Il punto della cassazione penale sul trattamento illecito dei dati giudiziari penali e di natura amministrativa dopo le modifiche al Codice della Privacy

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 3702.2022, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, soffermandosi su un caso di trattamento illecito di dati, si sofferma sul perimetro punitivo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 167 d.lgs. 196/03, alla luce delle modifiche normative intervenute sulla disposizione.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha  enunciato il principio di diritto secondo cui vi è continuità normativa tra l’originaria formulazione dell’art. 167 comma 2 d.lgs. 196/03 e il nuovo testo (modificato in attuazione del Regolamento UE 2016/696), in quanto la nuova disposizione continua ad incriminare le condotte di trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati, in violazione dei limiti di liceità stabiliti dalla legge, dalle quali derivi un nocumento per i titolari dei dati oggetto di diffusione, sempre che la condotta propalatoria sia sorretta dal fine di arrecare un danno alla persona offesa.

Quanto alla condotta incriminata al comma 1 dell’art. 167 d.lgs. 196/03, il nuovo testo ha circoscritto l’area di illiceità penale del trattamento di dati personali, non più estesa alle condotte di diffusione di dati concernenti provvedimenti amministrativi, ma limitata alle sole condotte realizzate nel trattamento di dati personali connesso alla fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico su reti pubbliche di comunicazioni.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputato era stato contestato dalla locale Procura della Repubblica il delitto di trattamento illecito di dati personali previsto dall’art. 167 commi 1 e 2 d.lgs. 196/2003, per aver diffuso a terzi dati personali relativi a condanne penali e reati, in assenza di autorizzazione di legge o dell’Autorità garante, nonché dati inerenti a provvedimenti amministrativi in assenza del consenso dell’interessato, al fine di procurarsi un profitto e di arrecare pregiudizio alla persona offesa.

La Corte di appello di Genova confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Massa aveva condannato il prevenuto per i reati a lui ascritti.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte territoriale.

La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, per estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, rigettando il ricorso agli effetti civili.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“L’attuale formulazione del secondo comma dell’art. 167 del Codice si pone in continuità normativa con il testo precedente del medesimo secondo comma, continuando a incriminare le condotte di trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2 sexies e 2 octies, o delle misure di garanzia di cui all’articolo 2 septies, che provochino nocumento all’interessato, in quanto, per quanto in questa sede rileva in relazione alle contestazioni formulate nei confronti dell’imputato, l’art. 10 del Regolamento UE 2016/696 riguarda espressamente il trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati, prevedendo che “il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza sulla base dell’articolo 6, paragrafo 1, deve avvenire soltanto sotto il controllo dell’autorità pubblica o se il trattamento è autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati. Un eventuale registro completo delle condanne penali deve essere tenuto soltanto sotto il controllo dell’autorità pubblica”.

Il tenore della disposizione del regolamento, alla quale quella interna rinvia, conferma la continuità con la previsione precedente della medesima disposizione, continuando a essere incriminato il trattamento dei dati personali relativi a condanne o a reati, come avveniva precedentemente, non essendo escluso neppure in precedenza il trattamento dei dati contenuti in provvedimenti definitivi e non essendo mutati né l’elemento soggettivo (sempre costituito dal fine di profitto o di danno), né l’evento di danno, in quanto, con riferimento alla precedente disposizione, la giurisprudenza di questa Corte aveva chiarito che l’art. 167 d.lgs. 196/2003 aveva tipizzato, quale elemento costitutivo del reato, il nocumento, da intendersi come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale e non, cagionato sia alla persona alla quale i dati illecitamente trattati si riferiscono sia a terzi quale conseguenza della condotta illecita (Sez. 3, n. 15221 del 23/11/2016, dep. 2017, Campesi, Rv. 270055; Sez. 3, n. 52135 del 19/06/2018, Bellilli, Rv. 275456). La previsione delle condizioni alle quali, ai sensi degli artt. 2 sexies e 2 octies del Codice, è consentito il trattamento dei dati personali, e cioè per motivi di interesse pubblico rilevante (art. 2 sexies, secondo cui “I trattamenti delle categorie particolari di dati personali di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento, necessari per motivi di interesse pubblico rilevante ai sensi del paragrafo 2, lettera g), del medesimo articolo, sono ammessi qualora siano previsti dal diritto dell’Unione europea ovvero, nell’ordinamento interno, da disposizioni di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento che specifichino i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, nonché le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato”), o se previsto da disposizioni di legge o di regolamento o per le specifiche finalità previste dall’art. 2 octies, e delle misure di garanzia previste per il trattamento lecito dall’art. 2 septies del Codice, non ha determinato alcun mutamento nella struttura del reato, né, tantomeno, nella condotta incriminata, che continua a consistere nel trattamento indebito di dati giudiziari (nella specie costituiti da una sentenza penale di condanna), al di fuori delle condizioni previste per la liceità di tale trattamento, a fine di danno e da cui derivi un nocumento per il titolari dei dati oggetto del trattamento (nella specie costituito dalla diffusione).

Quanto alle condotte di cui all’art. 167, comma 1, del Codice, contestate al capo 2, e cioè la diffusione, nelle medesime forme e nei confronti dei medesimi soggetti, di dati concernenti provvedimenti amministrativi che hanno riguardato la parte civile, queste, sulla base del precedente testo della disposizione, dovevano, come evidenziato, considerarsi penalmente rilevanti. Il nuovo testo del primo comma della norma ha limitato l’ambito della illiceità penale, attraverso il riferimento alle sole condotte poste in essere in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o del provvedimento di cui all’articolo 129 del Codice, dunque alle sole condotte realizzate nel trattamento dei dati personali connesso alla fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico su reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle che supportano i dispositivi di raccolta dei dati e di identificazione.

La divulgazione di dati personali relativi a sentenze penali, quali l’ordine di demolizione delle opere di cui è stata accertata in sede penale la abusività e il rigetto della relativa istanza di condono, rientra, però, nell’ambito di illiceità penale del secondo comma dell’art. 167 del codice della privacy, in quanto compiuta in violazione dell’art. 10 del regolamento comunitario, trattandosi di dati relativi a reati”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA