Nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistente l’imputato va condannato se ha agito anche per finalità diverse rispetto al dolo di evasione

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 8620.2022 – depositata il 15.03.2022, resa dalla terza sezione penale della Suprema corte che, pronunciatasi su una imputazione di emissione di fatture per operazioni inesistenti, ha affrontato il tema della componente psicologica del reato ravvisandone la sussistenza anche quando la finalità dell’amministratore della società cartiera non sia esclusivamente quella di favorire l’evasione fiscale del soggetto che riceve le fatture.

 

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia emessa Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lucca, con la quale l’imputata era stata giudicata colpevole del delitto di cui all’art 8, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in concorso con altri giudicati separatamente e condannata – con rito abbreviato – alla pena ritenuta di giustizia.

Secondo quanto è possibile evincere dalla lettura della sentenza in commento, la Corte di appello ha ritenuto sussistente il reato contestato nelle sue componenti – materiale e psicologica – richiamando i caratteri della vicenda, ossia che la legale rappresentante dell’associazione sportiva dilettantistica – aveva concluso contratti di sponsorizzazione con varie società all’ordine delle quali aveva emesso fatture ed ottenuto il pagamento del  corrispettivo, parte del quale era stato restituito per contante.

Secondo la Corte territoriale il fatto così ricostruito non lasciava margini di dubbio in ordine alla consumazione del reato tributario.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La difesa dell’imputata interponeva ricorso per cassazione denunciando vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata anche nella parte in cui aveva riconosciuto sussistente l’elemento soggettivo del reato, ancorché, secondo la tesi sostenuta, era stato acquisito al processo che l’emissione delle fatture in contestazione si era resa necessaria per propiziare la conclusione dei contratti di sponsorizzazione.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento attinenti il tema del dolo:

“ ….Tanto premesso e non contestato, il Collegio ha poi esaminato anche il profilo soggettivo della condotta, ravvisandolo proprio nel dolo richiesto dall’art. 8, d. Igs. n. 74 del 2000 qui in esame; la [omissis], nonostante le iniziali incertezze sulla legittimità delle operazioni e pur rassicurata dal [omissis], aveva infatti ben presto compreso la reale finalità delle restituzioni del denaro, ed era perfettamente consapevole della falsità degli espedienti utilizzati per coprire la destinazione dei prelevamenti bancari, ai quali aveva partecipato anche in prima persona.

In forza di questi elementi, la sentenza ha quindi affermato che il reato in oggetto sussiste non solo quando il dolo di evasione del terzo costituisca fine esclusivo dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, ma anche quando a questo si accompagni un’altra finalità, magari anche percepita come prioritaria.

Esattamente quel che risulta dalle stesse ammissioni della ricorrente, per come richiamate in entrambe le sentenze di merito e non contestate: la [omissis],comprendendo quale fosse l’effettiva destinazione degli importi, ossia restituire parte delle somme formalmente ricevute, aveva compreso anche che questa operazione consentiva, da un lato, alla “[omissis]” di ottenere la sponsorizzazione, e, dall’altro, alle destinatarie di disporre di fatture per le quali avevano versato, in realtà, cifre inferiori.

Dal che, il dolo specifico dell’art. 8; profilo psicologico che – come affermato nella sentenza – sicuramente non rivestiva carattere centrale nella ricorrente, ma comunque esisteva, unitamente a quello concernente la conclusione del contratto.

Ecco, dunque, il corretto richiamo al dolo (quantomeno) eventuale – pacificamente compatibile con quello specifico (tra le altre, Sez. 3, n. 52411 del 19/6/2018, B., Rv. 274104) – in quanto la [omissis] aveva (come minimo) accettato il rischio che la complessiva operazione cui aveva più volte partecipato fosse sostenuta anche da una finalità evasiva in favore delle società sponsorizzatrici, non spiegandosi (neppure nel ricorso), peraltro, quale diverso scopo potesse avere la restituzione di una parte delle somme fatturate.

La motivazione della sentenza di appello, pertanto, si sottrae alle censure proposte, non risultando affatto la violazione dell’art. 43 cod. pen, né la illogicità manifesta o contraddittorietà degli argomenti spesi; quest’ultima, in particolare, non può di certo esser ravvisata nell’avere – la Corte di appello – valorizzato la pacifica consapevolezza dell'[omissis] circa il carattere illecito delle operazioni, pur in presenza di iniziali rassicurazioni da parte del [omissis], non emergendo affatto alcuna frattura argomentativa tra le due affermazioni”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA