Il legale rappresentante di una holding non può automaticamente rispondere di bancarotta fraudolenta quale amministratore di fatto di una società del gruppo fallita

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 15638/2022, depositata il 21.04.2022, resa dalla quinta sezione penale della Corte di cassazione che, pronunciatasi su un caso di bancarotta fraudolenta – patrimoniale e documentale, si è soffermata sulla definizione del concetto di amministratore di fatto nei reati fallimentari, definendo il perimetro della prova che deve essere acquisita in dibattimento per poter giungere all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.

 

I reati contestati ed il doppio grado di merito.

Nel caso di specie all’imputato era stato contestato di avere commesso più fatti di bancarotta fraudolenta – documentale e patrimoniale, prima nella qualità di amministratore di diritto di una società di capitali e, successivamente ad una certa data, quale amministratore di fatto della medesima impresa collettiva.

In particolare, dalla lettura della sentenza in commento, si ricava che la bancarotta distrattiva era stata contestata in riferimento ad un atto di cessione di quote del quale il curatore fallimentare non aveva rinvenuto il corrispettivo nei conti correnti della società fallita.

La Corte di appello di Roma confermava la sentenza di primo grado con la quale il prevenuto era stato condannato per i reati a lui ascritti commessi nella duplice qualità contestata nell’editto accusatorio.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione, uno dei quali impingente il vizio di motivazione relativo alla  qualificazione dell’imputato come amministratore di fatto.

La Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata in accoglimento del superiore motivo di impugnazione.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento, riferiti al tema giuridico della prova della qualifica di amministratore di fatto di una società:

“Deve anzitutto rammentarsi che, per giurisprudenza ormai consolidata, al fine di riconoscere la qualifica di amministratore di fatto, pur non occorrendo l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, è non di meno necessario il riscontro di una significativa e continuativa gestione, svolta in modo non episodico od occasionale dall’agente.

In particolare non può ritenersi che la titolarità da parte dell’agente della carica di amministratore della società capogruppo (ovvero la sua identificazione con la holding) implichi di per sé l’assunzione della qualifica di amministratore di fatto delle società controllate, a meno che l’esercizio dei poteri di direzione e coordinamento del gruppo non si traduca specificamente in atti gestione di fasi o settori delle controllate, limitandone dell’autonomia e riducendo gli amministratori di diritto a meri esecutori materiali delle direttive impartite (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 36865 del 27/10/2020, Cimatti, Rv. 280107).

Nel caso di specie la motivazione impugnata, sul punto, è manifestamente carente in ordine alla prova di quegli indici sintomatici da cui desumere la carica di amministratore di fatto in capo al [omissis].

In particolare è stata valorizzata la posizione apicale ricoperta dal ricorrente nel gruppo societario cui apparteneva la fallita e la conseguente titolarità del capitale sociale di quest’ultima, circostanze tuttavia ancora neutre rispetto all’oggetto della prova necessaria per la dimostrazione dell’effettiva gestione di fatto della stessa”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA