La Suprema Corte si sofferma sulla distinzione tra ingiuria (depenalizzata) e diffamazione con riferimento alle comunicazioni offensive effettuate con i moderni sistemi di comunicazione informatica.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza numero 44662.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di diffamazione consumata a mezzo Facebook, si sofferma sulla distinzione tra ingiuria e diffamazione in riferimento al disvalore penale del fatto commesso con le nuove tecnologie.

In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, dopo aver richiamato il  discrimen tra ingiuria – non più punibile in sede penale –  e diffamazione  (per il quale è notoriamente dirimente la presenza o meno dell’offeso nel momento in cui l’agente propala espressioni o giudizi offensivi della reputazione del destinatario) declina il tema della dicotomia tra le due distinte fattispecie in relazione all’uso dei moderni sistemi di comunicazione da remoto che prospettano nuovi scenari rispetto i quali interpretare la presenza o meno  dell’offeso nella dimensione virtuale.

Ciò posto, il Supremo Consesso, nella sentenza numero 44662.2021 enuncia il principio di diritto secondo cui l’offesa profferita nel corso di una riunione da remoto con più persone contestualmente collegate, alla quale partecipi anche il destinatario dei messaggi offensivi, integra l’illecito civile dell’ingiuria; viceversa, laddove la comunicazione incriminata sia indirizzata all’offeso e ad altre persone non contestualmente presenti, si configura il reato di diffamazione.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputato era stato contestato il delitto di diffamazione per aver pubblicato messaggi infamanti su una chat intrattenuta con la persona offesa e altri soggetti sulla bacheca Facebook.

La Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Cosenza aveva condannato il prevenuto, ai fini penali e civili, per il reato a lui ascritto.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte territoriale.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“La decisione in discorso ha, poi, approfondito il concetto di “presenza” rispetto ai moderni sistemi di comunicazione, ritenendo che, accanto alla presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso, autore del fatto e spettatori, vi siano, poi, situazioni ad essa sostanzialmente equiparabili, realizzate con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (cali conference, audioconferenza o videoconferenza). Argomenta, ancora, la sentenza Viviano, che <I numerosi applicativi attualmente in uso per la comunicazione tra persone fisicamente distanti non modificano, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure come sopra tracciata, dovendo porsi solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto> […]

Prosegue, quindi, la Corte osservando che, per distinguere tra i reati di cui agli artt. 594 e 595 cod. pen., resta fermo il criterio discretivo della “presenza”, anche se “virtuale”, dell’offeso. Occorrerà, dunque, valutare caso per caso: se l’offesa viene profferita nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato) (come deciso da Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Rv. 278742).

Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione, come la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato quanto, per esempio, all’invio di e-mail (oltre alla sentenza Viviano, cfr. Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, non massimata; Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, non massimata; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, non massimata)”.

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