Non si configura l’art.5 d.lgs 74/2000 per il contribuente che invia la dichiarazione dei redditi con alcuni campi non compilati

Si segnala ai lettori del sito la recente sentenza numero 5141.2022, con la quale la Suprema Corte-  Sezione III penale, chiamata allo scrutinio di legittimità su una ipotesi di reato prevista e punita dall’art.5 d.lgs. n.74/2000, ha escluso la configurabilità del reato di omessa dichiarazione per il contribuente che invia nei termini di legge la dichiarazione dei redditi  non compilando alcuni riquadri dedicati all’indicazione dei redditi prodotti nell’anno fiscale.

La sentenza risulta di grande interesse per gli operatori di diritto che si occupano della materia penale – tributaria per l’accurata disamina dei precedenti arresti della giurisprudenza di legittimità sezioni penali e tributaria, sedimentata intorno alla questione della qualificazione giuridica della condotta di incompleta redazione del modello fiscale, mai prima d’ora affrontata dalla Cassazione nei termini scrutinati con la sentenza in commento.

 

Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.

La Procura della Repubblica di Napoli aveva contestato all’imputato il reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n.74 del 2000, in relazione all’omessa presentazione della dichiarazione annuale relativa alle imposte dirette ed Iva per l’anno 2011, ritenendo integrata la condotta omissiva sulla base del fatto che la dichiarazione, pur tempestivamente trasmessa, sarebbe stata da considerarsi “in bianco”, dato che il quadro RS della stessa non era stato compilato.

La tesi accusatoria veniva validata dal Tribunale partenopeo che affermava la penale responsabilità del prevenuto per il reato di omessa dichiarazione ritenendo, sostanzialmente, che l’invio del dichiarativo fiscale nei termini (fatto che si assume non contestato) ma incompleto, fosse assimilabile alla condotta omissiva prevista dalla norma incriminatrice, perché idonea a produrre il medesimo risultato: rendere inesigibile la prestazione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato.

La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte di appello di Napoli.

Il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale veniva interposto ricorso per cassazione denunciando vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata non risultando, secondo la difesa dell’imputato, sussumibile il fatto in contestazione alla condotta prevista e punita dall’art. 5 d.lvo 74/2000.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso annullando le sentenze di merito dello stesso segno e rimettendo gli atti al PM per l’ulteriore corso, potendosi in astratto, configurare il diverso reato di dichiarazione infedele mai contestato.

Di seguito si riportano ampi passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento  che chiariscono l’iter giudico seguito dal Supremo Consesso ispirato al principio di legalità:

“Il reato di “omessa dichiarazione” di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 contempla, nel comma primo, la condotta di «chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte…»; la medesima condotta omissiva è poi contemplata, con riguardo alla dichiarazione, questa volta, di sostituto d’imposta, dal comma primo bis.

E’ dunque evidente che il reato è integrato allorquando, nei termini previsti dalle leggi tributarie, e nel rispetto delle soglie individuate dallo stesso art. 5, il contribuente non trasmetta agli uffici competenti le predette dichiarazioni.

Ciò posto, con la sentenza impugnata, confermativa di quella di primo grado, si è ritenuto integrato il reato di cui all’art. 5 cit. pur a fronte di presentazione della dichiarazione intervenuta nei termini, per il fatto che la stessa fosse «sostanzialmente “in bianco”, dato che il quadro RS non era stato compilato», giacché la norma penale de qua riposerebbe sull’obbligo di «mettere l’amministrazione finanziaria al corrente delle informazioni necessarie per accertare la consistenza dell’obbligazione tributaria».

L’equiparazione in tal modo operata dalla sentenza tra omessa presentazione di dichiarazione e presentazione di dichiarazione incompleta, non può, tuttavia, essere condivisa, giacché fondata, a fronte di una condotta esaustivamente e rigorosamente individuata dalla norma e come tale non suscettibile di alcuna -estensione, su una lettura analogica della norma contrastante con il principio di legalità.

Ed anzi, in senso contrario alla lettura data, in conformità a quella di primo grado, dalla sentenza impugnata, appaiono deporre inequivoci dati normativi del resto valorizzati dalla giurisprudenza tributaria nonché dalla giurisprudenza di legittimità civile, che, sul medesimo punto, è, sulla base di essi, costantemente pervenuta a ritenere improponibile, quanto alla parallela condotta di omessa presentazione considerata dalla legislazione tributaria, una siffatta equipollenza.

Si è infatti valorizzato, a conforto della necessaria distinzione tra “assoluta omessa presentazione” e “mancata dichiarazione di redditi imponibili”, il tenore letterale dell’art.1, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, che, nel disciplinare il contenuto della dichiarazione dei redditi, prevede espressamente che la stessa debba «contenere l’indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili…» e che «i redditi per i quali manca tale indicazione si considerano non dichiarati ai fini dell’accertamento e delle sanzioni», in tal modo deducendosi che, nell’ipotesi in cui non siano indicati gli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili (tanto più se, come nel caso di specie, la mancata indicazione sia stata solo parziale, riguardando un solo quadro), la dichiarazione si deve ritenere presentata e solo i singoli redditi (fondiario, di impresa, di lavoro autonomo), si devono considerare non dichiarati (così Sez. 5 civ., n. 24107/13 del 17/12/2012, non mass.).

E tale linea interpretativa è proseguita sino all’attualità: mentre Sez. 5 civ. n. 1879 del 10/09/2020, non mass., ha affermato che la fattispecie di omessa dichiarazione deve essere riservata solo alle ipotesi più radicali, quali l’assoluta inesistenza del documento o la mancata trasmissione all’Ufficio giacché lo stesso tenore letterale dell’art. 1 cit. consente di reputare esistente la dichiarazione pur se priva dei dati necessari per la ricostruzione del reddito, laddove contempla che i redditi non indicati si considerano non dichiarati (evenienza che ben può verificarsi non solo relativamente all’omessa indicazione solo di alcuni redditi, ma anche in relazione, addirittura, a tutti i redditi percepiti dal soggetto), Sez.5 civ., n. 10668 del 12/01/2021, Rv.660973, ha specificato che nell’ipotesi in cui il contribuente non ometta la dichiarazione, ma provveda invece ad effettuarla, qualora indichi un valore diverso rispetto a quanto dovuto, incorre in errore, oppure nella dichiarazione infedele, qualora l’errore sia voluto, ma non nell’omessa dichiarazione, esprimendo poi il principio di diritto secondo cui «la dichiarazione infedele presentata dal contribuente…, anche quando indichi un valore non verosimile, non è equiparabile alla omessa dichiarazione» da qui poi desumendone la mancanza di ostacoli all’accesso del contribuente al condono e alla necessità, per l’Amministrazione finanziaria di provvedere, a pena di decadenza, alla notifica dell’avviso di accertamento nei termini ordinari, non potendo avvalersi della proroga biennale dei termini di notifica, prevista, appunto, solo per la diversa ipotesi in cui la dichiarazione sia stata omessa.

La persistenza di un tale quadro esegetico, oltre a corroborare senza possibilità di incertezze la conclusione in ordine alla non equiparabilità di una dichiarazione semplicemente incompleta ad una dichiarazione non presentata, giustifica allo stesso tempo che la pronuncia di Sez. 5 civ., n. 10759 del 22/02/2006, Rv.590594, menzionata dalla sentenza qui impugnata nel senso della conferma dell’integrazione del reato di cui all’art.5 cit., non possa comunque condurre ad un differente esito; e ciò non solo perché inequivocabilmente superata dalle successive ed attuali decisioni più sopra ricordate, ma soprattutto perché riferita ad una ipotesi, ovvero quella della presentazione di “una dichiarazione compilata nel solo frontespizio, e per il resto priva di ogni contenuto e non sottoscritta” certamente non equiparabile a quella oggetto del presente giudizio oltre che indubitabilmente legata ad un contesto normativo che, a differenza di quello attuale, non prevedeva la trasmissione telematica della dichiarazione (solo alla luce di un tale elemento storico potendosi comprendere il senso del riferimento ad una mancata sottoscrizione).

Neppure il riferimento della sentenza impugnata alla ratio della norma, individuata nell’esigenza di consentire all’amministrazione finanziaria di disporre delle informazioni necessarie per accertare il quantum dell’obbligazione tributaria può giustificare la lettura analogica svolta, essendo una tale ragione ancor più ricorrente nell’ipotesi del reato di dichiarazione infedele.

Deve solo aggiungersi che, seppure manchino pronunce di questa Corte penale sul tema in oggetto, è tuttavia significativo che in ipotesi, certamente assimilabile alla presente, di dichiarazione non compilata nel quadro RG/RF, l’imputazione, nonché l’integrazione del reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, non siano state poste in alcun modo in discussione dalla decisione di Sez. 3, n. 32490/19 del 24/04/2018, Cavallo, non mass., pur spettando anche al giudice di legittimità i poteri di necessaria ravvisabilità della diversità del fatto per cui è condanna rispetto a quello contestato.

In definitiva, dunque, la sentenza impugnata è incorsa, nel ritenere integrato il reato di cui all’art. 5 del d. Igs. n. 74 del 2000 a fronte di elementi (segnatamente la mancata compilazione, come detto, di un quadro apposito) che dovevano invece indirizzare a ravvisare nel fatto elementi eventualmente costitutivi, semmai, del reato di cui all’art. 4, in violazione di legge, in tal modo risultando fondata la censura difensiva in ordine alla sostanziale trasformazione del fatto di omessa presentazione, addebitato, in fatto di dichiarazione infedele, ritenuto; ciò che avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale, sia pure già intrattenutasi, su altri e diversi aspetti, su tale figura di reato, a fare applicazione della disciplina dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.. (del resto, nel senso che l’accertamento della diversità del fatto, che comporta la trasmissione degli atti al pubblico ministero, non coincide con l’accertamento di cui all’art. 533 cod. proc. pen., in quanto solo quest’ultimo giudizio postula il convincimento sulla colpevolezza, essendo prodromico ad una pronuncia di condanna, Sez. 2, n. 27826 del 30/04/2019, Stizanin Milios, Rv. 276984).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA