Configura diffamazione a mezzo facebook la violazione della reputazione della vittima non citata per nome ma individuabile dalla denigratoria descrizione fisica e di contesto ambientale

Si segnala ai lettori del sito la recente sentenza numero 10762.2022 resa dalla quinta sezione penale della Suprema corte che, pronunciatasi su una fattispecie ad un reato diffamazione aggravata, ha validato l’interpretazione giuridica dei giudici di merito che avevano ritenuto consumato il delitto contro la persona, nonostante nei post offensivi dell’altrui reputazione non fosse mai stato indicato il nome del libero professionista vittima del reato.

 

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

Dalla lettura della sentenza si evince che la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Verbania, aveva rideterminato la pena inflitta dal giudice di prime cure  e ridotto la provvisionale alla quale erano stati condannati gli imputati in relazione al delitto di diffamazione aggravata, previsto e punito  art.595 c.p., comma 3, commesso in danno di (OMISSIS) mediante pubblicazione, sul profilo “Facebook” riconducibile ad uno degli imputati, di post contenenti frasi ingiuriose nei confronti della persona offesa.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale interponevano ricorso per cassazione le difese degli imputati articolando plurimi motivi di impugnazione, denunciando vizio di legge e di motivazione, anche in ordine alla prova della sussistenza del reato, secondo i ricorrenti non configurabile in quanto non era certo che le espressioni offensive si riferissero proprio a quel libero professionista del quale mai era stato citato il nome.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso limitatamente alla declaratoria di avvenuta prescrizione del reato, ritenuta maturata prima della deliberazione della sentenza resa in grado di appello, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Di seguito si riporta il passaggio della motivazione di interesse per la presente nota:

“Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, che si colloca ai confini della inammissibilità, essendo sostenuto da rilievi di natura prevalentemente fattuale, tali da non intaccare il percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale, che non appare ne’ manifestamente illogico, ne’ contraddittorio.

Indiscutibile, invero, e non oggetto di specifica doglianza da parte dei ricorrenti, è il dato oggettivo che su di un profilo “Facebook” che appariva riconducibile al (OMISSIS) erano apparse le frasi dal contenuto diffamatorio riportate nel capo d’imputazione, circostanza che integra pacificamente l’elemento oggettivo del reato di cui si discute.

Come affermato, infatti, dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’articolo 595 c.p., comma 3, sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità'” diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 13979 del 25.1.20121, Rv. 281023).

Tale principio va ovviamente coordinato con l’ulteriore assunto, secondo cui, essendo il reato di diffamazione configurabile in presenza di un’offesa alla reputazione di una persona determinata, esso può ritenersi sussistente nel caso in cui vengano pronunciate o scritte espressioni offensive riferite a soggetti individuati o individuabili (cfr. Cass., Sez. 5, n. 3809 del 28.11.2017, Rv. 272320).

In tale solco interpretativo si inserisce il principio di diritto affermato in una serie di condivisibili arresti di questa Corte di Cassazione, secondo cui non osta all’integrazione del reato di diffamazione l’assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione  è lesa, qualora lo stesso sia individuabile, sia pure da parte di un numero limitato di persone, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 2598 del 06/12/2021; Cass., Sez. 5, n. 23579 del 17/02/2014, Rv. 260213).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA