La profonda crisi di liquidità non evita al legale rappresentante della cooperativa la condanna per omesso versamento dei contributi previdenziali

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 8611.2022 – depositata il 15.03.2022, resa dalla quarta sezione penale della Suprema corte che, pronunciatasi in ordine al reato di omesso versamento contributi, ha chiarito quali stringenti circostanze di fatto devono essere provate in dibattimento affinché la crisi di liquidità allegata dalla difesa dell’imputato possa essere presa in considerazione dal giudice penale per riconoscere la sussistenza della scriminante della forza maggiore quale causa di esclusione dell’antigiuridicità del fatto di reato.

 

L’imputazione ed il giudizio di merito.

Dalla lettura della sentenza si evince che a seguito di una pronuncia rescindente della Suprema Corte, la Corte di appello di Venezia, in sede di giudizio di rinvio, a seguito dell’annullamento della sentenza del Tribunale di Padova che aveva assolto l’imputato dal reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2 comma 1 bis dl. 463/1983 conv. con mod. nella legge 638/1983, ha dichiarato il prevenuto responsabile del reato ascrittogli per avere, nella sua qualità di legale rappresentante di una società cooperativa, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, omesso di versare le somme trattenute a titolo previdenziale ed assistenziale sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti per euro24.642,99 per l’anno 2013 ed euro 20.266,99 per l’anno 2014.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione, impingenti, per quanto di  interesse per il presente commento, anche il tema della colpevolezza, ritenuta insussistente nel caso di specie perché l’inadempimento contributivo sarebbe stato motivato dalla stringente crisi di liquidità.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso limitatamente alla prescrizione dell’annualità 2013, rideterminando, per l’effetto, la pena inflitta, rigettando nel resto l’impugnazione di legittimità.

Di seguito si riporta  per intero il  passaggio della motivazione della trama argomentativa della sentenza 8611/22 che affronta il tema dell’elemento psicologico del reato e della sua eccezionale esclusione per cause di forza maggiore:

A fronte di siffatta motivazione, il ricorrente assume di non avere affatto  invocato l’applicazione dell’art. 51 cod. pen., ma quella di cui all’art. 45 cod. pen., stante la crisi dell’impresa, sfociata nella liquidazione coatta amministrativa, riconosciuta anche dalla Corte territoriale, determinante l’incolpevole condizione di non poter far fronte ai debiti, ed implicante il tentativo di postergare i pagamenti, senza che potesse essere addebitata all’imputato alcuna responsabilità penale, non avendo egli determinato la crisi dell’impresa, pacificamente estranea alle sue modalità gestorie.

Sul punto, al di là dell’asserita omessa motivazione della Corte, è sufficiente ricordare che “Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di ometterei versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare. (Sez. 3, Sentenza n. 43811 del 10/04/2017, Rv.271189; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 3512 del 17/01/1994, Rv. 196977, secono cui: “In tema di reato di omesso versamento all’Erario di somme trattenute a titolo di sostituto d’imposta – art. 2 comma secondo legge 7 agosto 1982 n. 516 – il fallimento sopravvenuto non è annoverabile tra le cause di forza maggiore non prevenibili e non può costituire un’esimente della responsabilità penale derivante dall’inadempimento del debito fiscale, non potendo avere, il fallimento stesso, alcuna incidenza su una condotta illecita omissiva già realizzatasi alle scadenze mensili successive ai mesi cui le ritenute operate si riferiscono”).

Come ben chiarito dalla motivazione della sentenza della Sez. 3, Sentenza n.38594 del 23/01/2018, Rv. 273958, in un’ipotesi di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’emissione della fattura, nel quale si invocava l’esimente di cui all’art. 45 cod. pen. “La forza maggiore esclude la “suitas” della condotta.

Secondo l ‘impostazione tradizionale, è la «vis cui resisti non potest», a causa della quale l’uomo «non agit sed agitur» (Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965,Sacca, Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904; Sez. 4, n.8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855).

Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv.104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv.147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191).

Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez.1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011,Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232;Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).

Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi propri integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso(Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856), assoluta impossibilità che deve essere collegata a eventi che sfuggono al dominio finalistico dell’agente.

Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la “suitas” della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico”.

Si tratta di principi che possono pacificamente estendersi alla diversa ipotesi di omissione contributiva, per il caso di crisi di impresa, stante la presenza di margini di scelta sui pagamenti da effettuare, tanto che lo stesso imputato ha chiarito di avere ritenuto preferibile corrispondere degli acconti ai soci, anziché versare i relativi contributi”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA