Il datore di lavoro non può essere automaticamente condannato per omicidio colposo se la morte dell’operaio infortunato sopravviene dopo quattro anni dall’incidente in cantiere

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 15155.2022, resa dalla quarta sezione penale della Corte di cassazione pronunciatasi in ordine ad una imputazione di omicidio colposo elevata nei confronti del datore di lavoro per la morte del dipendente gravemente infortunato.

La specificità del caso scrutinato è individuabile nella circostanza che la morte del dipendente era  intervenuta a distanza di oltre quattro anni dall’incidente in cantiere.

Il collegio di legittimità, opinando diversamente rispetto ai giudici di merito ed in applicazione del metodo di valutazione della prova che informa il giudizio controfattuale, ha ravvisato come sussistente il vizio di motivazione denunciato con il ricorso proposto dalla difesa dell’imputato e, per l’effetto, annullato con rinvio la sentenza impugnata per nuovo giudizio.

 

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del Tribunale di Castrovillari con cui l’imputato, tratto a giudizio nella sua qualità di amministratore della di una società di persone, è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art.589, commi 1 e 2 cod. pen., per avere, con colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nella violazione degli artt. 22 e 43d. Igs. 626/1994, 28, 70, 71 e 109 d.Igs.81/2008, cagionato la morte della persona offesa, a seguito dell’infortunio verificatosi in quanto  intento a scaricare, con l’aiuto di un altro operaio con muletto delle casseformi da un T.I.R., agganciate ad una catena.

Entrambi gli operai venivano travolti ed il più grave, poi deceduto, riportava politraumi vari, trauma cervicale e toraco-addominale, dai quali derivava uno stato comatoso-vegetativo permanente, cui seguiva la morte, intervenuta a distanza di quattro anni dall’incidente

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza della Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato denunciando vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata con plurimi motivi, con i quali veniva stigmatizzato specificamente il malgoverno del giudizio controfattuale inerente il nesso di causalità tra incidente ed evento morte.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la sentenza impugnata.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla trama argomentativa della sentenza in commento di maggiore interesse per la presente nota:

“La questione posta riguarda la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta ascritta all’imputato, risalente 25 settembre 2008 – consistita nel non essersi assicurato che i due lavoratori coinvolti nell’infortunio avessero conseguito adeguata formazione per le mansioni cui erano adibiti, nell’avere fornito un mezzo inidoneo allo scarico di materiale metallico da un TIR, in quanto non conforme ai requisiti di cui all’art. 70 d.Igs. 81/2008, nel non avere adeguatamente valutato i rischi derivanti dall’attività cui erano addetti i lavoratori, nel non avere verificato la presenza di idonea segnaletica e recinzione dell’area di cantiere – e l’evento morte verificatosi il 18 dicembre 2012.

La sentenza impugnata, che pure ricostruisce analiticamente la dinamica dell’infortunio, dal quale sono derivate le lesioni gravissime ad [omissis], nel rispondere al motivo di gravame, inerente alla relazione causale fra l’omissione dell’adempimento degli obblighi e delle cautele previste dalla normativa antinfortunistica e l’evento morte, si limita a constatare che [omissis], a seguito del sinistro, rimase in stato vegetativo sino al decesso e, riaffermata la posizione di garante dell’incolumità fisica dei lavoratori, integrata dal datore di lavoro e l’obbligo di sanzionare disciplinarmente i dipendenti che non utilizzino i dispositivi di protezione previsti, rigetta il motivo di appello rivolto a derubricare il reato in quello di lesioni gravissime.

Occorre, per dare soluzione al quesito posto con il ricorso, affrontare il tema della verifica dell’imputazione causale dell’evento, riferendosi, tuttavia, in questo caso, all’evento morte, non essendo contestato che la condotta del ricorrente abbia cagionato le gravissime lesioni riportate dalla persona offesa, a causa dell’infortunio, determinatosi per una serie di condotte omissive dell’imputato.

Il punto di approdo cui è giunta la giurisprudenza di questa Corte, è segnato dalla nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, secondo cui il nesso causale va ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica-, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato.

A ciò aggiungendosi, nondimeno, che l’ipotesi accusatoria sulla sussistenza del nesso causale non può trovare automatica conferma solo sulla considerazione del coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto, in modo che all’esito del ragionamento probatorio, una volta esclusa l’interferenza di fattori eziologici alternativi di produzione dell’evento (Sez. U, Sez. U, Sentenza n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138; Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, Rv. 248943; Sez. U, sentenza n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn, 261106).

Il riscontro della ricorrenza del nesso causale fra la condotta dell’imputato e l’evento deve, dunque, operarsi attraverso un doveroso giudizio controfattuale, ovverosia quell’operazione logica che, eliminando dalla realtà (contro i fatti) la condizione costituita da una determinata condotta umana, verifica se il fatto oggetto del giudizio sarebbe egualmente accaduto, con la conseguenza che nell’ipotesi di indifferenza della condotta nella produzione dell’evento, deve escludersi che essa ne costituisca una causa, mentre, al contrario, laddove senza quella condotta l’evento non si sarebbe prodotto essa è condizione causale dell’evento.

Nel caso di specie, il nodo da sciogliere – essendo indubbio che l’infortunio produsse nella vittima uno stato di coma vegetativo – riguarda esclusivamente il decesso, collocatosi ad anni di distanza dalla condotta, e coincide con la verifica della sussistenza di una serie causale alternativa, innescante un rischio nuovo e diverso da quello attivato dalla condotta.

E ciò, perché l’eventuale diversità dei rischi interrompe e separa la sfera di responsabilità del garante (datore di lavoro) dall’evento prodottosi, quando una qualunque circostanza –in questo caso l’eventuale instaurarsi di una patologia del tutto indipendente dalle lesioni riportate- radicalmente esorbitante rispetto al rischio che egli è chiamato a governare, inneschi una nuova ed autonoma serie causale.

La critica mossa alla sentenza impugnata si muove proprio su questo piano, sottolineando che i giudici di merito hanno del tutto pretermesso l’accertamento della causa della morte di [omissis], facendo derivare unicamente dallo stato di coma vegetativo, conseguente l’infortunio, l’evento ascritto all’imputato, senza indagare quale patologia abbia materialmente condotto la persona offesa al decesso, avvenuto a distanza di oltre quattro anni dall’incidente, né il collegamento con le lesioni riportate in quella occasione

Si tratta, nondimeno, di un’indagine indispensabile, che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non smentito sul punto dalla Corte di appello, non può incombere sull’imputato, al quale non compete l’onere di dimostrare la sussistenza di una serie causale alternativa, essendo la prova del collegamento fra la condotta e la morte onere specifico dell’accusa.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA