La mail di revoca del mandato al legale non costituisce diffamazione se la censura all’operato del professionista rientra nel legittimo esercizio di critica
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 22119/2022 – depositata il 07.06.2022, resa dalla sezione quinta penale della Corte di cassazione che ha escluso la sussistenza del delitto contro l’onore in danno di un avvocato destinatario di una lettera di revoca del mandato professionale con la quale era stata censurata la linea difensiva tenuta dal professionista nel corso di un giudizio civile di separazione giudiziale.
Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava Tribunale di Milano, decidendo in sede di appello, aveva confermato la decisione del locale Giudice di pace, che aveva dichiarato l’imputato colpevole di diffamazione, per avere inviato una e-mail all’avvocato [omissis] dal contenuto lesivo dell’onore e della reputazione, attribuendole scarsa competenza e irregolarità nel proprio mandato professionale, revocato dall’imputato nei giorni precedenti all’inoltro della missiva.
La missiva che aveva determinato la cessazione del rapporto professionale era stata portata a conoscenza dell’Ordine degli Avvocati, di un collaboratore della persona offesa e delle controparti, integrando cosi il requisito della pluralità dei destinatari necessario per l’integrazione della fattispecie penale.
Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.
La difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte territoriale di Milano articolando plurimi motivi di censura.
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata ritenendo non insussistente il reato oggetto di contestazione penale.
Di seguito si riportano i passaggi tratti dalla parte motiva della sentenza 22119/2022 che affrontano il tema del legittimo esercizio del diritto di critica:
“ …Invero, la comunicazione inoltrata dall’imputato era esclusivamente finalizzata a portare a conoscenza di soggetti – che si possono considerare suoi interlocutori istituzionali nell’ambito della vicenda giudiziaria nella quale si inserisce la condotta le ragioni della scelta di revocare il mandato al difensore da lui nominato fiduciariamente, revoca dovuta alla circostanza che il legale, nel costituirsi in giudizio, avesse approntato una difesa senza attenersi alle specifiche indicazioni – condivisibili o meno che fossero – fornite dal cliente nella preliminare interlocuzione a ciò finalizzata; ulteriore ragione di dissenso veniva altresì, espressa, con riguardo alla scelta del consulente di parte, individuato dal medesimo legale, in quanto ritenuto in posizione di conflitto di interesse.
E’ questo quanto si legge nella comunicazione incriminata.
Nessun accenno all’incompetenza o alla scorrettezza professionale della persona offesa, di cui vi è cenno nell’imputazione, giacchè, dalle espressioni utilizzate vengono in rilievo esclusivamente le personali doglianze dell’esponente su scelte processuali non condivise, egli dolendosi per non essere state poste in evidenze, nella comparsa di costituzione, ritenute mancanze dei servizi sociali nella gestione della difficile separazione personale in presenza di figli minori.
In sostanza, ciò che il ricorrente rimproverava era di non essersi attenuti alle indicazioni che egli le aveva fornito, ed è in tale iato tra la valutazione del professionista e quelle del cliente che si colloca il contenuto della missiva.
Cosicché, non è neppure ravvisabile nella e-mail incriminata il contenuto critico di cui si legge in imputazione, che, in ogni caso, per le modalità contenute che la caratterizzano, avrebbero scriminato la condotta perché espressiva del legittimo diritto di critica.
La e-mail, invece, ha un contenuto esclusivamente rappresentativo delle ragioni, pienamente legittime, della scelta di revocare il professionista, per il venir meno del rapporto fiduciario; la finalità della comunicazione agli altri interlocutori del giudizio civile, ivi compresa l’A.G. dinanzi alla quale la stessa missiva venne letta, era quella di portarli a conoscenza delle ragioni che l’avevano portato a dissociarsi dalla linea difensiva perseguita dal professionista.
All’uopo, va ricordato che, secondo l’articolo 2 della legge professionale (Legge 31 dicembre 2012, n. 247) l’avvocato – che nel ricevere l’incarico si obbliga a compiere la prestazione d’opera ( ai sensi dell’art. 2222 cod. civ. ) – è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza, svolge l’attività difensiva, e che il rapporto con il cliente “è fondato sulla fiducia” ( articolo 35 del Codice deontologico Forense, che contiene la regolamentazione anche del rapporto fra cliente ed avvocato).
Laddove la fiducia venga meno – per le più disparate ragioni – nulla osta alla revoca del mandato, che è esattamente quanto avvenuto nel caso di specie.
Poiché non integra il fatto costitutivo del delitto di diffamazione (art. 595 cod. pen.), la condotta di colui che con espressione congrua rappresenti la verità del fatto (Sez. 5, n. 9634 del13/01/2010 Rv. 246890), e dal momento che, nel caso in scrutinio, senza dubbio, la comunicazione inoltrata dal ricorrente conteneva una congrua rappresentazione dei motivi di legittimo dissenso che erano maturati rispetto all’operato del professionista, che avevano determinato il venir meno della fiducia inizialmente riposta, né ricorrono aggressioni gratuite della sua reputazione, deve prendersi atto della mancanza dell’elemento materiale dell’offesa alla reputazione altrui”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA