebbe determinato una gravissima, ed infine letale, insufficienza respiratoria acuta, insorta in un paziente anziano e portatore di un complesso quadro polipatologico di base.

La doglianza si risolve, ancora una volta, nella sterile riproposizione di argomento speso nell’ambito del procedimento ex art. 309 cod. proc. pen. e respinto, con motivazione più che congrua, dal Tribunale del Riesame alle pagg. 35-42 dell’ordinanza impugnata.

I giudici hanno, in particolare, dato atto, sulla scia di quanto esposto dai consulenti del pubblico ministero, che la concentrazione della sostanza rinvenuta nel corpo (e, quindi, non solo nel cervello, sul quale si è concentrata l’attenzione della difesa) di (OMISSIS) è significativa della somministrazione, poco prima del decesso, di un quantitativo di Propofol ragionevolmente stimabile in 20 ml, idoneo a provocare la morte nel giro di pochi minuti. […]

Il Tribunale del riesame, dopo avere illustrato le ragioni che inducono ad escludere che la bassa concentrazione di Propofol rinvenuta nel cervello di (OMISSIS) costituisca sintomo della carenza del nesso di causalità tra la somministrazione del farmaco ed il decesso della vittima, ha confutato l’asserzione secondo cui il decesso avrebbe rappresentato conseguenza, in via esclusiva, della sopravvenienza del Covid-19 su un fisico debilitato dalle patologie pregresse.

Ha stimato, in particolare, che le condizioni di salute di (OMISSIS), all’atto del ricovero, erano meno compromesse da quanto risulta dalla cartella clinica, la cui manomissione è pure ascritta all’odierno ricorrente.

A tal fine, ha attentamente descritto e vagliato (cfr. pagg. 39-42) tutte le evidenze disponibili, incompatibili con il quadro tratteggiato dal dott. (OMISSIS) nel corso dell’interrogatorio, ed ha, vieppiù, verificato che numerosi dati inseriti in cartella — quali, tra gli altri, quelli relativi alla risposta all’applicazione di ossigeno con maschera tipo reservoir a 16 litri o al peso del paziente — sono smentiti dal complesso della documentazione acquisita e dagli esiti dell’accertamento autoptico”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA