Anche la mancata restituzione al curatore fallimentare di piccole somme annotate nel saldo di cassa integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione
Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 16145.2022 – depositata il 27.04.2022, resa dalla quinta sezione penale della Suprema corte che, pronunciatasi su una imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione ha ritenuto penalmente responsabile del reato fallimentare l’amministratore che non restituisce l’importo risultante dal saldo di cassa di poco superiore ad euro mille.
Nella pronuncia in disamina il Collegio del diritto ha fatto applicazione del principio di diritto elaborato dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo il quale, per provare la sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice, è sufficiente dimostrare in giudizio la consapevole volontà del soggetto attivo del reato di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, ricavabile dalla mancata dimostrazione (il cui onere grava sul giudicabile) della destinazione impressa ai beni facenti parte del patrimonio sociale non rinvenuti dal curatore.
L’imputazione ed il doppio grado di merito.
La Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza di condanna del Tribunale di Urbino con la quale l’imputato, tratto a giudizio nella qualità di legale rappresentante di una società di capitali, lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia per delitto di cui all’art. 223 in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1, legge fall. per aver sottratto alle garanzie dei creditori il saldo di cassa, pari ad euro 1.319,44.
Dalla lettura della sentenza in commento si evince che l’imputato aveva dapprima consegnato al curatore fallimentare la somma di € 100 che in una fase successiva si era fatto restituire.
I giudici del merito del merito, valorizzando la condotta dell’imputato di sottrazione prima del fallimento e di mancata restituzione delle somme avevano ritenuto consumato il reato di bancarotta fraudolenta impropria, ricorrendone tutti gli elementi costitutivi.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.
Contro la sentenza reda dalla Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione, denunciando, per quanto qui di interesse, la sussistenza del dolo del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, in relazione all’entità ridotta del saldo di cassa espressione dell’assenza di una reale consapevolezza e volontà del ricorrente volta a realizzare un indebito vantaggio economico e, quindi, a cagionare il dissesto dell’azienda.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
“ Con riferimento al primo motivo di ricorso, i giudici di appello hanno desunto il dolo del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva dalle risultanze processuali, dalle quali sono emersi: la situazione patrimoniale della fallita che vantava un saldo di cassa attivo pari a euro1.319,44; la mancata consegna al curatore, pur dopo ripetuti solleciti, della somma medesima; il comportamento del ricorrente che, dopo aver depositato presso lo studio commercialistico di riferimento la cifra di euro 100,00 a titolo di acconto, aveva richiesto e ottenuto la restituzione della somma prima che il curatore potesse entrarne in possesso; l’assenza di qualsiasi indicazione in merito alla reale destinazione del saldo di cassa.
Correttamente e logicamente la Corte territoriale, in buona sostanza, ha desunto la prova del dolo del delitto non solo dalla mancata dimostrazione della reale destinazione del denaro, ma anche dalla circostanza che il [omissis], ben consapevole dell’obbligo di consegna agli organi fallimentari della somma iscritta in cassa, si fosse determinato a depositare un acconto, poi ritornando sui suoi passi.
E’ questo un comportamento sufficiente a configurare il dolo del delitto, atteso che, sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa non è richiesto alcun nesso, causale o psichico, ma è sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività.
La condotta, in altre parole, si perfeziona con la distrazione, mentre la punibilità della stessa è subordinata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronunzia giudiziaria, si pone come evento successivo, esterno alla condotta stessa (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804).
I giudici di appello hanno fatto buon governo del principio di diritto, correttamente evidenziando che l’elemento psicologico del delitto di bancarotta distrattiva consiste nel dolo generico per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.
Nella specie, appare priva di pregio la denunciata assenza di prova in merito alla materiale sottrazione da parte del [omissis] della somma di euro 1.319,44, poiché il mancato reperimento di beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, in assenza di adeguata giustificazione della loro destinazione, legittima la presunzione della dolosa sottrazione.
Ciò che rileva, invero, non è la materiale sottrazione del bene o del denaro, quanto la consapevolezza del depauperamento delle risorse dell’impresa che, come già detto, nel caso di specie è stata ritenuta in ragione del comportamento contraddittorio assunto dal ricorrente, legale rappresentante della fallita.
Tutti gli argomenti sviluppati nella sentenza in verifica rinviano ad uno stato soggettivo che contempla la coscienza e volontà di dare al denaro una destinazione diversa da quella legale”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA