Condannato l’amministratore di fatto della società fallita che non giustifica la mancata riconsegna di una autovettura al curatore fallimentare.

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 19184.2022 – depositata il 16.05.2022, resa dalla quinta sezione penale della Suprema corte che, pronunciatasi su una imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione, ha ritenuto penalmente responsabile del reato fallimentare l’amministratore di fatto che non restituisce l’autovettura aziendale al Curatore.

Nella pronuncia in disamina, il Collegio del diritto, ha fatto applicazione dei principii di diritto elaborati dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo i quali, per provare la sussistenza della materialità della condotta e dell’elemento psicologico del reato, è sufficiente che vengano accertate processualmente due condizioni:

(i) la effettiva esistenza dei beni nel patrimonio sociale della società fallita prima della loro distrazione;

(ii)  la consapevole volontà dell’imputato di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, ricavabile dalla mancata dimostrazione (il cui onere grava sul giudicabile) della destinazione impressa ai beni facenti parte del patrimonio sociale non consegnati o comunque non rinvenuti dal curatore.

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di Appello di Roma riformava parzialmente la sentenza di primo grado resa dal Tribunale capitolino quanto ad alcune imputazione, confermando, viceversa, il capo di sentenza che aveva  affermato la penale responsabilità degli amministratore di fatto tratti  a giudizio per aver distratto dal patrimonio sociale una autovettura ed un escavatore.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale, interponevano ricorso per cassazione la difesa degli imputati articolando plurimi motivi di impugnazione, denunciando, per quanto qui di interesse, la mancanza dell’elemento psicologico del reato, connotandosi la condotta degli imputati come colposa, anche sulla scorta delle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Ed invero, [omissis] e il marito, [omissis], sono stati condannati, nelle rispettive qualità, per aver distratto dall’attivo societario un’autovettura e un escavatore.

Tale sottrazione risulta pacifica in atti, in quanto, come espressamente affermato nelle conformi sentenze di merito, il veicolo non è stato rinvenuto in sede di inventario e, come ammesso dalla [omissis], era in suo possesso e uso; analoghe considerazioni valgono per il mezzo meccanico, di cui la [omissis] era custode per essere stata nominata tale in sede di inventario, che è stato, come da dichiarazioni della stessa, prelevato da lei e dal marito per utilizzarlo in altro cantiere; entrambi i mezzi non sono stati consegnati volutamente e spontaneamente al curatore.

Va in proposito ribadito che la responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione richiede l’accertamento della previa disponibilità da parte dell’imprenditore fallito dei beni dell’impresa non rinvenuti e destinati — nella specie, pacificamente, in considerazione delle ammissioni della [omissis] — per impieghi estranei all’attività della fallita e, quindi, alla loro funzione di garanzia.

Quanto alla censura svolta in punto di accertamento del dolo si ricorda che, per giurisprudenza pacifica di questa Corte di legittimità, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; è sufficiente, pertanto, ai fini della sussistenza di tale elemento psicologico che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo (ex multis, Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014; Rebuffo, Rv. 261739; Sez. 5, n. 9807 del 13/02/2006, Caimmi, Rv. 234232).

Né sul punto possono avere alcun rilievo le mere valutazioni espresse dal curatore che non ha il potere e gli strumenti per qualificare l’elemento psicologico del reato di bancarotta dovendo egli solo “fotografare” i fatti ed esprimere su questi un giudizio eminentemente tecnico”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA