Non costituisce esercizio abusivo della professione di farmacista la vendita di prodotti a base di cannabidiolo dei quali non è provata la natura di farmaco

Si segnala ai lettori del sito la recente sentenza numero 10645.2022, resa dalla sezione sesta penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi sulla legittimità o meno del sequestro di presunti farmaci, ha ritenuto legittimo l’annullamento del decreto di sequestro del PM che aveva convalidato quello disposto dai NAS in via di urgenza.

La sentenza in commento offre una interessante interpretazione sia del concetto di farmaco per la cui vendita è necessaria la relativa qualità professionale, concetto rispetto al quale si è misurata la legittimità del disposto sequestro, sia della sottrazione dei prodotti a base di cannabidiolo dalle sostanze di cui è vietata la vendita, perché rientranti nel perimetro del d.p.r 309/1990.

 

Il reato contestato e le fasi del merito cautelare.

Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che la polizia giudiziaria aveva ipotizzato a carico dell’indagato la commissione dei reati di cui agli artt. 348 cod. pen.; 147, comma 2 e 4-ter; 147, comma 1-bis, in relazione all’art. 52-bis, d. Ivo. 219 del 2006, condotte collegate alle attività di commercializzazione, attraverso un sito web di prodotti ad uso umano e animale contenenti, in vari dosaggi, olio o altri derivati della canapa indiana, denominati cannabinoidi (CBD) e qualificabili come “specialità medicinali in quanto dichiaratamente atti a curare l’ansia, la depressione, mitigare il dolore, ostacolare la crescita di tumori” o, comunque, “sostanze farmacologicamente attive”.

Sulla base di una ipotesi investigativa i NAS procedevano al sequestro dei prodotti nella disponibilità dell’indagato convalidato dal PM.

Il provvedimento veniva annullato dal Tribunale dal Tribunale di Trieste che accoglieva la richiesta di riesame.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

L’Ufficio del PM interponeva ricorso per cassazione contro l’ordinanza resa dal Tribunale cautelare.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso perché proposto per motivi non consentiti  dall’art.325 c.p.p., non rinunciando, tuttavia, ad escludere la legittimità del provvedimento ablatorio sotto il profilo della carenza del presupposto del fumus commissi delicti.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

(i) Insussistenza del reato di esercizio abusivo della professione di farmacista previsto e punito dall’art. 348 cod. pen.

Nel caso in esame, premesso che «grava necessariamente sull’organo dell’accusa la dimostrazione che le sostanze oggetto del sequestro erano costituite da farmaci o medicinali», era preciso onere del pubblico ministero quello di dimostrare la ricorrenza del fumus delicti e quello di motivare adeguatamente il provvedimento di sequestro sulla base di precisi elementi di fatto che non possono essere integrati, secondo la ricostruzione oggi ribadita con il ricorso, dal rilievo che i prodotti stessi venivano pubblicizzati sul sito web dell’indagato come idonei a curare l’ansia, la depressione mitigare il dolore, ostacolare la crescita di cellule tumorali o il generico riferimento che si trattasse di sostanze farmacologicamente attive.

Sulla base di tali premesse, il motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità nella parte in cui deduce, richiamando il vizio di manifesta illogicità e apparenza della motivazione, una inammissibile vizio di motivazione contestando l’iter logico-argomentativo seguito dall’ordinanza impugnata che, dopo il diffuso inquadramento dei poteri del Tribunale del riesame, adito dall’indagato che censurava la carenza di motivazione del decreto di sequestro del Pubblico Ministero, ne ha disposto l’annullamento perché privo del requisito strutturale minimo di motivazione.

Tale, infatti, non può considerarsi la descrizione contenuta nel capo di provvisoria imputazione e il mero riferimento all’esito delle indagini condotte dal NAS che, a loro volta, rinviano a meri pareri o circolari, tenuto conto che oggetto del sequestro sono prodotti che costituiscono oggetto di un’attività commerciale, la cui filiera è documentalmente provata, ivi compresa le fatture di acquisto e la loro provenienza da altri Paesi europei e, infine, che la stessa pubblicizzazione delle proprietà curative non è attestata dalle schede illustrative del prodotto nella schermata di vendita ma unicamente da blog e screenshots che a tali prodotti rinviano.

Correttamente il Tribunale del riesame ha evidenziato che la esposizione del fumus delicti -strutturalmente diverso dai gravi indizi e che deve essere illustrato con adeguata motivazione svolta nel provvedimento di sequestro – deve, comunque, dare atto della compatibilità e congruità degli elementi addotti dal Pubblico Ministero rispetto alla fattispecie penale oggetto di contestazione: un compito che non può risolversi, a meno di sostanze stupefacenti cd. tabellate, nella loro indicazione nominale e che, in ogni caso, deve essere stata verificata in concreto con riguardo alle res oggetto del provvedimento ablativo”.

 

 

(ii) La mancata equiparazione del cannabidiolo al concetto di medicinale.

“Come ben rilevato nell’ordinanza impugnata, il tema controverso del disposto sequestro – e del seguito cautelare – vedeva nella precisa individuazione della res illecita oggetto dei reati contestati, cioè il cannabidiolo, sostanza che il Pubblico ministero aveva ricondotto non alla detenzione di sostanze stupefacenti ma a quella di prodotti medicinali (o medicinale) e “sostanze attive”, utilizzate nella produzione di medicinali, suppostamente erogati in assenza dell’autorizzazione dell’AIC e, quindi, oggetto dell’esercizio abusivo della professione di farmacista ascritta al [omissis].

La esemplificazione contenuta nel provvedimento di sequestro (ribadita con il ricorso) soffre, oltre che del descritto limite di evocare le proprietà curative descritte nel sito web in corrispondenza dei prodotti, ma non nelle schede illustrative degli stessi, della erronea classificazione del cannabidiolo come medicinale o sostanza attiva, nozioni – queste – oggetto di precisa definizione contenuta nel d. I.vo n. 219 del 24 aprile 2006 e ss. mod. e che il Tribunale, nel disporre la restituzione dei prodotti caduti in sequestro, ha accuratamente ricostruito richiamando altresì il tortuoso iter normativo che ha condotto, con d.m. 1 ottobre 2020,all’inserimento del cannabidiolo (rectíus delle composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo) nella Sezione B della Tabella dei medicinali allegata al d.P.R. 309/1990, inserimento sospeso con successivo D.M. 28 ottobre 2020.

Correttamente, secondo la previsione dell’art. 324, comma 7, cod. proc. pen. (che consente che il divieto di restituzione ivi previsto sia esteso al più alle ipotesi di confisca previste da norme speciali, ma comunque riconducibili, nella sostanza, alla categoria dell’art. 240, secondo comma, cod. pen.) il Tribunale del riesame ha proceduto all’accertamento che i prodotti in sequestro costituissero cose intrinsecamente pericolose, in quanto la detenzione o l’uso di esse assume di per sé carattere criminoso e per le quali la restituzione è comunque esclusa (Sez. U, n. 40847 del 30/05/2019, Bellucci, in motivazione), escludendo siffatta evenienza.

Va, infatti, rilevato che il cannabidiolo (CBD) è un componente chimico della cannabis che pacificamente non ha effetti stupefacenti (a differenza del THC) (cfr. Sez.4, n.10012 del25/02/2021, Diaz, in motivazione) e che la sua distribuzione è stata oggetto di una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (n.141/2020) secondo la quale «Gli articoli 34 e 36TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del Cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento», con un principio che fa salva la persistenza di divieti finalizzati alla tutela della salute pubblica (cfr. sul tema del bene della salute individuale o collettiva protetto dalla normativa in materia di stupefacenti, l’innovativa pronuncia Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep.2020, Caruso, in motivazione).

La sospensione del d.m. 1 ottobre 2020 – con la quale era stato disposto l’inserimento delle composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di canapa -nella tabella dei medicinali soggetti a prescrizione medica da rinnovarsi volta per volta, preclude, in nome del principio di tassatività delle norme incriminatrici e della nozione legale (e tabellata) di stupefacente di ricondurre la sostanza in esame a quella stupefacente o ai “medicinali”, rectius composizioni, che ne contengano il principio attivo.

Come noto, la scelta di definizione del trattamento punitivo in materia viene demandata al Ministero della Salute che la esercita, in conformità ai criteri di cui all’art. 14 d.P.R. 309 del 1990e in base a quanto previsto dalle convenzioni e dagli accordi internazionali ovvero a nuove  acquisizioni scientifiche, individuando – proprio sulla base di evidenze di carattere scientifico – gli elementi di fatto che riempiono di contenuto gli elementi normativi della fattispecie penale il cui contenuto illecito è definito dalla fonte primaria e correlato alla natura “stupefacente o psicotropa” della sostanza.

L’ultima tabella del d.P.R. 309/1990 è per l’appunto dedicata ai medicinali ed è divisa in cinque sezioni e, sulla base dei criteri illustrati nell’art. 14, indica i medicinali a base di sostanze attive che, per quanto concerne la cannabis, rinviano a “i prodotti da essa ottenuti” e “alle preparazioni contenenti le sostanze di cui alla lett. b) dell’art. 14, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lett. e)”. Questa, a sua volta, rimanda “ai medicinali a base di sostanze attive stupefacenti o psicotrope, ivi incluse le sostanze attive ad uso farmaceutico di corrente impiego terapeutico ad uso umano o veterinario” e, nella Sezione B), indica: “1) i medicinali che contengono sostanze di corrente impiego terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti dai medicinali elencati nella sezione A; 2) i medicinali contenenti barbiturici ad azione antiepilettica e quelli contenenti barbiturici con breve durata d’azione; 3) i medicinali contenenti le benzodiazepine, i derivati pirazolopirinnidinici ed i loro analoghi ad azione ansiolitica o psicostimolante che possono dar luogo al pericolo di abuso e generare farmacodipendenza”.

A prescindere dalla valenza che debba ascriversi alle nozioni (controverse) di preparazioni e di “medicinali” e se debba rientrare nella definizione inclusa nella Tabella – qualora dovesse riprendere efficacia il d.m. 1 ottobre 2020 – ogni prodotto per uso orale che sia composto anche solo in parte da cannabidiolo oppure se vi rientrino solo prodotti composti unicamente da cannabidiolo come sostanza isolata; ed inoltre cosa si intende “per uso orale” ( se si intenda qualsiasi composizione informa farmaceutica orale, soluzioni, emulsioni, sospensioni, polveri, granulati, capsule, compresse, a prescindere dal grado e/o dallo scopo per cui viene prodotta e/o venduta, oppure solo composizioni per somministrazione ad uso orale), allo stato il contenuto delle preparazioni e medicinali è oggetto della disciplina penale in quanto contengano sostanze e principi riportati nelle indicate quattro tabelle e che, allo stato, non prevedono la tabellazione del cannabidiolo.

Ne consegue la correttezza e legittimità dell’ordinanza impugnata anche nella parte in cui ha disposto il dissequestro e restituzione all’avente diritto dei prodotti appresi in forza dell’annullato decreto di sequestro”.

By Claudio Ramelli@riproduzione riservata